Archive for marzo 2012

LO SBAGLIO DI MONTI

Per carità, Monti è un ex professore, ex rettore, ex Commissario Europeo, ex membro del Gruppo Bidelbergh (o come si chiama)… mentre io sono un umile laureato in Economia (male e in ritardo), senza manco un master all’attivo. Però… però, boh qualcosa vorrei dirla, sulle scelte di Monti e del suo Governo… guarda caso poi poco fa leggendo il televideo mi sono trovato davanti le affermazioni di Passera, secondo cui siamo in piena recessione, e le cose andranno avanti così per tutto l’anno. Allora, di fronte a questa situazione, è lecito porsi delle domande, esprimere dei dubbi, proporre soluzioni alternative. C’è una metafora che mi è venuta in mente di recente, che secondo me descrive bene la situazione attuale dell’Italia, le scelte e gli errori di Monti: è come se a un barbone che sta male, si dicesse: intanto ti costruiamo la casa, poi pensiamo a curarti… Ecco, ma se nel frattempo il barbone schiatta, della casa cosa ce ne facciamo? Si pensa forse che ‘tanto qualcuno prima o poi verrà ad abitarci’? E’ chiaro che non tutto è colpa di Monti: infatti a imporre di costruire prima la casa e poi eventualmente occuparsi del malato, lo impongono i mercati, però ci vorrebbe anche un pò di orgoglio nazionale… anche perché, continuando la metafora, se anche il malato non muore, magari resta invalido, e avrà sempre bisogno di essere accudito, mentre una persona sana qualche lavoro dentro casa se lo può fare anche per conto suo. Le riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, le liberalizzazioni (sinceramente un pò pavide): tutto era necessario, siamo d’accordo, ma aggiungo, forse non ora, e soprattutto non così, accompagnando tali misure a una raffica di aumenti fiscali come non si vedeva da anni. Il punto è questo: in un periodo di recessione, mi pare non sia una mossa tanto furba aumentare in modo spropositato le tasse, oltretutto in un periodo di elevata inflazione, riducendo il potere di acquisto delle persone e deprimendo i consumi: oltretutto, aggiungo, non si può certo pensare di affidare interamente la crescita alle esportazioni: insomma, i consumi interni hanno un’importanza oppure no? Siamo tutti d’accordo che le riforme vanno fatte, ci mancherebbe: un mercato del lavoro dove si può essere licenziati più facilmente, ma altrettanto facilmente si trova lavoro e nel frattempo si conta sulla copertura dello Stato, è sicuramente un obbiettivo ambizioso… La questione è che però tutte queste riforme daranno i propri frutti in cinque, dieci, vent’anni… Il punto è che invece la recessione è qui ed ora, e ciò che viene ‘bruciato’ adesso non si potrà certo ricostruire in qualche mese… Qualcuno dirà che ‘non c’erano alternative’… e qui che c’è il ‘nodo’: perché di alternative ce n’erano eccome… Non parlo per carità di patria della presunta ‘equità’ della manovra di Monti, dimostrata solo a parole; parliamo di altro: parliamo del fatto che quando uno Stato ha bisogno di solid, ha due strade: la prima, più facile, è aumentare le tasse; la seconda è tagliare le spese. Monti è stato bravissimo ad aumentare le tasse (sono buono anche io), mentre il taglio delle spese è stato lasciato nel novero delle ‘buone intenzioni, alludendo genericamente alla cosiddetta ‘spending review’ (usare l’italiano ‘analisi della spesa’ sembrava brutto, il Presidente del Consiglio ama di più l’inglese, evidentemente), sulla quale nulla ad oggi è dato di sapere…  Ma la spesa dello Stato è il minimo: come sottolineato da tanti altri, in Italia il vero problema è la spesa degli enti locali… e cosa ha fatto Monti? Ha, certo, tagliato i trasferimenti agli enti locali, ma invece di dire loro: arrangiatevi, razionalizzate la burocrazia, diminuite le spese, gli ha fatto il grandissimo regalo di permettere loro di gestire come meglio credono le addizionali IRPEF (con questo tra l’altro smentendo il suo principio secondo cui la manovra ha toccato solo i patrimoni) e le aliquote IMU, ossia le due principali voci che porteranno le tasse a ‘esplodere’. Diciamocela tutta: quando a maggio – giugno faremo i conti, e ci troveremo le tasse aumentate, gran parte di quegli aumenti finiranno nelle casse degli enti locali inefficienti, che Monti non ha voluto colpire in alcun modo, regalandogli anzi nuovi, generosi, flussi di cassa. L’errore principale di Monti è stato tutto qui: in un Paese in cui gli sprechi sono soprattutto negli enti locali, gli enti locali non sono stati per nulla toccati, offrendo loro comodi paracadute per poter continuare a sprecare soldi a destra e manca… Sarebbe bastato evitare di offrire loro la possibilità di gestire gli aumenti delle addizionali e l’ammontare delle aliquite IMU per evitare che gli italiani fossero salassati al di là del dovuto, costringendo finalmente Comuni e Regioni  a mettere un freno allo scialo… Così, purtroppo, non è stato, e in questo Monti appare aver commesso un errore abnorme, che si rifletterà in un calo continuo dei consumi e in una recessione prolungata… Che il malato finisca in carrozzella non è un problema, tanto poi c’ha la casa… speriamo almeno, che nella casa eliminino le barriere architettoniche…

