Archive for Maggio 2018

FUMETTAZIONI 3/2018

Brevi (più o meno) recensioni di letture disegnate.

 

SANDMAN MYSTERY THEATRE: LA NEBBIA

La ‘nebbia’ del titolo è ciò che resta dopo che un’arma incredibile rilascia i suoi tremendi raggi: un’invenzione che potrebbe rivelarsi decisiva, nel momento i venti della II Guerra Mondiale cominciano a spirare dall’Europa.
Un pretesto, in fondo, che permette a Matt Wagner di dipingere il consueto ritratto di un’epoca e delle sue convenzioni sociali; a occupare la scena è però la vicenda di un giovane di origine tedesca, che viene lentamente irretito da un circolo nazista in terra americana.
Steven T. Seagle e Guy Davis curano la parte grafica.
Voto: 7,5

 

STARSTRUCK

Può sembrare un luogo comune, sottolineare i risultati inaspettati della scrittura femminile applicata a generi solitamente poco ‘femminili’, ma questo è uno di quei casi: Elaine Lee dipinge un mondo futuro e post-atomico, in cui l’uomo ha colonizzato il cosmo, ma non sembra aver perso le sue vecchie abitudini… Il risultato è una serie di avventure surreali, condite con satira politica, antimilitarista, religiosa e sui ‘costumi’, anche sessuali… magistralmente disegnata da Mike Kaluta, “Starstruck” esonda dai confini della ‘narrativa disegnata’ per diventare un magnifico esempio di letteratura sci-fi.
Voto: 8,5

 

THE WALKING DEAD 52

Comincia l’inevitabile, e ampiamente prevedibile, scontro coi Sussurratori: Rick sistema le truppe, ma saranno sufficienti contro la marea di non morti – e di vivi travestiti come tali – che gli sta arrivando addosso?
Mentre – e come ti sbagli? – uno dei personaggi ‘di lungo corso’ ci rimette le penne – la ‘nemesi’ Negan potrebbe rivelarsi ‘l’uomo in più’ di tutta la situazione.
Voto: 6,5

 

LA VENDETTA DEL MONOLITO VIVENTE

Un nemico – letteralmente – enorme, tre dei Fantastici 4 suoi prigionieri, Vendicatori e mutanti assortiti in tutt’altre faccende affaccendati: tocca a Capitan America, l’Uomo Ragno e She-Hulk (ai tempi negli stessi F4, sostituta temporanea de La Cosa) difendere New York.
E’ il 1985: scrive l’ottimo mestierante David Michelinie, disegna un Marc Silvestri qui alla prima prova ‘importante’ per la ‘Casa delle Idee’, uno stile gradevole, ma ancora lontano dai fasti del decennio successivo.
Voto: 7

 

SILVER SURFER: THE ULTIMATE COSMIC EXPERIENCE

Dopo aver creato l’Universo Marvel a inizio anni ’60 e aver in seguito rotto i loro rapporti per divergenze creative ed economiche, Stan Lee e Jack Kirby tornano a collaborare nel 1978 per offrire una rilettura dell’epopea di Silver Surfer, forse il frutto più immaginifico della loro collaborazione. Storia del tutto svincolata dalle vicende precedenti del personaggio, nel formato di un ‘romanzo grafico’ del tutto inusuale rispetto al fumetto seriale della Marvel, ‘l’esperienza cosmica definitiva’ propone una di quelle classiche vicende di sacrificio tipicamente marvelliane, in cui il protagonista si trova di fronte alla drammatica scelta tra seguire il proprio cuore e ottemperare al dovere di salvare l’intera popolazione, per quanto per molti versi poco ‘meritevole’, del pianeta Terra. Architetto del tutto, e non poteva essere altrimenti, Galactus, entità primigenia, che risponde solo alle proprie necessità e agli imperscrutabili disegni che l’hanno portato a girovagare per l’universo preda di una fame incessante che lo porta a consumare qualsiasi pianeta animato da energia prodotta dalla vita.
L’ultima grande storia prodotta da Lee e Kirby è un grande omaggio alla Marvel delle origini, che si legge col rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere se la collaborazione tra i due non di fosse interrotta.
Un autentico gioiello, purtroppo dalla reperibilità oggi molto difficile.
Voto: 8,5

 

