Archive for settembre 2017

IL COLLE, “DALLA PARTE DELLO SCEMO” (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA DISCHI)

“Ci siamo seduti dalla parte del torto, perché tutti gli altri posti erano occupati”, disse una volta Bertold Brecht; ai tempi di Internet e dei social network, in cui torti e ragioni si mescolano in un calderone spesso indistinto, l’unico posto disponibile è quello riservato allo ‘scemo’, a chi si sottrae al ‘dominio della tecnica’ per continuare affidarsi alla passione, all’autenticità e all’immediatezza dei rapporti umani.

Il Colle parte da qui e dalla provincia fiorentina, dove circa cinque anni fa si forma il nucleo di una band che col tempo è diventata quasi una ‘banda’: sette gli elementi che hanno partecipato alla realizzazione del disco d’esordio.
Non che “Dalla parte dello scemo” sia una lavoro di denuncia dei guasti prodotti dall’imperante presenza dei ‘social’ e di Internet, anzi: qui non se ne parla proprio; l’arma migliore, negli undici brani presenti, è proprio ‘parlare d’altro.

Una galleria di personaggi, narrati o che parlano in prima persona, ripresi di fronte all’incertezza del presente e del domani, forse alla mancanza di punti di riferimento, al ‘tirare le somme’ che inevitabilmente conduce al momento del ‘come sono arrivato qui’?; ‘donne fatali della provincia’, i buoni propositi che rimangono sulla carta, ‘Case del Popolo’ che, senza dirlo esplicitamente’, diventano forse l’alternativa concreta al ‘virtuale’; spazi riservati ai sentimenti e una semiseria provocazione dedicata alla droga…

La band toscana si inserisce per sua stessa ammissione nel prolifico filone di certo rock / folk regionale (vedi alle voci: Bandabardò, Ottavo Padiglione), con l’immancabile ombra di Piero Ciampi ad allungarsi nelle retrovie.
Ironia condita di amarezza e un certo sarcasmo, sottotraccia forse la poetica di “Amici Miei”, la vita troppo breve per essere presa troppo sul serio, una risata ad accompagnare le riflessioni più amare e nel contempo un filo di malinconia a circondare i momenti apparentemente più leggeri.

Un disco i cui suoni si mantengono in territori rock / pop, mescolati a influenze folk e ‘popolari’ (fa capolino anche un fisarmonica), parentesi quasi punk e momenti country western.
Un lavoro che convince, per i colori vividi e lo spiccato dinamismo.

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DUNKIRK

Giugno 1940, Dunkirk (o Dunquerque), al confine tra Francia e Belgio: centinaia di migliaia di soldati alleati – inglesi e francesi soprattutto – sono in trappola: da una parte il mare, dall’altra l’esercito tedesco che incalza.
L’unica via di fuga è appunto navigare fino alle coste inglesi, tanto vicine da vedersi a occhio nudo o quasi, ma le navi da guerra non bastano e l’area è costantemente sotto tiro da parte dell’aviazione nazista; arriva così una ‘chiamata generale’ a chiunque in Inghilterra possieda un qualche tipo di natante, affinché parta alla volta delle coste francesi per trarre in salvo più uomini possibile.

Christopher Nolan porta finalmente sugli schermi quello che fin qui può considerarsi il suo progetto più ambizioso (si dice che sia un’idea rimasta in sospeso per vent’anni e passa) e lo fa seguendo tre vicende parallele: una settimana nella vita di alcuni soldati impegnati a trovare una via di fuga, con qualsiasi mezzo; un giorno in quella di un ‘privato cittadino’ che, assieme al figlio e a un altro ragazzo, parte col suo yacht al salvataggio degli assediati; un’ora di un pilota inglese, impegnato in un duello dei cieli, in appoggio all’operazione. Vicende che finiranno per incrociarsi o solo sfiorarsi, in modo mai troppo ‘forzato’, come se tutto fosse veramente frutto del ‘Caso’.
Peraltro, per le riprese ci si è avvalsi di aerei d’epoca ancora funzionanti e si è riusciti a reperire imbarcazioni che parteciparono veramente all’opera di soccorso.

“Dunkirk” è per molti versi un film spiazzante; lo è, innanzitutto, se paragonato al comune canone del genere: tutto qui è ridotto all’osso, all’essenziale; girato con un piglio vicino al documentario, una sceneggiatura scarnificata, che lascia spazio da un lato alle scene di massa, ai corpi e dall’altro alle vedute sterminate del cielo e del mare.
Privo di qualsiasi concessione alla retorica cinematografica dei film di guerra: sia quella dei generali in piedi davanti a una mappa a disegnare piani di battaglia, sia quella delle trincee opposte, magari delle vicende sentimentali o dell’incontro col nemico che si scopre dopo tutto simile a sé; qui il nemico è praticamente invisibile: si manifesta solo sotto forma di bombe che piovono dall’alto o di inseguimenti aerei nei cieli.
Dunkirk forse non è nemmeno un film – documentario di guerra in senso stretto: per due ore assistiamo solo alle vicende di uomini che tentano in ogni modo di salvarsi la pelle e di altri uomini che per quanto possono cercano di dargli una mano: la guerra, insomma, appare il preteso per parlare di sopravvivenza in situazioni estreme.

