Archive for Maggio 2017

TOTTI HA SMESSO. VIVA TOTTI!!!

Raramente mi commuovo per i fatti in sé; a commuovermi è invece la commozione altrui: insomma, a forza di vedere gente in lacrime, ieri pomeriggio i rubinetti li ho aperti un minimo anch’io… dev’essere dipeso da quella storia dei ‘neuroni specchio’ che ci portano a entrare in empatia col prossimo…

E’ stata una bella pagina finale, di un ultimo capitolo scritto indubbiamente male, per colpa di tutti i protagonisti: dello stesso Totti, con la poco tempestiva intervista dello scorso anno, accompagnata da quella – se possibile ancora più deleteria – della sua consorte; un copione proseguito con l’atteggiamento di Spalletti, certo dettato da questioni tecniche, ma abbastanza evidentemente caratterizzato dall’essersela ‘legata al dito’… tutto si sarebbe potuto gestire meglio, con beneficio di tutti, ma si sa, dopo tutto siamo a Roma…

Roma, appunto, e i romani; anzi, i romanisti: pubblico umorale, pronto a innalzare i giocatori sugli altari dell’idolatria e altrettanto rapido ad affossarli nel mare dell’ingratitudine; la vicenda sportiva e umana di Totti può essere riassunta proprio in questo rapporto che per una volta non è esagerato definire ‘di amore’ tra un ragazzo e la sua città; ieri pomeriggio nel silenzio dell’Olimpico è riecheggiato l’urlo di qualcuno che ha esclamato: “Te volemo bene!!!” e le parole conclusive di Totti sono state: “Vi amo”: ecco, per chi fa fatica a capire quello che ieri può essere sembrato uno psicodramma farsesco, di fronte ai tanti fatti, anche recenti, che di lacrime ne hanno fatte versare con molto più profonde e motivate ragioni altrove, quelle due frasi possono chiarire di più il concetto.

Come recitava ieri uno dei tanti striscioni, 25 anni passati nella stessa squadra e con la stessa maglia hanno rappresentato, è vero, per Totti la vittoria di una ‘battaglia’ contro il calcio moderno che raramente conosce un valore che vada oltre quello del denaro; resta però da vedere se tutto questo sia stato il risultato di una ‘battaglia’ realmente combattuta, o non sia derivato piuttosto da una serie di scelte, certo guidate dall’affetto, ma anche dalla necessità di continuare a ‘sentirsi amato’; si è detto tante volte che un Totti al Real Madrid avrebbe potuto vincere Champions League e palloni d’oro, ma la mia impressione è che alla fine Totti abbia scelto di restare, certo per amore dei tifosi e della maglia, ma anche per la profonda necessità di continuare a sentirsi amato, senza mai essere messo in discussione, sempre giustificato anche per quei gesti, che sono periodicamente tornati nel corso di quasi tutta la sua carriera, che continueranno a rappresentare macchie indelebili.
Brevemente: Totti è rimasto a Roma forse perché solo qui poteva essere Er Capitano, perché altrove sarebbe diventato uno dei tanti, specie in quel Real ‘galattico’ fatto di campioni.

‘Er Capitano’, appunto: un ruolo al quale era predestinato, grazie a un talento naturale coltivato con una disciplina ferrea che lo ha portato a 41 anni a poter ancora giocare alla pari con una bella fetta di gente più giovane di lui; ‘Capitano’ quindi, in virtù di una superiorità tecnica che in questi 25 anni a Roma non ha mai avuto seri concorrenti (forse l’unico a contendergli la palma di miglior giocatore della Roma, in questi 25 anni, è stato Batistuta, ma per un lasso di tempo decisamente breve); Totti è stato indiscutibilmente il miglior giocatore della Roma per almeno i primi 23 di questi 25 anni; la fascia è stata quindi ampiamente meritata; eppure, l’impressione è che Totti sia stato un capitano di molti ‘fatti concreti’ – gol, assist, giocate geniali – ma di troppe poche parole: a lui è mancata – opinione personale – la ‘stoffa del leader’; e così alla Roma, in questi anni, è spesso mancato un giocatore che nei momenti difficili scuotesse la squadra con gli sguardi e qualche parola; responsabilità che spesso, anche se non sempre, si è assunta De Rossi, non a caso da almeno un decennio battezzato ‘Capitan Futuro’… quel ‘futuro’, per inciso, è finalmente arrivato, anche se quasi a fine carriera.
Totti insomma sembra essersi fatto scudo delle sue giocate, come se avesse detto: “a regà, io segno e vi faccio segnare, non chiedetemi pure i discorsi…”, atteggiamento in fondo umanissimo e che però forse ha privato la Roma di qualcosa.