INVINCIBLE 52

Uno sviluppo inaspettato porta a un drastico cambiamento nello status quo e negli equilibri tra i personaggi della serie: e dato che il buon Mark ne ha – e a ragione – le scatole piene di cambiamenti ogni due per tre, si decide a ‘un grande passo’, per costruirsi almeno un minimo di stabilità nel ‘privato’…
Voto: 6,5

In appendice, due storie ‘d’ordinanza” di Tech Jacket, tra salvataggi interstellari, profughi alieni e amori interplanetari ostacolati da ‘incompatibilità anatomiche’…
Voto: 6

 

THE SENSATIONAL SHE-HULK
E’ il 1985 quando la Marvel incarica John Byrne di dare nuova linfa alla cugina di Bruce Banner con questa graphic novel.
Il risultato, come suggerisce il titolo, è ‘sensazionale’: al di là della storia (la gigantessa verde catturata dallo SHIELD al fine di ‘studiarla’ e renderla inoffensiva, nel caso ‘sbarellasse’ come il più famoso parente) con l’aggiunta di una minacciosa colonia di scarafaggi intelligenti (!!!), il fumetto vale soprattutto per la parte grafica, in cui un Byrne sornione rende la protagonista una bomba sexy che preannuncia l’era delle supereroine coi costumi stracciati del decennio successivo e l’attitudine decisamente ironica, a tratti apertamente umoristica; elementi che lo stesso autore avrebbe successivamente sviluppato nella serie autonoma del personaggio.
Voto: 7,5

 

SPIDER-MAN: BLUE

Peter Parker affida a un registratore una lunga lettera – confessione destinata all’indimenticata Gwen Stacy, ritornando sulla storia del loro incontro e di quello parallelo con Mary Jane, l’altra donna della sua vita…
La premiata ditta Jeph Loeb – Tim Sale, dopo aver riletto i primi anni di Batman, a inizio anni ’10 si dedica ad alcuni dei più iconici supereroi Marvel, assegnando ad ognuno di loro un ‘colore’, dominante nei disegni ma anche emotivamente; per l’Uomo Ragno è il ‘blue’, quello stesso sentimento di malinconia / nostalgia che è l’impronta caratteristica del jazz. Il risultato è il racconto agrodolce di un gruppo di giovani – Peter, Gwen, MJ, Harry Osborne, Flash Thompson – che si stanno affacciando all’età adulta, con le loro debolezze, incertezze, amicizie, amori… Certo, sempre dell’Uomo Ragno si tratta, e non mancano le scazzottate e i ‘cattivoni’ (Rhino, Lizard, L’Avvoltoio), ma qui le ‘botte’ assumono un ruolo quasi marginale, rispetto al ritratto di una gioventù: sembra quasi di trovarsi di fronte a degli epigoni di Stephen King, un maestro nel parlare di ‘cose importanti’ mascherandole da libri horror.
Si respira un’atmosfera da fine estate, in cui tutti si divertono, sapendo che di lì a poco si dovrà tornare a ‘fare sul serio’, e nel caso di Peter e Gwen la tragedia è dietro l’angolo.
Un piccolo (mica poi tanto, trattandosi di una miniserie di 6 numeri) capolavoro e una delle storie più intense de L’Uomo Ragno degli ultimi vent’anni.
Voto: 8,5

 

FANTASTICI 4 1 2 3 4

Grant Morrison e Jae Lee inscenano l’ennesimo scontro tra gli F4 e il Dr. Destino, alleato al ‘solito’ Uomo Talpa ossessionato da propositi di vendetta e da un Namor più che mai intenzionato a conquistare la Donna Invisibile… Il tentativo, come al solito, quello di separare il Quartetto: ancora una volta, col miraggio di una ‘vita normale’ per La Cosa; gettando l’ombra del dubbio sulla spavalderia della Torcia; attentando alla fedeltà coniugale di Sue.
La sfida però è come al solito tra Destino e Reed: un confronto più che mai ‘celebrale’, apparentemente sulla strada completa alienazione…
Il finale è prevedibile, lo svolgimento ‘canonico’, ma Grant Morrison ci mette del ‘suo’ e, accompagnato dai disegni a tratti vagamente ‘disturbanti’ di Jae Lee offre una lettura forse non originalissima della dinamiche degli F4, ma comunque sostenuta da una scrittura di livello.
Voto: 7

 

