Dopo un EP e la riuscirà cover de ‘Gli Uccelli’ di Battiato, Hetra torna con una sorta di dedica a chi si lascia trasportare dalle emozioni, senza troppi compromessi, anche a rischio di perdersi o soffrire.
I ‘fiori di fuoco’ che bruciano in fretta dopo aver vissuto nel tempo di una fiammata.
Un brano dalle atmosfere ancestrali tutto incentrato sulla voce, accompagnata da un tappeto sonoro crepuscolare.
Un inno alla musica come strumento di fratellanza universale e allo stesso tempo la sfida di un brano lungo oltre cinque minuti in tempi nei quali la brevità è diventata quasi un obbligo.
Eric Mormile, napoletano, un pugno di singoli all’attivo, unisce il proprio dialetto cittadino a un pop che riporta agli anni ’80, tra synth e chitarre elettriche dal sapore molto vagamente fusion.
L’esito, accompagnato da un manipolo di amici ai cori, è tutto sommato apprezzabile, anche se qua e là un maggior lasciarsi andare nei suoni non avrebbe guastato.
Pare, rapper toscano di Forte dei Marmi, offre una versione abbastanza classica del genere, nei suoni, anche abbastanza essenziali, e nelle parole, all’insegna di una critica sociale che prende le mosse dal classico divario ricchi / poveri.
L’attitudine c’è, ma si rischia a tratti il luogo comune.
Un femminicidio dal punto di vista dell’assassino: il pentimento e l’esortazione a non ripetere il gesto.
Intento lodevole, tuttavia il brano dell’artista sardo, quasi uno spoken word con l’intervento del rapper Impulso, sembra fermarsi troppo in superficie, limitandosi ad un’ammissione di colpa.
L’esito così finisce per essere un po’ ‘generico’.
Esistenzialismo un filo troppo spiccio nel nuovo brano di questo cantautore della provincia di Roma.
Pop con synth dal sapore anni ’80 per un pezzo in cui tutto resta un po’ lì, complici i i due minuti di durata che offrono pochi spazi all’approfondimento.
Un pugno di singoli all’attivo, il romagnolo Enrico Garattoni presenta il suo nuovo progetto, articolato in una serie di brani che lo vedranno accompagnato di volta in volta da vari ospiti.
Qui lo affiancano i Bellanotte, duo del quale scopro far parte Barbara Suzzi, che avevo a suo tempo apprezzato tantissimo nel progetto tutto al femminile Io e La Tigre.
Ecco quindi questo singolo, che parla della felicità e del diritto a raggiungerla, con un bel po’ di rabbia verso un mondo che spesso ‘rema’ contro.
Un indie – pop ‘elettrizzato’ da spezie punk, che ricorda tanto altro, dai Prozac+ in poi.
Arrivano i primi caldi e si apre ufficialmente la stagione dei tormentoni primavera / estate 2024.
I fratelli (non gemelli, anche se lo sembrano e ci giocano su) Ferrini si buttano nella mischia, col classico brano a base di apprezzamenti che scivolano rapidamente in allusioni sessuali manco troppo sottintese, come si evince dal titolo.
Pop con quel tanto di immancabile dance necessaria per essere ballato qua e là nei prossimi mesi.
Secondo ‘assaggio’ dell’esordio sulla lunga distanza in uscita a maggio.
A metà a metà strada tra Colapesce e Di Martino e Depeche Mode, questo di Matera confeziona un synth pop dalla grana rarefatta e l’atmosfera sospesa ad accompagnare un testo ellittico, frammenti parlati di un soliloquio.
La difficoltà di comprendere e di comprendersi, quando si tratta di faccende sentimentali e non solo, nel nuovo singolo di Cortese.
Lo spid come metafora del ‘codice’ che ognuno si porta dentro e che permette di capirsi; a volte, si finisce per rinunciare, limitandosi a osservare in silenzio.
Il gioco sul contrasto tra una tessitura chitarristica solare, che evoca a tratti gli spazi visti dal finestrino di un treno che attraversa la val Padana e le parole a descrivere la situazione difficile di chi si richiude in sé stesso, ritraendosi in un ambiente casalingo, perché stufo delle tribolazioni del quotidiano.
Siciliano da tempo a Bologna, Licciardi sforna un nuovo singolo ispirato esplicitamente a certo neo folk americano.
Alla vigilia dell’uscita del suo nuovo disco, Luca Fol ha presentato questa allegra anticipazione.
Pensieri sparsi sull’onda dei sentimenti e della riflessione su sé stessi, il ‘Diktat’ del titolo sembrerebbe essere quello di lasciarsi e lasciare andare, senza troppe complicazioni.
Un pop rock decisamente solare per un brano dall’attitudine ludica e vagamente surreale.
