Nati nel 1996, tra alterne vicende, la classica gavetta dal vivo e varie collaborazioni, anche cinematografiche, gli Yumma Re giungono oggi a dare un seguito anche alla loro discografia, ferma finora all’esordio, “Eden”, targato 2008.
Dieci brani all’insegna di un connubio tra elettricità ed elettronica: tema non nuovo, ma svolto con una certa personalità; si va da suggestioni che – specie nei momenti più calmi – evocano i Depeche Mode (magari quelli a cavallo tra anni ’90 e 2000), anche per merito del cantato di Luigi Nobile (con un occasionale accompagnamento femminile) a momenti all’insegna di rarefazione che riconducono alla felice stagione del trip – hop; per altro verso, dal lato più ruvido della faccenda, il quintetto si mostra capace di rievocare le sferzate urticanti del post punk. Un terzo filone del disco è quello di brani più intimi e dal tono crepuscolare, caratterizzati da sonorità più scarne. Dominano chitarre elettriche, tastiere, piano synth, con la classica sezione ritmica di complemento, qualche fiato a fare capolino.
Un insieme di soluzioni sonore messo al servizio di testi che, prendendo le mosse dal semplice dato autobiografico (il titolo del disco proviene dal nome del palazzo in cui i tre fratelli nobile, nucleo storico della band, sono cresciuti), getta lo sguardo sul mondo che gira intorno, quello più vicino, prendendo di mira la classe politica, lo stato della cultura e della società in genere, e quello più lontano, con una dedica speciale al Sudamerica.
In mezzo, ampio spazio è comunque lasciato al proprio mondo interiore, con omaggi a Billie Holiday e citazioni della Norma di Bellini.
Nonostante i riferimenti sonori espliciti, la formula non originalissima e momenti in cui il ‘già sentito’ fa più volte capolino, gli Yumma Re, riescono comunque ad evitare che lungo l’ascolto di “Sing Sing” si faccia largo la noia, supplendo a questi punti deboli con un’adeguata dose di personalità e capacità esecutiva.