WONDER WOMAN: THE BLUE AMAZON

Conclusione di una trilogia ‘espressionista’, scritta dai coniugi Jean-Marc e Randy Lofficier e disegnata da Ted McKeever, cominciata con “Superman – Metropolis” e proseguita con “Batman – Nosferatu”, la storia è naturalmente – e liberamente – ispirata a “L’Angelo Azzurro”: Diana, immemore del suo passato, si esibisce ogni notte in un club, schiava dei desideri (e forse di qualcosa di più concreto) dei clienti, fino a quando le cirscostanze non la porteranno a risvegliarsi, partecipando a un confronto che svelerà i segreti e deciderà le sorti del ‘mondo di sopra’, di ‘quello di sotto’ e del ‘Paradiso’ dal quale lei stessa proviene…
Il capitolo finale della trilogia finisce per essere il più debole dei tre, forse perché se le associazione di idee tra la ‘Metropolis’ di Lang e quella di Superman e tra il “Nosferatu” di Murnau e l’aspetto per certi versi vampiresco di Batman sono più dirette, il filo che lega Wonder Woman con la Lola di Marlene Dietrich nel film di Von Sternberg è decisamente più esile e il tutto appare un po’ ‘forzato’ dall’idea di portare appunto a termine una trilogia.
I Lofficier se la cavano svolgendo un ‘compitino’ senza particolari sussulti; McKeever da il suo contributo col suo solito tratto difficile, a metà strada tra lo straniante e il caricaturale.
Voto: 6,5

 

WONDER WOMAN THE TRUE AMAZON

Wonder Woman prima di Wonder Woman: dono degli dei alla regina Ippolita, cresciuta nella bambagia fino ad essere viziata, dotata di facoltà eccezionali… Fino a quando, pur di primeggiare, non commetterà un classico peccato di superbia, con le più nefaste conseguenze….
Jill Thompson rilegge le origini della più famosa amazzone dei tempi moderni, un romanzo di formazione che si sposa con stilemi tipici della tragedia greca, con disegni pittorici ad acquerello che fanno al tutto delle atmosfere da Arcadia: l’isola di Temiscira è un mondo ideale costruito a prezzo del sangue e dell’esilio dove improvvisamente irrompe il dramma, causato proprio dalla più amata delle sue abitanti.
Voto: 7,5

 

BATMAN – THE SPIRIT: CRIME CONVENTION

Due tra i giustizieri più iconici del mondo dei fumetti si incontrano in questa gustosa storia firmata da Jeph Loeb, che orchestra un classico crossover in cui i nemici storici dei due eroi utilizzano i loro classici comprimari per ordire un tranello ai loro danni.
La fine, tra ampie scazzottate, arriva facile e veloce, ma quando all’omaggio di Loeb all’età dell’oro si aggiunge il tratto, deliziosamente sospeso tra atmosfere retrò e stile ‘cartoonistico’ del mai troppo compianto Darwyn Cooke, il risultato è veramente gustoso.
Voto: 7

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ELLEN RIVER, “LOST SOULS” (NEW MODEL LABEL / AUDIOGLOBE)

Lei si chiama Elena Ortalli, ma ha scelto l’alias di Ellen River, quasi a voler identificarsi con quel ‘fiume’ che è uno dei classici ‘luoghi dell’anima’ della musica popolare americana, dal folk al blues fino ad arrivare al rock.

Tradizione in cui Ellen si è totalmente immersa, avviando un viaggio (o forse una navigazione) che la porta ora al secondo lavoro sulla lunga distanza.

“Lost Souls”, anime perdute: un altro topos dell’epica d’oltreoceano, che evoca locali fumosi o sperdute tavole calde lungo le ‘highways’; esistenze ai margini, solitudini urbane, i rapporti con gli altri, perdite; ma anche la natura come presenza salvatrice.

Elena / Ellen dà vita a otto pezzi intensissimi, radicati nella nobile tradizione del cantautorato d’oltreoceano, in fondo inutile citare i riferimenti, intuibili e scoperti.

La accompagna in questo viaggio una band di prim’ordine: Antonio ‘Rigo’ Righetti, Mel Previte e Roby Pellati calcano la scena rock italiana da un quarto di secolo abbondante, tra i Rocking Chairs e la lunga collaborazione con Ligabue e mettono arte ed esperienza a sostegno della più giovane, ‘Ellen’, idee chiare, sentimenti e spesso grinta per personalità e stile già ben delineati.

TRUEMANTIC, “TRUEMANTIC” (SEAHORSE RECORDINGS)

Disco d’esordio per il progetto del compositore e produttore Toto Ronzulli.