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DOUGLAS ADAMS: LA LUNGA OSCURA PAUSA CAFFE’ DELL’ANIMA (Mondadori, Piccola Biblioteca Oscar)

Uscito sul finire dello scorso anno per la Mondadori (con stampato in copertina un appariscente, quanto inutile ‘INEDITO’), “La lunga oscura…” è il secondo romanzo dedicato da Douglas Adams all’investigatore olistico Dirk Gently (già apparso in “L’investigatore olistico Dirk Gently, uscito per la Feltrinelli e in seguito nel postumo e incompiuto “Il salmone del dubbio”, sempre per Mondadori).
Cosa sia il metodo di indagine ‘olistico’, è presto detto:  invece che mettersi a ragionare, dedurre, ipotizzare, Gently non fa sostanzialmente nulla, aspettando che i comuni accadimenti della vita gli diano delle indicazioni su quale direzione far prendere alle indagini.
Nel romanzo in questione Gently parte dall’omicidio, indubbiamente bizzarro, di un cliente, e si trova catapultato nel bel mezzo della mitologia norrena, e delle ‘incomprensioni’ padre-figlio tra Odino e Thor.
Nel frattempo nella stessa situazione precipita anche l’altra protagonista del romanzo, Kate, la cui unica colpa sarà quella di aver deciso di partire per Oslo nel momento sbagliato… i due si incroceranno casualmente al centro del romanzo… di più non è il caso di dire, perché come spesso avviene con Douglas Adams, a voler spiegare troppo si finisce per togliere ogni sorpresa.
“La lunga oscura pausa caffè dell’anima” è un gustoso racconto a base di dei che, non riscuotendo più alcuna venerazione o quasi, si ritrovano a vagare per la Terra (un’idea che poi Neil Gaiman, altro scrittore e autore del fumetto ‘di culto’ “Sandman” riprenderà nel suo “American Gods”); di aquile impazzite; di cinici avvocati al servizio dell’industria discografica, e l’elenco potrebbe proseguire.
Un libro che regala in continuazione momenti di comica ilarità (in almeno un caso mi sono trovato a ridere fino alle lacrime) e ci regala un’ultima, grande perla dell’autore inglese.
Alla fine, resta l’amaro in bocca: non per il finale del romanzo, ma per il rimpianto di non poter più leggere nulla di Douglas Adams, scomparso nel 2001 a nemmeno cinquat’anni dopo averci regalato la ‘saga’ della Guida galattica per gli autostoppisti e i primi romanzi della serie di Dirk Gently, che forse Adams intendeva in seguito collegare proprio alla Guida. Una perdita che, ogni volta che si legge un suo libro, prende il sapore di un’autentica ingiustizia.