La superiorità tecnica di Totti è stata insomma tale da non poterlo mai mettere in discussione, anche se a volte forse sarebbe stato il caso… così come la stessa superiorità ha impedito che fossero stigmatizzati a dovere i ‘gesti’ di cui parlavo sopra: certo si è scusato, certo spesso si è trattato di ‘reazioni’ a continue provocazioni (derivate a loro volte dalla consapevolezza degli avversari che dai e dai a premere certi ‘nervi scoperti’, si sarebbe ottenuto il risultato voluto); a Roma talvolta a Totti si è perdonato troppo e troppo in fretta, ma si sa: l’amore è cieco e impedisce di vedere i difetti dell’amato.

I campioni, anche i Totti, passano; le squadre restano e io, pur unendomi al tributo più che mai dovuto e sentito, da tifoso romanista in fondo mi auguro che come ieri si è chiusa un’epoca – un altro striscione ieri affermava, più o meno “non piangere perché una storia è finita, sorridi perché l’hai vissuta” – che oggi se ne apra un’altra, caratterizzata magari da un’assenza di giocatori simbolo che ci faccia rimpiangere Totti, ma da qualche vittoria ‘pesante’ in più…

Ora è tutto finito: va dato atto a Totti di aver chiuso alla grande, parlando di ‘paura’; a pensarci fa certo paura pensare a una persona che a una quarantina d’anni, più o meno il 40 per cento della propria vita, ha sostanzialmente raggiunto ciò che era il suo obbiettivo; ‘dramma’ se vogliamo che accomuna tutti gli sportivi e che le distingue da scienziati, musicisti, scrittori, che continuano la propria attività per tutta la propria esistenza.
L’impressione è che Totti veramente stia pensando: “e mo’ che faccio?”; una domanda alla quale il probabile ruolo dirigenziale nella Roma non può certo costituire la risposta, se non a livello superficiale: a quella domanda serve rispondere con una ‘ragione di vita’ ben più profonda; credo che Totti ora abbia veramente bisogno di ‘staccare’ per almeno sei mesi.
E’ questa situazione che penso debba generare il maggiore rispetto, la maggiore comprensione, la maggiore empatia per Totti.
Non è il tributo popolare e mediatico di ieri che può fornire il vero sostegno: è piuttosto un più comune ‘appoggio quotidiano’, una volta spenti i riflettori, che accompagni Totti nel percorso, non facile, che lo possa portare a capire, come ha lucidamente ammesso lui stesso, cosa vuole ‘fare da grande’.

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KAMAL, “ABORIGENI ITALIANI” (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA DISCHI)

Dalla Val Camonica all’Australia, passando per la Spagna e l’Inghilterra: un’esistenza decisamente movimentata, quella di Carlo Bonomelli, classe 1982, giunto al secondo capitolo lunga distanza della propria biografia musicale, a quattro anni circa dal precedente “La bacchetta magica e altre storie…”, i due lavori intervallati da un paio di EP; nel frattempo, la ‘canonica’ attività dal vivo, sul palco, tra gli altri, con Bugo, Mannarino e Marco Giuradei, qui anche co-produttore.