Siamo in pieni territori elettronici, in in lavoro quasi del tutto strumentale, all’insegna di un’ampia varietà di panorami: riferimenti all’elettropop degli anni’80 e alle derivazioni più ‘oscure’ dello stesso periodo; un occhio ai ‘classici’ degli anni ’70, qualche rimando ai ‘dancefloor’ dei ’90 (vedi il compianto Robert Miles), spore del ‘glitch’ del primo scorcio del nuovo secolo.

L’esito coinvolge e a tratti affascina: un lavoro reso dinamico dal costante cambio di clima e scenario, tra movimento e riflessione, parentesi più aggressive e frangenti più rarefatti, con momenti in cui prevalgono atmosfere cinematografiche.

L’elemento vocale è presente solo in uno degli undici episodi presenti, altrettanto occasionale l’intervento di fiati, archi, chitarre, curate dal manipolo di strumentisti giunti a dare una mano.

Nato per stessa dichiarazione dell’autore dalle suggestioni dei paesaggi incontaminati della città di origine Margherita di Savoia, “Truemantic” trova forse proprio nella ‘verginità’ di quegli scenari, non ancora stravolti dall’urbanizzazione, il significato ultimo della crasi tra ‘true’ e ‘romantic’ che ne compone il titolo: il romanticismo della verità o la ricerca come ultimo gesto romantico, in un lavoro la cui fascinazione risiede proprio nell’idea di creare e ascoltare sonorità sintetiche, tipiche dell’età (post)industriale, scaturite dalla suggestione di un paesaggio quasi primitivo.

DOGMAN

Marcello è il proprietario di un piccolo negozio di toelettatura cani, nella periferia degradata di una grande città: si arrangia, arrotodando con lo spaccio di piccole dosi di cocaina e partecipando a qualche furtarello: a comprargli la droga e a ‘precettarlo’ per le proprie attività criminose è Simone, un bullo che tiene in scacco l’intera zona, una bestia che impone la sua legge a forza di pugni.
Marcello ne è succube, in un modo che va oltre il classico rapporto vittima – carnefice: qualcuno potrebbe definirlo ‘malato’; nella sua remissività, che arriva fino alle più estreme conseguenze, c’è la paura delle conseguenze di una ribellione, ma anche la speranza che da quel rapporto si possano raccogliere delle ‘briciole’ che gli consentano di vivere con maggiore tranquillità, magari potendosi permettere di pagarsi una vacanza assieme alla figlia, intuiamo tra l’altro che il protagonista è separato dalla moglie.
Marcello pensa forse di poter controllare e ‘ammansire’ Simone come fa coi suoi cani, in fondo si tratta pur sempre di bestie…
Le cose però prenderanno una piega ben diversa e dopo aver pagato un prezzo troppo alto, Marcello troverà finalmente la forza di ribellarsi, risolvendo ‘definitivamente’ il problema…

Quella del ‘Canaro della Magliana’ è una delle vicende di cronaca nera che resta ancora oggi scolpita nell’immaginario degli abitanti della Capitale; chi, come me, all’epoca tredicenne, ricorda ancora oggi come nei giorni successivi al ‘fattaccio’ coi compagni di classe ci si scambiassero particolari – più o meno veritieri – sulle efferatezze compiute dal protagonista… nel mio caso in aggiunta c’è il dato puramente biografico di chi abita in una zona continua allo stesso quartiere della Magliana: tutta quella storia successe a meno di due chilometri da dove abito, il cadavere della vittima venne ritrovato qui dietro, a dieci minuti di strada.
Quell’avvenimento resta ancora oggi velato da un alone quasi ‘mitologico’ perché in fondo nonostante la violenza dell’esecuzione e allo scempio del cadavere non si più non guardare al ‘Canaro’ non dico con simpatia, ma almeno con un filo di comprensione, essendo diventato un po’ il simbolo di chi alla fine si stufa di essere vittima di soprusi e finisce per ribellarsi; va comunque sottolineato che il ‘Canaro’ non era certo un stinco di santo e che tutta la vicenda si svolse in un contesto ampiamente degradato.

