Posts Tagged ‘Depeche Mode’

RESONANZ KREIS, “AFRIKA” EP (THEDUSTREALM MUSIC)

Resonanz Kreis

Afrika EP

theDustRealm Music

Nuovo lavoro per questo progetto solista, attivo in quel di Cuneo da fine anni ’90 e dedito a un’elettronica che attinge a piene mani dai ‘capisaldi del genere’, dagli anni ’70 (Kraftwerk) a esperienze più vicine (Röyksopp), passando per gli ’80 dei Depeche Mode.

Qui le cose si fanno se vogliamo più ambiziose: il titolo rivela gran pare delle intenzioni e l’obbiettivo di coniugare l’elettronica con le sonorità del continente africano.

Sei pezzi, in cui dominano le costruzioni strumentali, ma che non disdegna – e sono forse gli episodi più riusciti – il ricorso a campionamenti di cori e voci ‘tribali’, come prevedibilmente tribali sono le percussioni che accompagnano tappeti e ‘ambienti’ sonori ancorati all’elettronica europea di cui sopra.

Il risultato è effettivamente affascinante e la brevità del lavoro lascia un po’ la ‘voglia’.

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SQUID TO SQUEEZE, “DADA IS NOT DEAD” (NEW MODEL LABEL)

Elettropop e una spruzzata di psichedelia, il tutto con un occhio alla sperimentazione. Squid To Squeeze è la ‘creatura’ di Jacopo Gobber, questo, presumo, il primo lavoro.

Dieci tracce, che riecheggiano le sonorità che hanno sancito il successo di certa elettronica d’oltralpe (Daft Punk e non solo): sonorità sintetiche che affondano le radice nell’età dell’oro di Kraftwerk & co., spogliate delle vesti più ruvide e rese più ‘accessibili’ attraverso un indubbia predisposizione pop, ma senza esagerare: qua è là tra le righe si scorge la lezione dei Depeche Mode; non rinunciando, in alcune parentesi, a trovate più sperimentali: Jelly (S)tone è tutto un crepitare di bit, quasi come se si giocasse con le sonorizzazioni dei videogame anni ’80.

Gobber / Squid to Squeeze trova anche il tempo di omaggiare i propri ‘eroi’ di riferimento: tre le cover presenti, rispettivamente pescate nel repertorio di Syd Barrett, dei Jesus & Mary Chain, del meno conosciuto Nigeriano William Onyeabor, uno dei capostipiti dell’elettrofunk africano.

L’attitudine è quella di chi, cercando un proprio sentiero sulla strada, ampiamente battuta, di un’elettronica che pur aperta all’ascoltatore, non scelga mai percorsi troppo ‘facili’, mantiene intatta una certa attitudine ‘ludica’, forse la voglia di spiazzare vagamente, un filo straniante, ma senza chiudersi in sé stessa: e forse non poteva essere che così, dato il titolo – manifesto con l’esplicito riferimento al dadaismo.

 

UMAAN, “UMAAN”(AUTOPRODOTTO / LIBELLULA DISCHI)

Nato dall’incontro tra Marco “Ciuski” Barberis – già collaboratore di Ustmamò e Cristina Donà tra gli altri – con Sandro Corino, Valerio Longo e Diego Mariia, già precedentemente compagni di strada nei Julierave, il progetto Umaan giunge al traguardo dell’esordio discografico.

Undici brani all’insegna di un rock di matrice elettronica, dominata dai synth, debitore esplicito della lezione dei Depeche Mode, condito con i prevedibili ‘innesti’ portati dal filone italiano del genere: si avvertono qua e là ‘spore’ dei già citati Ustmamò o i Subsonica.

Lavoro che percorre sentieri che lo portano verso territori cyber, che non disdegna di concedersi momenti più dilatati e riflessivi o, all’opposto, di strizzare l’occhio al dancefloor, con episodi quasi ‘ballabili’. Una dimensione sonora alla quale si accompagna una scrittura dai tratti cantautorali.

Nome del progetto e titolo del disco già suggeriscono l’idea attorno alla quale gira “Umaan”: al cuore c’è il contrasto tra le sonorità elettroniche, che a tratti evocano panorami quasi algidi, di fredda automazione e l’idea di un ritorno all’umano, alla ricerca della propria essenzialità, spogliata delle complicazioni, spesso artificiose – e artificiali – dei rapporti umani di inizio terzo millennio.

L’idea ricorrente, che emerge dalle righe di presentazione dei singoli brani, di trovare il modo di guardare sé stessi ‘dall’esterno’ (attraverso lo sguardo proprio o altrui) per, in qualche modo, ritrovarsi e trovare il modo di superare i propri ostacoli esistenziali o le paranoie che portano a bloccare il proprio percorso di vita; senza dimenticare il lato sentimentale della questione, visto di volta come rassicurante, ma anche come leggermente ossessivo.