Un film ancora più spiazzante se si pensa che è un film di Nolan: ci si sarebbe potuti immaginare un kolossal roboante, con scene destinate a restare nell’immaginario, come più o meno accaduto con i vari film dedicati a Batman e ancora di più con “Inception”… invece, niente di tutto questo: di fronte alla guerra, Nolan fa un passo indietro, riduce tutto al ‘grado zero’ o quasi: anche il momento più epico del film, ‘l’arrivano i nostri’ con barche di ogni tipo e dimensione che giungono sulle coste per salvare gli assediati (e che può strappare una lacrima) è reso in modo dimesso, contenuto, come se dopo tutto non ci si potesse scordare nemmeno per un attimo che pur sempre di guerra si tratta: non è la ‘cavalleria alla riscossa’.
Il film è costantemente dominato da un’atmosfera plumbea, con la sensazione di una tragedia sempre imminente e che spesso arriva puntualmente, togliendo ogni spazio per battute, momenti di goliardia, esistenzialismo, baci alle crocerossine e quant’altro; un clima cui contribuisce in maniera decisiva – come avvenuto in altri film di Nolan, ma stavolta con segno diametralmente opposto – la colonna sonora di Hans Zimmer, anch’essa dai toni quasi funerei, priva dell’epica di molti suoi lavori precedenti: è come se stavolta il trionfalismo di Wagner o di Shostakovic avesse lasciato il posto ai toni cupi di Mahler.

Le interpretazioni più incisive di un film che comunque si presenta come la narrazione di un episodio storico nel suo complesso, più che delle singole vicende, sono affidate a un ristretto pugno di attori: tra questi Mark Rylance è il comune cittadino che con la sua barca parte alla volta del recupero; Fionn Whiteead è uno dei soldati alla ricerca della salvezza; Tom Hardy il pilota all’inseguimento dei caccia tedeschi; Kennet Branagh l’alto ufficiale che, sul molo, coordina le operazioni; ma a svettare su tutti, in modo anche inaspettato, è Cillian Murphy, che finalmente è costretto a mettere in secondo piano l’occhio azzurro e il bell’aspetto per dare vita in modo convincente, a un soldato traumatizzato.

“Dunkirk” è quindi senz’altro un film unusuale, per il cinema bellico e per quello di Nolan; resta però il dubbio se questo suo ‘differenziarsi’ corrisponda, come è stato spesso affermato, a un ‘elevarsi’: perché se è vero che lo sforzo di Nolan di togliere di mezzo la gran parte di certi artifici retorici, sia bellicisti che pacifisti, a favore di una narrazione quasi ‘in presa diretta’, è lodevole, è anche vero che forse non tutto funziona fino in fondo, che certe scene di massa finiscono per essere confuse, che talvolta tutto procede troppo a ‘strattoni’, che determinate sequenze sembrano un po’ prive di senso, quasi dei riempitivi e che alcune delle trame narrative finiscono per essere fin troppo esili o fini a sé stesse.
Il senso di tutto questo rientra forse in quella ‘riflessione sulla realtà’ che Nolan torna costantemente a riproporre nel suo cinema, da “Memento” a “Inception”: la realtà non è lineare, alla fine, è fatta di tempi morti e di vicende sfilacciate, ma l’impressione di fondo è che più che essere ‘voluto’, questo sia il risultato di un’incapacità di fondo del regista di mantenere salde le redini del film dall’inizio alla fine… e a proposito, il finale rappresenta forse la parte meno convincente, con i ‘ritorni a casa’ che sanno tanto di una ‘ricaduta’ nei luoghi comuni di certo cinema.

Lo sforzo di mostrare qualcosa di ‘diverso’ è apprezzabile ; tenderei però a non unirmi al coro che descrive “Dunkirk” come il miglior film di Nolan (per me “Inception” rimane ancora insuperato) o come uno dei migliori film di guerra di sempre… anche perché, se vogliamo – e a voler essere un po’ ‘cattivi’ – “Dunkirk” potrebbe essere definito come una sorta di ‘docufiction’ in stile National Geographic, portata solo su una scala più vasta per mezzi e attori a disposizione; il che non toglie nulla al tanto di apprezzabile offerto dal film, ma lascia la domanda di fondo sul fatto che questo fosse il risultato realmente voluto.