Una ‘raccolta’, nella quale sono stati raggruppati brani risalenti al 2007 – 2009 e pezzi più recenti, posteriori al ritorno dai tre anni trascorsi in Australia, nel 2013.
Il titolo, oltre a rimandando direttamente a quell’esperienza, sembrerebbe evocare un parallelo: come se nei complicati ‘tempi moderni’ gli italiani col loro campionario di luoghi più o meno comuni fossero condannati all’estinzione in un mondo sempre più globalizzato… intendiamoci, non siamo di fronte a rivendicazioni più o meno ‘sovraniste’ o leghiste – nulla di esplicitamente ‘politico’ – ma forse nei continui rimandi, specie sonori, al corpus tradizionale della musica popolare italiana – dalle canzoni da osteria o balera, ai cori degli alpini, passando per la canzone popolare più largamente intesa e per la sua più o meno diretta discendenza cantautorale – si avverte una sorta di malinconia, di ‘nostalgia’, in parte forse di mantenere ‘vivi’ certi riferimenti storici, anche sonori, ad esempio col frequente uso del violino e l’intervento della fisarmonica.

Kamal – nome d’arte scelto dopo un viaggio in Nepal e abbracciato definitivamente nel 2017, essendo nel frattempo diventato il suo soprannome nel quotidiano – di certo non si risparmia: 17 brani e circa 70 minuti di durata sono decisamente una rarità, specie per artisti che militano nelle retrovie, che spesso scelgono strade molto più ‘brevi’ per offrire saggi più rapidi e ‘immediati’ della propria proposta. Bonomelli / Kamal invece spariglia, offrendo un disco di durata extra – large, la cui ‘prodigalità’ è apprezzabile, ma che porta con sé il rischio del cali d’attenzione, del disorientamento: la ‘sfida’ di un disco così corposo tende a trasformarsi in una sorta di ‘prova di resistenza’.

Il disco offre comunque una certa varietà di stili e umori: oltre al campionario ‘tradizionale’ di cui sopra, la proposta sonora di Kamal / Bonomelli contiene riferimenti alla musica d’oltreoceano, dal country western al folk e suggestioni più ‘moderne’, rock e varie derivazioni, all’insegna di un variegato ensemble strumentale, cui ha contribuito il manipolo di ospiti intervenuti a sostegno del cantautore.
Varietà anche nelle tematiche affrontate: tra autobiografia e scenari immaginati, vicende sentimentali più o meno fugaci o complicate e donne fatali; riflessioni sociali, dal valore del tempo libero all’ossessione per i farmaci, i luoghi comuni legati alle ‘nazioni’ (nel caso specifico, la Svizzera)… il tutto all’insegna di un tono costantemente ironico, tra ironia e disincanto, che mostra spesso il gusto per il gioco di parole.

Diciassette brani sono certo tanti, ed è naturale che vi sia qualche passaggio a vuoto, episodi meno riusciti rispetto a brani più efficaci, col rischio che le potenzialità e le doti del cantautore ne escano in una certa misura indebolite, un filo annacquate, pur restando comunque apprezzabile lo sforzo di offrire all’ascoltatore un pasto decisamente abbondante.

IN MEMORIAM…

Con un certo ritardo, ma alla fine ci tenevo…

 
CHRIS CORNELL (1964 – 2017)

 

e, più recente…

ROGER MOORE (alias: Simon Templar – ‘Il Santo’, Lord Brett Sinclair, James Bond) (1927 – 2017)


 


 


 

NEUROMANT, “CYBERBIRDS” (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA DISCHI)

Primo full length per i Neuromant, da Cannara (PG), già autori di un EP – “Commodore 64” – un paio di anni fa.

Titolo e nome della band lasciano almeno in buona parte pochi dubbi su climi, atmosfere e intenzioni del quartetto umbro: le coordinate ‘ideali’ del gruppo si fissano nei territori cyberpunk di William Gibson (il cui “Negromante” è riferimento diretto per il titolo del disco), nelle distopie di Philip Dick, nella fantascienza ‘sociologica’ di J. G. Ballard.