RADIOROCK.TO

R.I.P. VIGOR BOVOLENTA (1974 – 2012)

Quando oggi ho letto la notizia, ci sono rimasto male, sebbene ormai le notizie di sportivi che vengono colti da malori più o meno improvvisi, non costituiscano più una novita, e su questo ci sarebbe da interrogarsi… Poi leggo che Bovolenta, una vita nella Serie A1 della Pallavolo, una bella carriera anche in Nazionale, con un argento olimpico, era nato il 30 maggio; io sono nato il 3 giugno, dello stesso anno: insomma ci separavano solo 4 giorni, e la cosa indubbiamente fa impressione. Bovolenta contiuanva a giocare per pura passione agonistica e divertimento, ormai più vicino ai 40 che ai 30; viene da chiedersi se non sia il caso di porre un limite, anche al di là di quello che dicono gli esami, perché magari il fisico sta bene e poi  cede di schianto, chissà… In tutti casi fa impressione, praticamente avevamo la stessa identica età… certo, io non faccio attività agonistica, per quanto quando vado in piscina o a correre, non mi risparmi; a volte mi chiedo se non esageri, se non sia il caso di andare piano, invece di pormi sempre degli ‘obbiettivi’, senza i quali fondamentalmente mi annoierei… Leggi queste notizie, e pensi…

MILAN – ROMA 2 – 1

Campionato, ventinovesima giornata

STEKELENBURG: 7,5 Fino a cinque minuti dalla fine gioca una partita ‘normale’, senza venire preso a pallonate dagli attaccanti avversari, avendo modo di mostrare tutte le sue capacità e salvando il risultato in almeno tre occasioni. Capitola sull’unico grave svarione difensivo.

TADDEI: 6 Il suo principale limite continua a essere la tenuta atletica, ma purtroppo questo è un problema di ‘anagrafe’: fino a quando regge se la cava egregiamente, cala sulla lunga distanza.

HEINZE: 7 Vabbè, ormai nel suo caso il commento è sempre lo stesso: grande partita di sostanza, grinta  e carattere.

KJAER: 5,5 L’insufficienza è forse ingenerosa, perché in fondo gioca la sua miglior partita del 2012 e offre una delle migliori prestazioni in maglia giallorossa; peccato che a cinque minuti dalla fine si lasci scappare Ibrahimovic e faccia la proverbiale ‘frittata’.

ROSI: 6,5 Un’ampia sufficienza, ancora una volta di ‘incoraggiamento’: rispetto alle ultime uscite sembra più deciso, meglio in difesa che in fase offensiva, ma di grossi errori non ne commette.

MARQUINHO: 6,5 Lus Enrique torna a dargli un posto da titolare, e il giocatore lo ripaga con una prestazione più che discreta.

DE ROSSI: 5,5 Per i primi venti minuti si vede poco; cresce sulla distanza, ma poi fa il pasticcio del rigore, e non si riprende più.

GAGO: 6,5 Partita ‘onesta’, senza grandi lampi. Lo sostituisce

LAMELA: Senza voto; troppo tardi per incidere.

OSVALDO: 6,5 Segna il gol dell’illusoria speranza, ci riprova ma senza successo.

TOTTI: 5,5 Partita opaca, senza lampi e rovinata dall’errore in apertura di secondo tempo. Lo sostituisce

BOJAN: 5,5 Quando ha il pallone trai piedi tende a strafare, cercando soluzioni improbabili (non sei Messi) e sciupando palloni altrimenti interessanti.

BORINI: 6 Stavolta si vede poco, ma non gli si può chiedere di portare la croce e cantare; acciaccato viene sostituito da

PJANIC: 7 Entra subito in partita, dando il suo solito grande contributo.

LUIS ENRIQUE: 5 Ormai la Roma sta accumulando un’ampia casistica di sconfitte: stavolta è stato il turno della buona prestazione, buttata alle ortiche da tre errori dei singoli (vedi alle voci Kjaer, De Rossi e Totti), da cui scaturiscono il rigore e il gol di Ibrahimovic e il mancato gol di Totti. Lascia perplessi la scelta di partire con Marquinho anziché Pjanic; la Roma gioca una partita di grande attenzione in difesa (almeno fino al gol del 2 – 1), e in avanti continua ad essere poco pericolosa. Dispiace il voto basso, ma vedere una squadra che, a prescindere da come giochi, perde, è frustrante.