Matteo Garrone, che ha sottolineato di aver solo preso spunto da quell’episodio, mette in scena un climax di prepotenza e soprusi di fronte ai quali il povero protagonista finisce sempre per essere sottomesso, tanto da risultare quasi irritante, fino a quando – e viene da dire: “finalmente”” – finisce di accettare tutto e si ribella: un archetipo a metà tra il ‘borghese piccolo piccolo’ di Sordi e il ‘cane di paglia’ di Peckinpah, sullo sfondo di una periferia scialba, dai colori lividi – tutta la storia si snoda praticamente nell’ambito di un solo isolato – il cui unico contraltare sono i fondali marini che fanno da scenario ai momenti di serenità del protagonista assieme alla figlia.
Garrone racconta il tutto in maniera secca, essenziale, non evitando un finale per forza di cose violento, ma senza nulla concedere all’effettaccio o allo scorrimento di sangue fine a sé stesso.

A dare corpo e volto a Marcello è l’omonimo Marcello Fonte, che offre un’interpretazione intensa e sofferta, e col quale da parte mia c’è stato un supplemento di immedesimazione, visto che Marcello mi chiamo anche io e che come lui sono quello che si dice a Roma ‘un du’ soldi de cacio’ (insomma: piccoletto, mingherlino); devo dire in aggiunta che anche io, senza ovviamente agli estremi del protagonista, da ragazzino in qualche episodio ho provato la stessa sensazione di impotenza di fronte a certi prepotenti; gli fa da contraltare Edoardo Pesce – Simone: interpretazione altrettanto – e forse addirittura qualcosina di più – riuscita, nel suo dare vita a un personaggio odioso, per il quale alla fine non si prova alcuna pietà, pensando anzi che si merita quanto accaduto. Francesco Acquaroli e Adamo Dionisi sono due validi esempi di quelli che una volta venivano chiamati ‘caratteristi’.

P.S. Doverosa postilla, perché nel frattempo è giunta la notizia dell’assegnazione a Marcello Fonte del premio come miglior attore a Cannes: strameritato e del quale sono stato contentissimo.

ROPSTEN, “EERIE” (SEAHORSE RECORDINGS)

Nato nel 2011, il quartetto strumentale dei Ropsten, della provincia di Treviso, giunge al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza, dopo aver nel frattempo pubblicato due EP.

Come detto, si tratta di un gruppo dedito esclusivamente a composizioni strumentali, all’insegna di quello che qualche anno fa sarebbe stato etichettato come post-rock: un’etichetta per certi versi ‘di comodo’, un ‘ombrello’ al di sotto del quale col tempo si è finiti per mettere un po’ di tutto.

I Ropsten assemblano sette pezzi che veleggiano in territori largamente psichedelici, tra impressioni oniriche e siderali, momenti che sfiorano panorami d’incubo e frangenti più liquidi e dilatati.

Memori della lezione del ‘kraut rock’ degli anni ’70, ma anche della felice stagione dell’hard rock psichedelico degli Hawkwind, pronti qua e là a inserire momenti di ‘deriva’ dall’impronta quasi jazzistica; sprazzi di minimalismo.

“Eerie” nelle intenzioni manifeste della band vuole essere una riflessione sulle conseguenza della ‘degenerazione tecnologica’, una finestra spalancata su una ‘terra di confine’ tra uomo e macchina, prefigurando un mondo in cui la distinzione tra i due, anche a occhio nudo, si farà sempre più difficile.

Le atmosfere sono del resto il più delle volte plumbee, la sensazione di trovarsi sull’orlo di un baratro, di stare per addentrarsi in territori sconosciuti, per quanto a tratti si lasci comunque spazio a momenti più ariosi.

Un lavoro i cui tratti ‘vintage’ sono ripresi all’insegna di un’efficace modernità.