Un trio misto romano – pugliese per un’esortazione a seguire la propria strada, senza curarsi di chi prova a contenere le proprie aspirazioni o abbassare le proprie aspettative.
I Lumied esibiscono una ventata di pop rock interpretata da una vocalità femminile con una discreta attitudine.
Viviamo tempi oscuri: il Pianeta se la passa male e anche l’umanità non sta messa benissimo.
Il secondo capitolo della biografia musicale del progetto di Cecilia Miradoli e Max Tarenzi è incentrato sulla ricerca di una ‘scintilla’, che ad accenderla siamo noi o qualcun altro, che diventa l’unico sentiero percorribile se non si vuole definitivamente mollare la presa e lasciarci sommergere dalle acque limacciose dello scoraggiamento, di un futuro visto come ineluttabile, forse di un filo di autocommiserazione.
Non che il percorso sia agevole, date le condizioni.
Dieci i brani presenti, lungo i quali si ricorre a un ampio campionario di sonorità che a partire dalla new wave e il post punk, attraverso shoegaze, dreampop e trip hop ci hanno accompagnato per ormai quasi mezzo secolo.
“A Sparkle In The Dark Water” diventa così un lavoro in costante oscillare tra pessimismo cosmico e speranza , tra la presa d’atto dell’esistente, che non invita alla speranza nemmeno i giovani, ‘rose congelate’ in un eterno presente che ostacola anche il ‘guardare lontano’ che dovrebbe essere tipico delle giovani generazioni, e la convinzione che una via di uscita esista e risieda nel riscoprire ciò che ci rende simili come esseri umani: le speranze che ci accomunano, la capacità di sognare, l’empatia che – anche non sempre – ci spinge a prenderci cura dell’altro.
Sensazioni tradotte dalla voce di Cecilia Miradoli, in una cornice stilistica personale rievoca a tratti Siouxsie o Beth Gibbons, affiancata in dialogo costante dalle tessiture chitarristiche di Max Tarenzi, in una gamma di consistenze che va dalla ruvidità, quasi sfiorando il noise, fino all’evanescenza.
Certo, a giudicare da ciò che succede in giro, in un momento in cui le divisioni sembrano aver preso ampiamente il sopravvento, a partire dalle guerre che sono ormai diventate un triste aggiornamento quotidiano, non c’è da stare allegri nemmeno pensando alle potenzialità dei rapporti umani…
Un assortito gruppo di musicisti, provenienti da disparate esperienze nell’ambito del rock alternativo italiano (Afterhours e Calibro 35 tra gli altri) si getta a capofitto nell”impresa’ di dare vita a un disco… di liscio.
Questo il primo esito, firmato da Alessandro Grazian, ad anticipare l’uscita dell’intero lavoro.
Liscio è indubbiamente liscio, con un profumo da commedia all’italiana dei tempi d’oro, ma c’è qualcosa di indefinibile, di ‘sghembo’, che rivela che a eseguirlo non è gente che viene dalla tradizione.
Il dolore per il venire meno di una persona cara a causa di una malattia.
Kimele, originario di Acerra, svolge il tema con un’intensità che riesce a non diventare melodramma con un contorno sonoro essenziale e modi che possono ricordare vagamente Tiziano Ferro.
Un inno alla musica e alla propria dedizione verso di essa, prezzi da pagare inclusi
Masterman Mc, originati di Aversa ma trapiantato ad Avellino, due EP e varie altre produzioni all’attivo, è autore di un hip hop incisivo, vecchio stampo, un contorno sonoro dal classico incedere marziale che fa da sfondo a un flusso di parole essenziali e senza orpelli.
UnFauno
Ilary Blasi
kuTso Noise Home / Artist First
Fausto Lami, alias UnFauno, emergente della scena romana, è autore di un retroscena immaginario di una delle separazioni più ‘rumorose’ degli ultimi anni, mettendosi nei panni del ‘capitano’, con un pop dalle tendenze danzerecce affidato alla produzione di Matteo Gabbianelli dei Kutso.
Torinese di nascita, cresciuto artisticamente tra la città sabauda, Roma e Milano, Bosio esordisce con un pezzo già presentato ad Area Sanremo: non a caso la marca è sanremese con un’interpretazione sull’onda del rimpianto per una storia finita.
Un inno alla gioventù da parte di chi potrebbe essere un fratello maggiore.
Il veronese Ulula, svariate esperienze all’attivo e un disco di prossima uscita, dedica ai giovani un movimentato pezzo di pop immerso in un’elettronica che sfiora vagamente la psichedelia, con qualche rimando ai migliori Subsonica.
Due dischi e svariate collaborazioni all’attivo, il pescarese Giuseppe D’Alonzo torna con un singolo dedicato a chi gode del tempo prezioso a propria disposizione senza disperderlo in troppe futilità.
