La verità è che non c’è un senso… viviamo la nostra esistenza affannandoci per un motivo e per un altro, tra desideri, aspirazioni e ambizione… il tutto, nella vana speranza, ‘dopo’, di essere in qualche modo ricordati. La storia è piena, di uomini che hanno votato la loro vita a poter costruire qualcosa per cui poter essere incardinati nella Storia anche dopo la loro dipartita. Eppure, alla fine, tutto è inutile. Lovecraft scrisse: “In strani eoni, anche la Morte può morire”, come a dire che anche ciò che riteniamo immutabile potrà venire meno, prima o poi. Il punto è che alla fine, prima o poi, verremo dimenticati: di ciò che avremo fatto, nel bene o nel male, nel corso del nostro passaggio sulla Terra, non rimarrà nulla. Neil Gaiman, il creatore di quel fumetto meraviglioso che è Sandman, nella sua opera ipotizzò una sorta di limbo, dove tutti finiscono al termine della propria esistenza ‘terrena’, e dove resteranno finché qualcuno si ricorderà di loro. Poi, dopo, arriverà la vera ‘morte’. Certo, ci si può aggrappare a una concezione del ‘dopo’: io invidio moltissimo coloro che hanno la fede incrollabile in un ‘dopo’, che sia il Paradiso, la Reincarnazione, o altro. Eppure, eppure nonostante nel mondo il numero di chi, in modo più o meno fervente, professa una ‘fede’ sia molto più ampio degli atei, la lotta per allungare la nostra esistenza e posticipare il più possibile il gong finale, continua, inesausta, da millenni. La verità è che la stragrande maggioranza delle persone ha paura. Io mi considero un credente, ma a dire la verità sono assolutamente atterrito, angosciato anche, dall’idea della sostanziale inutilità, vuotezza di significato della nostra esistenza… ci affanniamo tutta la vita a riempire di significato ciò che di significato è privo, siamo in balia degli eventi, del Caso, della pura biologia… La ‘scienza’ alla fine non è manco riuscita spiegare l’origine, la ‘scintilla’, che ha dato il via alla vita. Tutto questo non ha senso: ci affanniamo a vivere le nostre vite, pieni di preoccupazini e aspirazioni, costruendoci solide certezze, ma poi tutto si rivela fallace. Ultimamente sono stato abbastanza colpito da una strana situazione: è che ovunque mi giri, vedo la morte. Soprattutto, vedo morti assolutamente prive di significato: sportivi nel fiore degli anni schiantati da disturbi non diagnosticati, un’adolescente ammazzata dallo scoppio di una bomba… Il fatto che si sia tornati a parlare del caso di Emanuela Orlandi, ecco un altro caso: una ragazza nemmeno adolescente, rapita e ammazzata così. E poi un caso allucinante: chi ha vissuto la felice stagione dei cartoni animati degli anni ’80, ne ricorderà forse uno, Pat, ragazza del baseball. La sigla era bellissima, ebbene, qualche giorno fa scopro che la bimba che la cantava, Alessandra Maldifassi, è scomparsa quasi vent’anni fa, nel 1993, a 22 anni, per una grave malattia, e ‘sta notizia mi ha lasciato basito… Ecco, è tutta una catena di eventi alla quale non riesco a dare una cornice, un significato, perché probabilmente un significato non c’è. Ci affanniamo quotidianamente, e poi? Un incidente d’auto, o un terremoto, o una malattia e il nulla; e quando questo succede a chi è giovane, o addirittura bambino, è ancora peggio. Tutto mi appare così privo di senso… ribadisco, invidio chi un senso, al ‘dopo’, lo trova… Anche a me piacerebbe essere sostenuto dal conforto che ora Vigor Bovolenta, Pier Mario Morosini e Alexander Dale Oen siano in un’altrove, dove magari parlano tra loro delle loro vicende sportive, ma è un’idea del Paradiso fanciullesca, primitiva. La paura, il dubbio, atroce è che tutto finisca così: ricordi, affetti, esperienza di vita, tutto spento con un ‘clic’ come quando si va a dormire. Il nulla della non esistenza; e allora se tutto deve finire nel nulla, a che serve tutto questo affannarsi, questo dover costruire, questo avvelenarsi la vita con la paura del futuro, coi problemi nei rapporti con gli altri, col doversi sempre rapportare a qualcuno, o a qualcosa, o a sè stessi… tanto, chi prima o chi dopo, finiamo tutti… Forse dannarsi l’anima non è il modo migliore di campare, e anche la preoccupazione del ‘campare’ di per sé stesso dovrebbe venir meno, tanto prima o poi questo campare dovrà finire… mah…