La scrittura talvolta forse risulta non del tutto ‘compiuta’, come se fosse stata lasciata ‘in sospeso’ per seguire l’analoga atmosfera di sospensione dei suoni e nel procedere del lavoro si avverte un po’ di ‘stanchezza’, ma nel complesso l’esordio Umaan appare abbastanza efficace.

TENEDLE, “VULCANO” (SUSSURROUND/UDU RECORDS)

Nato e cresciuto a Firenze, Dimitri Niccolai alias Tenedle vive la prima esperienza musicale nella città di nascita con Laughing Silence, band elettropop con influenze a cavallo tra Kraftwerk e Depeche Mode; concluso il percorso decennale (a cavallo degli anni’80 e ’90) di quel gruppo Niccolai si trasferisce in Olanda dove, dopo varie vicissitudini, nei primi anni ’90 dà vita all’omonimo progetto Tenedle, giunto con Vulcano al quintoepisodio discografico.

Le dodici tracce che compongono il disco costituiscono un efficace mosaico delle esperienze musicali vissute dall’autore lungo il suo percorso sonoro: da un lato l’elettronica, orientata a un pop sofisticato, a tratti sornione, ma privo di ‘ansia da prestazione’, ma su cui piuttosto si sceglie di spargere una spruzzata di sperimentazione; dall’altro la tradizione del cantautorato italiano: un filo della malinconia di Tenco, un pò del sarcasmo di Ciampi, un tocco del Battiato surreale degli inizi.

L’esito è un lavoro costantemente pervaso di un’aura onirica (sovente dai risvolti ‘spaziali’), in cui Niccolai / Tenedle si dedica spesso alla riflessione interiore, con testi frequentemente mente volti al flusso di coscienza, talvolta al confine col nonsense; non mancano capitoli dedicati agli affetti o in cui lo sguardo viene gettato più ampiamente sulla società, ma nel complesso “Vulcano” è un disco intimo, raccolto, in cui forse è voluto il contrasto tra il titolo esplosivo e atmosfere che certo non rinunciano a momenti solari, ma in cui le luci sono spesso e volentieri soffuse.

Un mood che trova riscontro sonoro, oltre che nell’ampio uso di synth e di chitarre dalla grana fine, anche nel contributo di archi e fiati da parte dei musicisti ospiti (Fabio Torriti e Berth Lochs) cui si aggiunge una voce femminile – quella di Faith Salerno –  a fare in qualche episodio  da contraltare al cantato di Tenedle, all’insegna di disincanto e sottile malinconia.

Un lavoro (prodotto anche grazie ad una riuscita campagna di crowdfunding) che ci mostra un autore ormai nel pieno della maturità, consapevole dei propri mezzi e con un’impronta stilistica definita, che ci offre un lavoro a suo modo originale, nel coniugare cantautorato ed elettronica.

YUMMA RE, “SING SING” (MONOCHROME RECORS, / TIPPIN THE VELVET / AUDIOGLOBE)

Nati nel 1996, tra alterne vicende, la classica gavetta dal vivo e varie collaborazioni, anche cinematografiche, gli Yumma Re giungono oggi a dare un seguito anche alla loro discografia, ferma finora all’esordio, “Eden”, targato 2008.

Dieci brani all’insegna di un connubio tra elettricità ed elettronica: tema non nuovo, ma svolto con una certa personalità; si va da suggestioni che – specie nei momenti più calmi – evocano i Depeche Mode (magari quelli a cavallo tra anni ’90 e 2000), anche per merito del cantato di Luigi Nobile (con un occasionale accompagnamento femminile) a momenti all’insegna di rarefazione che riconducono alla felice stagione del trip – hop; per altro verso, dal lato più ruvido della faccenda, il quintetto si mostra capace di rievocare le sferzate urticanti del post punk. Un terzo filone del disco è quello di brani più intimi e dal tono crepuscolare, caratterizzati da sonorità più scarne. Dominano chitarre elettriche, tastiere, piano synth, con la classica sezione ritmica di complemento, qualche fiato a fare capolino.

Un insieme di soluzioni sonore messo al servizio di testi che, prendendo le mosse dal semplice dato autobiografico (il titolo del disco proviene dal nome del palazzo in cui i tre fratelli nobile, nucleo storico della band, sono cresciuti), getta lo sguardo sul mondo che gira intorno, quello più vicino, prendendo di mira la classe politica, lo stato della cultura e della società in genere, e quello più lontano, con una dedica speciale al Sudamerica.

In mezzo, ampio spazio è comunque lasciato al proprio mondo interiore, con omaggi a Billie Holiday e citazioni della Norma di Bellini.

Nonostante i riferimenti sonori espliciti, la formula non originalissima e momenti in cui il ‘già sentito’ fa più volte capolino, gli Yumma Re, riescono comunque ad evitare che lungo l’ascolto di “Sing Sing” si faccia largo la noia, supplendo a questi punti deboli con un’adeguata dose di personalità e capacità esecutiva.