Avviene abbastanza di frequente che i dischi dei cantautori – a inizio carriera o già affermati – finiscano per essere poco ‘suonati’: talvolta alle spalle c’è una molto concreta ‘mancanza di mezzi’, in altre occasioni dipende dall’intramontabile fascino della figura idealizzata del cantautore solo contro il mondo, armato solo della propria chitarra; la maggior parte delle volte, diciamocela tutta, c’è l’obbiettivo egoismo del cantautore: il cantautore vuole stare da solo, per i fatti suoi, dire e suonare ciò che vuole senza dover scendere a patti con nessun altro. I musicisti che, specie nei casi di carriere già lanciate, lo accompagnano, sono poco più che turnisti, meri ‘esecutori’ e questo a un orecchio attento finisce per essere evidente.
Michele Anelli non è certamente un giovanotto di primo pelo (classe 1964), né un novellino sotto il profilo artistico: alle spalle una lunga e prolifica attività (per quanto non troppo illuminata dai riflettori) durata una ventina d’anni coi Groovers, proseguita con vari progetti solisti… Sarà forse proprio per questa abitudine a collaborare con altri che, per essere il lavoro il lavoro di un cantautore, “Giorni Usati” appare un disco insolitamente variegato sotto il profilo sonoro; non solo: l’ascolto dei dieci brani presenti dà l’idea che a suonare non siano arrivati dei semplici, per quanto valenti, ‘mestieranti’: si avverte un amalgama che va oltre il semplice: ‘vieni il giorno x in studio e mi suoni questo, questo e quest’altro’… O almeno, tale è la mia impressione, magari sbaglierò.
Il risultato è un disco che ricorda quegli incontri sonori tipici degli anni ’60, quando certi lavori erano magari intitolati a un cantante, ma talvolta finivano per risultare degli happening, delle riunioni in cui non tutto era programmato a tavolino, ma i pezzi finivano per prendere svolte impreviste lì, su due piedi.
Impressione accresciuta dal fatto che, in più di un episodio, il lavoro si incammina sui sentieri delle contaminazioni tra jazz e rock, ricordando (seppur alla lontana), le esperienze di Perigeo & co., ma trovando il tempo per declinazioni all’insegna dello swing, una parentesi gospel ed episodi dalla più marcata impronta cantautorale, ma in cui i suoni non sono mai un semplice contorno delle parole.
La presenza di tastiere (Andrea Lentullo) e contrabbasso (Matteo Priori) non poteva del resto non instradare il disco su territori jazz, assieme alle chitarre suonate dallo stesso Anelli e alle batterie, dietro cui si alternano Stefano Bortolotti, Sergio Qualgliarella e Nik Taccori; un ulteriore manipolo di collaboratori aggiunge, di volta in volta, fiati e archi.
I testi alternano introspezione, rapporti affettivi e dediche a chi si è incontrato lungo la strada e che alla fine della strada è giunto e uno sguardo sul mondo, tra temi sociali (la lotta delle vittime dell’amianto, la figura di Peppino Impastato), la mancanza di figure di riferimento sotto il profilo ‘ideale’, la capacità delle persone di lottare per il futuro anche quando il contesto porterebbe ad arrendersi. Un disco con tre pezzi intitolati a figure femminili, la Donna vista come simbolo della ‘resistenza’ contro le storture del mondo.
Banale, affermare che “Giorni Usati” è un disco da ‘ascoltare’: meno scontato affermare che, una volta tanto, è un lavoro in cui parole e suoni finiscono per richiedere la stessa attenzione, senza che vi siano protagonisti e ‘spalle’.