LORO 2

Sconfitto (per poco) alle elezioni, Berlusconi è sul punto di cedere, ma ritrovato lo smalto del venditore dei tempi migliori, rieccolo sulla breccia: via con la compravendita dei Senatori, con ‘favori’ annessi, coinvolgendo anche giovani ragazze da ‘sistemare’,  magari nelle fiction delle sue tv, e si continua con le feste in Sardegna, le ‘cene eleganti’ e quant’alto, con adeguata esposizione di corpi femminili (nulla a che vedere con la prima parte, però), mentre si conclude con poca gloria la parabola dell’arrivista Sergio Morra, fino a quando proprio una di queste giovani ragazze ha il coraggio di mettere ‘lui’ di fronte al suo essere patetico. Eppure, ‘lui’ continua a essere convinto di sé stesso e delle sue capacità, una testa ‘piena di progetti’ anche a 80 anni.
Torna al Governo, la moglie lo pianta con una piazzata che manco Travaglio e nel frattempo il terremoto de L’Aquila sembra aprire – forse – una voragine incolmabile tra ‘Lui’ e ‘noi’ gente ‘normale’.
Come si sperava, e si poteva prevedere, in questa seconda parte Sorrentino si concentra soprattutto su di ‘lui’, senza fare sconti, ma cercando di tratteggiare il lato ‘umano’ di una persona alla quale in fondo piace ‘divertirsi’ e che fa tutto ciò che i soldi gli permettono, senza riuscire ad accettare il fatto che una persona con un ruolo pubblico deve giocoforza porsi dei limiti anche nel privato. Una persona che alla fine, costruisce delle verità di comodo destinate non tanto agli altri, quanto innanzitutto a sé stesso, per evitare di ammettere le proprie debolezze.
La potenza dell’uomo sta nel fallimento di chi ogni volta ha cercato di accelerarne la fine politica e di chi ha cercato di ‘sfruttarlo’, cercando di ottenere più di quanto lui non  abbia voluto concedere.
Dopo aver visto tanti ‘Loro’ e tanto ‘Lui’, il finale sembra dedicato a ‘noi’, gente ‘normale’ coi propri problemi e a volte tragedie, lontanissimi da certo ‘mondi’… eppure, viene da pensare che proprio ‘noi’ abbiamo alla fine contribuito al suo successo, guardando le sue televisioni, comprando i suoi prodotti e alla fine votandolo.
Servillo (quasi) magistrale è al centro della scena; Elena Sofia Ricci, una Veronica Lario credibile (e che si spoglia pure lei) e poi tutto il resto della ciurma, tra la giovanissima Alice Pagani (una ‘promessa’?) e uno Scamarcio di fronte al quale per l’ennesima volta ci si chiede quali doti abbia a parte la bellezza donatagli da Madre Natura.
Certo, resta comunque l’idea di un film che non dice nulla di nuovo, perché alla fine in vent’anni e passa un’idea sul Berlusconi pubblico e privato ce la siamo fatta tutti; né abbiamo avuto chissà quali rilevazioni riguardo quanto poteva succedere in certe occasioni, o quali fossero e siano ancora le dinamiche di certi ambienti: il caro, vecchio detto sul ‘pelo di f*** e il carro di buoi’ non tramonta mai.
L’impressione finale, allora, è che di questo film resti soprattutto la ‘carne’ esposta ampiamente nella prima parte e in misura minore nella seconda: un’esposizione di nudi femminili e situazioni ‘al limite’ come raramente si è vista nel cinema italiano ‘serio’; certo funzionale alla storia, ma per certi versi eccessiva e a un certo punto noiosa. Io comunque se fossi in quelli di Pornhub a Sorrentino un film hard glielo proporrei…

FALLEN, “ÁST ” (TIME RELEASED SOUND)

Ást, ovvero: ‘amore’ in islandese. Il nuovo lavoro del progetto Fallen, il cui artefice in precedenza aveva lavorato con con lo pseudonimo di The Child Of A Creek, nasce da un’esperienza prettamente ‘domestica’: quella della prima convivenza del musicista.

Ást riflette dunque quest’anno di vita comune, i cambiamenti intervenuti a partire da quelle ‘piccole’ la cui somma rende caratteristica ogni singola esistenza.

Fallen affida le sue riflessioni attraverso i modi che avevano caratterizzato i precedenti lavori: un ambient che fluisce lento, magmatico, trame evanescenti stese da chitarra e piano, organo e sintetizzatori; sullo sfondo, tappeti in cui si inseriscono ‘suoni di ambiente’ e vaghi ‘rumorismi’ generati da oggetti di uso comune.

Otto composizioni che scorrono placide e avvolgenti, un mood che non può che definirsi riflessivo e che a tratti riesce a trasmettere il tepore di una rassicurante tranquillità domestica.