Influenze funky e disco anni ’70 per un pezzo incentrato sulla chitarra elettrica, suo strumento d’elezione, che il musicista maneggia accennando qualche virtuosismo, ma restando all’interno di una cornice strettamente pop.
A 7 anni dal precedente disco di esordio, tornano i toscani Tanks And Tears.
Un tuffo in piena oscurità anni ’80, quello proposto dalla band formatasi a Prato, che in queste nove tracce, ripropone gli stilemi tipici del periodo prendendo spunto da Band come Cabaret Voltaire, Clock DVA e Skinny Puppy, oltre che i più classici Joy Division e Bauhaus.
Pregi e difetti di un disco ‘di genere’: da un lato, il rischio del ‘già sentito’, che qui viene affrontato in pieno con brani che ricordano atmosfere e umori del periodo, a tratti rasentando l’effetto – cover band; dall’altro una riproposizione che riesce efficacemente a restituire l’inquietudine sonora tipica di quelle esperienze.
Più efficaci nei brani più lunghi, in cui magari si cerca il ricorso a qualche soluzione in più, come nel vago sentore cosmico di ‘Galaxies’, il quartetto toscano, tra tastiere dalle suggestioni horror e il classico cantato ‘cavernoso’, offrono una prova apprezzabile, anche se un filo di originalità in più non avrebbe guastato.
“Afrolulu”, ovvero: “Afrospazzatura”: non tanto come ‘immondizia’, quanto, forse, come ‘avanzo’: cinque lunghe composizioni che sembrano nascere da scarti, materiali e risulta; abbozzi percussivi trasformati in loop ipnotici, canti tribali, le voci – episodiche – di Martin Luther King e Malcolm X – il tutto avvolto in un’elettronica che sfiora la trance, in un lavoro che dichiaratamente prende spunto da corse clandestine e ambienti urbani, e che personalmente mi ha ricordato una versione ‘afro’ di certi temi di “Akira” o le atmosfere dei romanzi di William Gibson, dove la ‘spazzatura’, gli scarti tecnologici rivestono un ruolo centrale.
“Afrolulu” assume insomma, le sembianze di uno sguardo di un futuro prossimo venturo, in cui l’Africa si appresta a diventare un ‘motore’ e non più tanto o solo una fonte di polemiche, a volte di livello anche abbastanza misero, costruite sulla pelle delle persone.
A una settimana circa dall’uscita del loro secondo lavoro, Cecilia Miradoli e Max Tarenzi, alias Pinhdar ne pubblicano una nuova anticipazione, stavolta estremamente onirica: suggestioni new wave in atmosfere sospese, accentuate dal video, in cui tutto e non solo le rose, viene congelato.
Il capitolino Blutarsky propone un hip hop che si fa piacere, privo della fretta di molti suoi colleghi, in cui ci si prende il tempo per qualche riflessione anziché ripetere due o tre volte lo stesso concetto, interpretato con la propria voce e senza il ricorso invasivo a ‘sostegni elettronici’, con un accompagnamento sonoro essenziale.
Secondo singolo per Simone Ciccioni, alias Ladrone00, che dà voce alle insicurezze e al disagio di un mondo che poco si addice alla fragilità; a dare un minimo di sostegno intervengono i sentimenti.
Un rap contornato di sonorità dance, a tratti anche troppo invasive.
Emanuele via già conosciuto per il suo lavoro con Eugenio in via di gioia rinnova la collaborazione col quartetto d’archi Charlie T (violino, violoncello, contrabbasso, arpa).
‘Scacchi’, primo estratto dal nuovo lavoro, di prossima uscita, è un classico è una classica composizione di vaga ispirazione cinematografica (leggi Nyman, Ludovico Einaudi), forse non originalissima ma comunque suggestiva.
Palmer Generator
Ventre III
Bloody Sound
Gruppo a ‘conduzione familiare’ – padre e figlio e zio – i Palmer Generator pubblicano questo secondo strada dalla loro più recente fatica.
Un quarto d’ora e passa di durata, così come ‘extralong’ sono gli altri tre capitoli di “Ventre”, questa composizione si stende all’insegma di moduli post – rock, con accenni noise in un panorams colorato di tenui tine oniriche e accenni psichedelici.
Il nuovo brano del cantautore di Genzano (provincia di Roma) esce in occasione della Giornata Mondiale dei Disturbi Alimentari, ed è infatti un accorato appello al prendersi cura di sé, smettendo di dare peso a tutto. L’intento è lodevole, l’esito forse un po’ troppo ‘di maniera’ ed eccessivamente ‘accorato’.
Una carriera ventennale, passata attraverso i generi, K-Ant torna con un rap incisivo, che ricorda la migliore stagione italiana del genere, in cui fa il punto sulla propria situazione esistenziale.