I ‘cyberbirds’ del titolo seguono la direzione dello ‘stormo’: cosa che in fondo fanno anche gli uccelli normali, ma in questo la differenza risiede nella ‘meccanicità e ripetitività’ del gesto, più che nell’istinto di sopravvivenza del gruppo. Una metafora dell’umanità dei tempi attuali, in particolar modo applicata alla pervasività del progresso tecnologico, la perdita d’identità del singolo, il rapporto conflittuale e per certi versi deleterio con la natura.

Così, se la ‘gente comune’ si divide tra chi si aggrega volentieri alla massa, finendo per disumanizzarsi (‘Emptiness’) , chi cede al conflitto interiore finendo preda delle proprie nevrosi (‘All the crazy voices)’ e chi cerca una strada per la salvezza, sia essa l’isolamento del mondo, con un’allegorica fuga nella profondità marine (‘Penguin’s Parade’), un tortuoso percorso di apprendimento ed evoluzione interiore (‘Cold wind fat world’) o la valorizzazione di ciò che, soprattutto nei legami affettivi, apparentemente privo d’importanza, la rivela solo una volta che lo si è perso (‘Lullabye’).

I Neuromant danno forma sonora al proprio bagaglio di idee in dieci brani, riconducibili al lato più riflessivo del brit pop: per chi se li ricorda, potrebbero venire in mente gli Embrace, anche se prevedibilmente il tentativo di cercare una maggiore profondità e articolazione stilistica porta prevedibilmente a incrociare i Radiohead.

Nonostante i riferimenti ‘cyber’ le derive psichedeliche, per quanto poco più che accennate, sono più frequenti rispetto alle atmosfere sintetiche, così come le parentesi più accorate e intense, prevalgono sulle parentesi post – industriali. L’esito è un disco che rivela tra le sue pieghe alcune idee interessanti e potenzialità da sviluppare da parte di una band che, ancora all’inizio del percorso, deve ancora inquadrare definitivamente il proprio stile.

CICCIO ZABINI, “ALBUME” (LIBELLULA MUSIC)

Sostanza strana, l’albume: membrana liquida protettiva che può mutare in materia dalla consistenza nevosa, fragile via di mezzo verso il solido… Poco identificabile, sfuggente: caratteristiche condivise col disco d’esordio di Ciccio Zabini, classe 1982, leccese di nascita, una lunga ‘relazione’ a più riprese con Bologna, una parentesi madrilena prima del ritorno nella città natale, dove finalmente dà forma al voluminoso bagaglio di esperienze accumulate.

Dieci pezzi in cui Zabini dice e non dice, affastellando stralci di pensieri, considerazioni, riflessioni quasi in un flusso di coscienza; personaggi comuni ma portati ai margini dai propri drammi quotidiani; l’incomprensibilità delle relazioni affettive; filastrocche trasfigurate, paesaggi crepuscolari, momenti onirici…

Il tutto interpretato con aria disincantata, un gusto per i giochi di parole, le analogie, le assonanze, fin dal titolo, che rievoca l’ormai desueto termine di ‘album’ per definire i lavori sulla lunga distanza. Non si cede mai all’aperta  malinconia, né all’aperta sguaiatezza; si resta sul filo dell’ironia, così come sul fronte sonoro prevalgono suoni e atmosfere raccolte, all’insegna di attitudini vagamente jazzistiche, frequenti flirt con sonorità iberiche o sudamericane, un insieme sonoro nel quale in cui la consistenza pastosa del contrabbasso tiene costantemente a bada l’elettricità delle chitarre (sebbene in un paio di episodi si assista a virate, sebbene non totalmente compiute, verso il rock o il country), ma la cui impronta è definita in modo più deciso dai fiati e il cui elemento distintivo finisce per essere il flauto, tra parentesi di dinamismo quasi frenetico e momenti più rarefatti, all’insegna di una nebbiosità impressionista, dai tratti obliqui, misteriosi. Si stacca dal resto, quasi come una piccola isola, ‘Il furto di/vino’, brano firmato da Agrippino Costa, divenuto poeta per sopravvivere a vent’anni di carcere.L’attitudine cantautorale di Zabini ricorda tanti senza ricondurre pienamente a nessuno: il primo della lista, per affinità vocale e un certo gusto nell’uso delle parole è De André, ovviamente con tutti i debiti distinguo.