LORO 1

Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) ambizioso e spregiudicato trafficone tarantino, giunge a Roma con l’avvenente moglie, mosso dall’obbiettivo di incontrare ‘lui’…
‘Lui’ nel frattempo è in Sardegna, momentaneamente escluso dal Governo, impegnato a cercare di tenere in piedi ciò che resta del suo matrimonio.
La prima parte del nuovo film di Sorrentino si divide in due ‘sezioni’: la prima, ci mostra un mondo decadente, con giovani donne disposte a usare senza tanti complimenti il proprio corpo per fare strada…
Siamo a due passi dalla Roma de “La Grande Bellezza”: lì la protagonista era la noia di una generazione di intellettuali falliti sotto il profilo ideale, qui quel divertimento ‘obbligato’ che rappresenta il raggiungimento del successo nel mondo politico ed economico.
Mi scuso per i ‘francesismi’, ma in sintesi ci viene presentata un’ora di troie, cocaina, tette, culi, strusciamenti (etero e lesbo).

Poi, negli ultimi 40 minuti, arriva Servillo – Berlusconi (così così il milanese, ottima la mimica) e il clima si rasserena, pur non tacendone l’arroganza, ignoranza e grettezza. L’idea di fondo è forse quella di presentare il mondo dei ‘loro’ che gli girano intorno come peggiore di ‘lui’ stesso, come le cronache tutto sommato ci hanno mostrato.
Resta comunque il dubbio di trovarsi davanti a una grande paraculata di Sorrentino che per oltre mezzo film non fa vedere altro che donne mezze (o tutte) nude, Kasia Smutniak inclusa (applausi).
Il prossimo, suggerirei direttamente un porno.
A restare su tutto è la prova di
Bentivoglio – Bondi: grandissimo.
Appuntamento a “Loro 2” per una più completa e corretta opinione.

SPAGHETTI WRESTLERS – EP (VINA RECORDS)

Vabbè: visto il nome, la copertina con un tizio con la maschera di un gallo calcata in testa e i ‘nomi di battaglia’ dei protagonisti – John Doe, Al Purun e Super Nacho – non ci si può aspettare di certo uno di quei dischi di cantautorato ‘depressivo’ oggi tanto di moda…

Lo ‘scherzo’ continua con l’intro, tratto dal film “Nacho Libre” con Jack Black, ma poi si comincia a fare – più o meno – sul serio: con cinque pezzi al fulmicotone, all’insegna di un garage che guarda alla tradizione ma anche alle rivisitazioni più o meno recenti e di un punk rock analogamente sospeso tra vecchia e nuova scuola (vedi alle voci: Green Day, Offspring et similia), qualche spora ‘southern’.

Chitarre sferraglianti, sezione ritmica ‘quadrata’, cantato sguaiato ma non troppo, qualche coretto ‘anthemico’…

Gli Spaghetti Wrestlers (dietro ai quali si nascondono due componenti degli Invers e uno dei fondatori della Vina Records), danno insomma l’idea di uno di quei progetti nati in modo quasi estemporaneo, magari con nemmeno troppo impegno e una buona dose di ‘cazzeggio’, ma nel corso del quale ci si è accorto di poter fare le cose ‘sul serio’ e alla fine il tutto risulta un ascolto troppo breve.

QUADROSONAR, “FUGA SUL PIANETA ROSSO” (PHONARCHIA DISCHI / LIBELLULA MUSIC)

La ‘fuga’ è ovviamente la metafora / allegoria dell’evasione da una realtà fatta di gabbie, sociali e psicologiche. Il disco d’esordio dei Quadrosonar, band toscana fondata da Francesco Thomas Ferretti e Salva La Bella, reduci da esperienze pregresse.

Inevitabilmente, nello snodarsi del viaggio s’incrociano i classici ‘grandi temi’: i rapporti col prossimo, piu o meno sentimentali, lo sguardo rivolto a un passato idealizzato, l’apatia social(e) che induce a preferire la minore complicazione dei rapporti virtuali rispetto a quelli reali, le ossessioni imposte da una società in perenne competizione, all’opposto la presa d’atto della propria irrilevanza; qua e là, parentesi dall’afflato più onirico, meno immediatamente ‘leggibili’.

Il quartetto toscano sceglie una formula sonora variegata: radici wave, frequenti derivazioni ‘sintetiche’ e a tratti ‘industriali’, qualche suggestione prog, escursioni dalla maggiore vena hard rock, sprazzi dominati da una maggiore vena cantautorale.

S’impone la marca vocale di Ferretti, dagli accenti talvolta ‘renghiani’, certo meno rivolta alla compostezza formale e più alla ‘comunicazione’.

Non tutto convince fino in fondo, si avverte forse la necessità di una più puntuale focalizzazione stilistica, ma le ‘carte in regola’ ci sono.