 

TWEE, “MANGO” (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA MUSIC)

“Mango”: il frutto tropicale e il paese delle Langhe dal quale proviene questo gruppo per ¾ al femminile.

Se vogliamo, più il sole e le spiagge caraibiche che non le brume piemontesi è ciò che troviamo nei dieci pezzi che compongono l’esordio della band piemontese.

Si comincia con una strizzata d’occhio allo swing si prosegue all’insegna di un mix di soul e r’n’b che getta lo sguardo oltreoceano: certo, le Twee non hanno a disposizione il ‘gigantismo produttivo’ che contraddistingue certe produzioni, ma riescono qua e là a colpire nel segno (‘My Name’, ‘No Pain’, ‘Shadow People’) con pezzi che non sfigurerebbero nelle playlist del genere.

Una spruzzata di rock e qualche accennata deriva jazz arricchiscono un lavoro che in più di un’occasione invita a battere il piede e muovere la testa, cantando di esperienze personali e ‘vita vissuta’.

Una leggerezza che non diventa ‘facilità’; una certa attitudine ‘sorniona’, un ammiccamento all’ascoltatore (il cantato al femminile, qua e là caratterizzato da una certa ‘suadenza’ non lascia indifferenti) che non diventa mai sfacciato.

Un angolo di soul e r’n’b tra colline piemontesi per un lavoro assolato e variopinto.

LA PLAYLIST DI AGOSTO

Una selezione di brani scelti dagli ultimi dischi recensiti qui.

 

Penguin’s parade    Neuromant

Valle    Kamal

La dirimpettaia     Marco Kron

Drving thru a city by night    Frank Sinutre

The man with the sad eyes    Ell3

Il vortice    Fenriver

Homo Sapiens    Riverweed

E ora lei    Pivirama

Sopra il tavolo    Ciccio Zabini

 

FUMETTAZIONI 7 /2017

Brevi recensioni di letture disegnate.

 

I MIGLIORI ANNI DISNEY – 1976

Apre una sarabanda a base di automobili da corsa con “Zio Paperone e la vittoria a 50 karati” a firma Pezzin / Cavazzano; quasi lisergico il ‘villino da sogno’ che accoglie Topolino e Pippo in vacanza, di Scarpa / Zemolin; il ‘must’ del mese, in un albo che vede le presenze, tra gli altri, di Bottaro e De Vita è “Zio Paperone e l’impronta di Zampalunga”, scritta da Carl Fallberg e firmata da un Giovan Battista Carpi in stato di grazia.
Voto: 7

 

TESORI DISNEY MADE IN ITALY 3

Prosegue l’omaggio a Giorgio Cavazzano, con la selezione delle opere da lui stesso giudicate le più significative della sua lunghissima carriera, ed ecco allora un tipico ‘giallo’, cui seguono la versione disneyana di “Miseria e Nobiltà”, un brevissimo intermezzo che torna ad omaggiare Fellini, una Clarabella reporter d’assalto negli anni ’20 e in chiusura una lunga storia celebrativa dei 60 anni di Paperino.
Materiale eccellente, non c’è dubbio, ma la sensazione è che affidare allo stesso autore la scelta delle storie pubblicare sia stata un errore: ovvio che qualsiasi selezionatore avrebbe almeno in parte fatto sentire il suo gusto soggettivo – quando si parla di arte l’obbiettività assoluta non esiste – ma forse si sarebbe dovuto evitare di affidare tutto al ‘valore affettivo’ dell’autore.
Il risultato è evidente soprattutto nella distribuzione temporale ‘squilibrata’: un solo numero dedicato ai ’70, metà agli ’80, mentre si è rimasti per due numeri e mezzo nella prima metà dei ’90
Non è esente da conseguenze nemmeno la scelta delle storie, che intendiamoci, appartengono sempre alla categoria del ‘Best of’, ma che talvolta non lasciano propriamente ‘il segno’.
Voto: 7

 

UACK! 32

Imperdibile un’avventura dei Tre Caballeros, firmata magistralmente da Don Rosa, accompagnata da un onirico viaggio temporale curato da Carl Barks; il resto, poco più di riempitivo, per quanto di classe, con Bob Moore, Al Taliaferro, BobBo Karp e ancora lo stesso Barks.
Voto: 6,5

 

INVINCIBLE 43

E’ uno dei ‘nodi di credibilità’ del fumetto di supereroi: una persona ‘normale’ che entri in possesso di facoltà superumane, non comincerebbe col dedicarsi a ‘sistemare’ ciò che non va nel mondo?
Le risposte a questa domanda sono state fondamentalmente due: la prima è la creazione dei supercriminali, che costringono l’eroe di turno a occupare il proprio tempo prendendo a cazzotti qualcun altro, mentre le storture del mondo restano tali; quando invece qualche scrittore si è preso l’onere di affrontare la questione (letture consigliate: la serie dello Squadrone Supremo Marvel di fine anni ’70, o “Rising Stars” e “Authority” nei primi anni 2000), si è rapidamente entrati nei territori dell’ucronia o della ‘storia alternativa’, perché il supereroe interviene su una struttura socio – economica che in partenza è analoga a quella del mondo reale…