BONAHEAD, “COLOURS DOORS PLANET” (AUTOPRODOTTO)

Primo disco solista per Roberto Bonazzoli che, già cantante e tastierista con gli SHV, in “Colours”, sembra abbandonare almeno in parte i riferimenti brit pop della band di appartenenza per abbracciare territori maggiormente improntanti all’elettronica.

Nelle dieci tracce che compongono questo concept articolato in tre parti (le rispettive ‘porte’ n°1, 2 e 3), il cantautore lombardo si muove su territori che rievocano vagamente gli scenari synth – pop ‘alla francese’ degli AIR, con qualche ombra dei Porcupine Tree degli episodi meno orientati alle derive psichedeliche, con una spruzzata di elettronica ‘crucca’ e di qualche spezia elettropop (vaghe riminiscenze degli Ultravox).

L’esito è un disco che, pur sostanzialmente privo di ‘voli pindarici’ (ma che allo stesso tempo ha uno dei suoi punti a favore nella mancanza di veri e propri passaggi a vuoto), si lascia ascoltare, sospeso sempre tra umori compassati, spesso sottilmente malinconici. Una prima prova sicuramente soddisfacente.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

THE PART FIVE, “THE TIGHTENING” (CARDBOARD SANGRIA)

Prendete, in parti più o meno uguali, del post – punk britannico e dell’indie rock americano, shakerate il tutto ovviamente portandolo ai giorni nostri (magari corredandolo di una punta di ‘art rock’) e avrete un’idea di quanto propone questo trio di Chicago, i cui elementi provengono da varie esperienze pregresse (Brett Barton dai Mean Sea Level, Gary Psykacek da Singleman’s Affair e Pedal Steel Transmission, questi ultimi anche nei trascorsi di Chris Bentley).

Cantato a cavallo tra nervosismo e toni leggermente annoiati, chitarre che ondeggiano tra ruvidità, qualche riverbero e il classico afflato melodico in puro stile eighties, sezione ritmica ‘quadrata’ una spruzzata di tastiere tanto per gradire.

A seconda dell’umore col quale ci si appresta all’ascolto, può apparire come la classica ‘minestra riscaldata’ o all’opposto come una riuscita rilettura arricchita con qualche elemento di novità, e il dubbio in fondo non viene sciolto.

Il giudizio resta sospeso, nell’attesa di verificare se tutto ciò si limiterà ad essere un ‘divertissement’ rispetto ai progetti di provenienza dei componenti, o un progetto più concreto.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

THE DOORMEN

Esordio sulla lunga distanza (dopo un precedente Ep) per questo quartetto ravennate, decisamente incanalato nel solco del revival new wave / post punk degli ultimi anni.

Nei dodici pezzi che compongono l’omonimo lavoro, i Doormen (con l’immancabile ‘The’ davanti), mettono in mostra suoni che non si può fare a meno di definire come ‘derivativi’, guardando certo ai rappresentanti più conosciuti del genere (quasi ozioso citare gli Editors), ma insaporendo qua e là la loro pietanza musicale con qualche spezia aggiuntiva: prevedibili rimandi agli originari anni ’80, qualche accenno al brit pop /rock dei ’90, magari quello meno sfacciatamente commerciale (leggi: Suede) fino a qualche spezia grunge.

Ne risulta un disco in cui un’elettricità sferzante che si affianca alla tipica vocalità di stampo ‘crepuscolare’, costruito su pezzi che danno al lavoro un buon ritmo, con qualche episodio decisamente accattivante e qualche parentesi meno riuscita (soprattutto in un paio di episodi in cui la band si lascia andare a ‘code’ strumentali che finscono per appesantire un pò troppo i brani in questione).