“Albume” assolve pienamente alla sua funzione di disco d’esordio di un artista che ha già accumulato una solida esperienza; uno stile affinato all’insegna di una giocosità sfuggente che è il punto di forza del lavoro, ma che a tratti sembra un filo troppo insistita, come se l’autore finisse per avvolgersi in un ‘albume’ fatto di allusioni e suggerimenti accennati, forse per evitare di confrontarsi troppo direttamente con la durezza di una realtà che il disco lascia intravedere solo in controluce.

FUMETTAZIONI 4 / 2017

Brevi recensioni di letture disegnate

 
INVINCIBLE 39 – 40

Una lunga battaglia spaziale, un apparente ritiro, un tremendo dubbio finale; il repentino ritorno a casa e un finale spiazzante, che vuole sorprendere, alla fine riuscendoci (pur se i lettori più smaliziati avrebbero potuto intuire qualcosa).
Invincible si conferma sempre di più un ‘classico contemporaneo’, riproponendo tutti i classici ‘luoghi comuni’ del fumetto supereroistico, ma con una freschezza sconosciuta alla stragrande maggioranza delle serie dei ‘giganti’ Marvel e DC, pur tenendo conto del fatto che si tratta di storie pubblicate circa sei anni fa.
Voto: 7,50

In appendice, Tech Jacket: un discreto mix di elementi americani e nipponici.
Voto: 6,5

 
I GRANDI CLASSICI DISNEY 15

Si comincia con Sport Goofy, l’iperatletico cugino di Pippo, con una storia (di Marconi – Cavazzano) del 1988, incentrata sul minibasket, sport che in quel periodo veniva ampiamente promosso sulle pagine di Topolino.
La sezione ‘storica’ è dedicata a isole misteriose et similia, con le firme di Barks, Murry, Fallberg, Hubbard, Thomson, Martina, Capitanio.
I fratelli Barosso, Chendi e De Vita completano un numero che finisce per confermare un’impressione frequente negli ultimi mesi: i sommari si vanno indebolendo, le storie ‘d’annata’ più che classici appaiono curiosità, le altre spesso lasciano il tempo che trovano; il fatto è che questa collana, un tempo la vera ‘antologica d’eccellenza’ della Disney, oggi è stretta tra varie iniziative analoghe, dai ‘Migliori anni Disney’ alla più recente “Tesori Made in Italy”.
Voto: 6

 
THE WALKING DEAD 46

Un numero ‘di attesa’, dopo il finale – shock del precedente; ancora una volta, Rick si trova di fronte a una scelta difficile, tra cedere agli istinti di vendetta della comunità da lui faticosamente creata verso chi ha barbaramente ucciso 12 dei suoi componenti e la consapevolezza che una reazione immediata e non calcolata potrebbe mettere a rischio l’intero tentativo di ricostruzione di una parvenza di società.
Voto: 6,5

 
TESORI DISNEY INTERNATIONAL 7

L’olandese Daan Jippes è il protagonista assoluto del numero, a partire dal suo lavoro sul materiale lasciato incompiuto da Carl Barks, fino alle storie interamente disegnate da lui, in un excursus che parte dagli anni ’70 per approdare quasi ai giorni nostri.
Protagonista assoluta, ovviamente, la banda dei paperi, con al centro Paperino e le sue piccole – grandi disavventure quotidiane.
Il tributo doveroso ad una delle principali firme Disney al di fuori degli Stati Uniti.
Voto: 7

LA PLAYLIST DI APRILE

Calais Blues             Aldo Betto with Blake C.S. Franchetto & Youssef Ait Bouazza

Scarpe rotte                                  CRNG

Fa un freddo che si muore       Cranchi

Icaro                                                Umaan

Nonostante tutto                           Giuseppe Fiori

Pink Astronaut Story                   Genoma

Godot                                               Clorosuvega

Il violinista dagli occhi blu         Salamone

Silenzio                                            Eugenio In Via Di Gioia

Avvolte                                            Poveroalbert