Tutto questo per dire che anche Robert Kirkman è giunto ad affrontare la questione: Invincible / Mark è stufo di sprecare il suo tempo a pestare supertizi con mania di grandezza; tanto più che il suo mondo è pieno di altra gente in costume in grado di provvedere al compito… e allora? Allora, decide cambiare punto di vista, cominciando col liberare proprio un supercriminale, uno che aveva capito che coi suoi poteri poteva cambiare il mondo, anche se aveva deciso di usare metodi un po’ troppo ‘estremi’, ad esempio vaporizzando una città… vedremo come Kirkman affronterà la questione.
Voto: 7

In appendice, Tech Jacket conclude il primo ciclo di storie, senza scosse.
Voto: 6

 

I GRANDI CLASSICI DISNEY 19

Storia centrale dell’albo è “Topolino e le vacanze al 20° parallelo”, ottimamente congeniata da Gian Giacomo Dalmasso e Giovan Battista Carpi; degne di nota anche “Topolino e i sottomarini pirati” di Harvey Eisenberg e la trasposizione della vicenda del Bounty scritta da Giorgio Ferrari per le matite – eccezionali – di Sergio Asteriti.
Cavazzano, Martina, Perego, Kinney, Strobl, Destuet, Pier Carpi e Giulio Chierchini firmano il resto, come al solito, ‘classico ma non troppo’.
Voto: 7,5

 

THE WALKING DEAD 48
Arriva il momento in cui un governante ha la necessità di rinsaldare le fila della propria gente, poco importa se mosso da reale volontà di salvare la comunità o dalla meno nobile necessità di mantenere il potere: in momenti come questi, la storia ce lo insegna, non c’è nulla di meglio di una bella guerra.
Rick alla fine ha ceduto e si è dovuto rivolgere a Negan, il quale pur coi suoi discutibili ‘principii’, è indubbiamente più adatto e ‘pratico’ nella risoluzione degli stati di crisi; Rick viene così messo di fronte alla realtà, e Negan gli fa notare come non ci sia nemmeno bisogno di costruirsi un pretesto, perché dopo tutto la minaccia dei ‘Sussurranti’ è più che mai concreta…
La ‘nuova società’ creata da Rick si appresta quindi a compiere un altro passo che la renderà sempre più simile alla vecchia… i morti viventi ormai sembrano relegati al ruolo di ‘scenografia’, eppure c’è da scommettere che, come già avvenuto in passato, al momento opportuno si riprenderanno prepotentemente la scena.
Voto: 7,5

 

TESORI DISNEY INTERNATIONAL 9
Dopo almeno un paio di numeri interlocutorii, finalmente una selezione ‘ottima e abbondante’, che ci propone una corposa dose delle prime avventure in cui ad affiancare Topolino è Eta Beta.
Una sorta di ‘buon selvaggio’ del futuro ingenuo e sensibile, dotato di poteri straordinari e affiancato dal ‘gangarone’ Flip.
Firmano il tutto Bill Walsh e Floyd Gottfredson, ovvero l’empireo nella storia del ‘topo con le grandi orecchie’. Imperdibile per gli amanti del genere, e non solo.
Voto: 8,5

 

INVINCIBLE 44

Pausa ‘spaziale’ per seguire le vicende della famiglia di Invincible: padre (alieno), madre (terrestre) e fratellastro (alieno pure lui), alle prese con una pericolosa ‘coda’ della guerra contro i Viltrumiti: la Coalizione dei Pianeti ha deciso infatti che, seppur ridotti a poche unità, restano una minaccia troppo seria per essere lasciati liberi di vivere nell’anonimato sulla Terra, ma la ‘soluzione finale’ potrebbe segnare la fine, oltre che degli alieni, anche dell’intera popolazione umana…
Voto: 6,5

In appendice, torna Wolf-Man: mentre il protagonista deve arrendersi di fronte all’arresto, ingiustamente accusato dell’omicidio della moglie, in un lungo excursus il fido maggiordomo Dunford racconta alla giovane Chloe la storia dei genitori e del loro incontro con lui… ma la ragazza ormai appare essere totalmente e plagiata – e dipendente, nel vero senso della parola – da Zechariah, il reale assassino della madre.
Il nuovo ciclo di Wolf-Man parte col ‘botto’, con una storia (merce rara nei supereroi attuali), più da ‘leggere’ che ‘guardare’.
Voto: 7