Derivativi certo, ma provando – pur se non sempre riuscendovi – a perseguire una propria autonomia stilistica: tentativo apprezzabile, che lascia qualche curiosità per l’eventuale seguito.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

MIRO’! POESIA E LUCE

ROMA, CHIOSTRO DEL BRAMANTE, FINO AL PROSSIMO 10 GIUGNO

“Questo però, avrebbe potuto farlo anche un bambino”: è una frase che viene spontanea, davanti a tante opere di arte contemporanea, e lo fa ancora più spesso, e forse con più forza, proprio davanti a molti dei quadri esposti nella mostra dedicata al pittore spagnolo.
La questione è già stata abbondantemente dibattuta e sviscerata, senza tuttavia perdere la sua ‘forza’: insomma, è come se da qualche decennio a questa parte, esplorato più o meno tutto l’esplorabile in tema di arte figurativa, ci sia messi alla ricerca dell’essenziale, del ritorno alle ‘origini’, o ad una ‘istintività fanciullesca’.
Pollock aveva proposto come soluzione il ‘lasciarsi andare’, attraverso il semplice sgocciolio sulla tela, una tecnica che Mirò riprende, affiancandogli quella, primitiva, dell’intingere le dita nel colore usandole come pennelli, o imprimendo sulla tela la semplice impronta delle sue mani.
Mirò, che affianca a questa tecnica l’ampio utilizzo di ‘segnacci’ di nero, arricchiti di volta in volta con macchie di colore, o utilizzando come accompagnamento cromatico la superficie pittorica stessa (non solo la tela, ma anche compensato, masonite, carta vetrata), riproducendo paesaggi o personaggi per il quale il termine ‘stilizzato’ rappresenta un eufemismo.
Tecnica a parte, il punto resta: ‘quel quadro lo poteva disegnare anche un bambino di tre anni’… e allora la domanda diventa se forse non sarebbe più onesto esporre nei musei i disegni dei bambini delle elementari, di fronte ai quali le ‘grandi opere’ di certi pittori contemporanei assurgono al ruolo di ‘pallide copie’.
Qualcuno dirà che però “di mezzo c’è stato un ‘percorso'”… obiezione valida, ma se poi ti senti dire dagli stessi protagonisti che il loro ispirarsi alle pittore murali delle grotte di Altamira è voluto, o che la loro è la ricerca del ‘gesto istintivo, privo di sovrastrutture’, ossia dello stesso gesto tipico, appunto, delle menti ancora prive di condizionamento dei bambini piuttosto che delle tribù primitive, sulle quali non avevano influito secoli di ‘sovrastrutture culturali’, allora, siamo da capo. Non se ne esce.
Non so perché questa mostra mi abbia condotto più di altre a queste riflessioni: forse perché Mirò supera in quanto a essenzialità, a ricerca del ‘tratto primitivo’ tanti altri contemporanei, fatto sta che alcune delle opere esposte, specie certi piccoli schizzi a inchiostro, non hanno nulla a che invidiare agli scarabocchi che fanno i ragazzini delle elementari… e allora la questione resta lì, irrisolta, ad aleggiare nell’aria…
L’esposizione dedicata a Mirò merita comunque una visita, tra quadri policromatici e altri dominati dal bianco e nero, materiali ‘consueti’ ed altri più arditi, qualche scultura (che utilizza materiali e oggetti di uso quotidiano), e la riproduzione del suo studio a Palma de Maiorca: la mostra si concentra infatti sul periodo in cui Mirò si trasferì lì, sequendo il proprio retaggio materno.
Arricchito da un breve video, il percorso è forse un pò troppo interrotto da corridoi e disimpegni (per quanto spesso utilizzato per mostre di questo il Chiostro del Bramante non mi pare sia il massimo, come sede espositiva).
Schiacciata dalla mostra dedicata all’Avanguardia Americana, e dall’evento dell’anno dedicato a Dalì, l’esposizione di Mirò rischia forse di passare inosservata, il che, sarebbe tutto sommato un peccato: il consiglio è di trovare il tempo per andarci: se non altro, la prossima volta che vostro figlio vi porterà un suo ‘disegno’, potreste sempre appenderlo in salotto, spacciandolo per un Mirò…

Femme Dans La Rue

 

L’INFERNO DI ORFEO, “CANZONI DELLA VOLIERA” (HERTZ BRIGADE)

Nella migliore delle ipotesi, si può sottolineare questo disco come prova della indubbia capacità del gruppo di giostrare trai generi, più o meno incurante di qualsiasi necessità classificatoria; a voler essere cattivi, si potrebbe obbiettare che questo saltabeccare da un’idea sonora ad un’altra dà l’idea della mancanza di una ‘bussola stilistica’ che dia modo alla band di focalizzare in maniera più decisa il proprio vissuto musicale.
L’esordio dei torinesi L’Inferno Di Orfeo è uno di quei classici dischi – patchwork, nei confronti dei quali si cambia opinione ad ogni ascolto, una volta colpiti dalla indubbia perizia della band (che la ‘trasversalità’ che caratterizza il disco, va sottolineato, se la può ampiamente permettere, passando agevolmente da una suggestione all’altra), quella successiva un pò disorientati, tanto da chiedersi dove vogliano andare a parare: non poca la carne al fuoco nei dodici brani presenti (con testi, cantati in italiano, improntati ai classici filoni dell’osservazione del ‘se’, del rapporto -sentimentale e non – con ‘l’altro’, e di ‘ciò che gira intorno’): rock e, spesso blues, in chiave elettrica ed acustica, costituiscono l’architrave di composizioni che prendono di volta in volta derive progressive (talvolta con profumi mediterranei), piuttosto che affacciarsi su territori psichedelici, flirtare (anche attraverso l’uso del piano) coi Radiohead, o rifarsi (per loro stessa ammissione) alle sgargianti coloriture della Dave Matthews Band, senza negarsi, in più di un’occasione, qualche rapida escursione in territori più accidentati, sfociando esplicitamente nel metal, e fondendo questo impasto sonoro con la dimensione cantautorale, sulla scia di quanto già sperimentato dalla ‘scena torinese’ degli ultimi anni.
Anche dopo più ascolti, si resta indecisi: un gruppo votato alla versatilità, o che utilizza questa capacità di ‘attraversamento’ per celare un’indecisione stilistica di fondo? Il dubbio resta, e allora: “Canzoni della voliera” piacerà sicuramente a coloro che amano l’attesa su come il gruppo cambierà veste da un pezzo all’altro (ma talvolta anche all’interno dello stesso brano); un pò meno, forse a coloro che invece che da un disco si aspettano una certa ‘coerenza d’insieme’.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

REPLACE THE BATTERY, “DAILY BIRTHDAY” (IN THE BOTTLE RECORDS)

Disco di esordio per questo quartetto proveniente dalla provincia di Padova: otto brani nei quali viene proposta la rilettura di varie esperienze sonore, riconducibili a un’ ampia area che, partendo dallo shoegaze, fiinisce per addentrarsi nei territori di certo ambient – noise dai contorni psichedelici.
I punti di riferimento sono quindi abbastanza prevedibili: si va dai My Bloody Valentine e, magari dagli Spacemen 3 (anche se con effetti meno ‘invasivi’), per arrivare alle esperienze, più vicine ai tempi attuali, di gruppi come Mogway o Explosions In The Sky (anche in questo caso senza raggiungerne gli effetti dirompenti).
Alternando brani strumentali a pezzi cantati (in inglese), il quartetto veneto riesce a dare vita a un disco che, pur scoprendo fin da subito i propri punti di riferimento sonori, riesce comunque a mostrare una certa personalità, grazie all’insegna di una formula che mescola una certa ‘piacevolezza sonora’ (qua e là anche con qualche esito quasi ‘radio-friendly’), all’intenzione di rispettare le coordinate della propria rotta.
Il risultato è un disco anche abbastanza vario, all’insegna di una costante ‘densità elettrica’ dagli effetti a tratti stranianti, che alterna momenti più improntati all’emotività (e a volte a un intimo raccoglimento), ad aperture più irruenti, pronte quasi a sfociare nella cavalcata siderale.
Un disco che appare ancora più riuscito nel suo essere un esordio e nel mostrare quindi una band probabilmente non ancora sviluppato pienamente le proprie potenzialità.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY