Raramente mi commuovo per i fatti in sé; a commuovermi è invece la commozione altrui: insomma, a forza di vedere gente in lacrime, ieri pomeriggio i rubinetti li ho aperti un minimo anch’io… dev’essere dipeso da quella storia dei ‘neuroni specchio’ che ci portano a entrare in empatia col prossimo…
E’ stata una bella pagina finale, di un ultimo capitolo scritto indubbiamente male, per colpa di tutti i protagonisti: dello stesso Totti, con la poco tempestiva intervista dello scorso anno, accompagnata da quella – se possibile ancora più deleteria – della sua consorte; un copione proseguito con l’atteggiamento di Spalletti, certo dettato da questioni tecniche, ma abbastanza evidentemente caratterizzato dall’essersela ‘legata al dito’… tutto si sarebbe potuto gestire meglio, con beneficio di tutti, ma si sa, dopo tutto siamo a Roma…
Roma, appunto, e i romani; anzi, i romanisti: pubblico umorale, pronto a innalzare i giocatori sugli altari dell’idolatria e altrettanto rapido ad affossarli nel mare dell’ingratitudine; la vicenda sportiva e umana di Totti può essere riassunta proprio in questo rapporto che per una volta non è esagerato definire ‘di amore’ tra un ragazzo e la sua città; ieri pomeriggio nel silenzio dell’Olimpico è riecheggiato l’urlo di qualcuno che ha esclamato: “Te volemo bene!!!” e le parole conclusive di Totti sono state: “Vi amo”: ecco, per chi fa fatica a capire quello che ieri può essere sembrato uno psicodramma farsesco, di fronte ai tanti fatti, anche recenti, che di lacrime ne hanno fatte versare con molto più profonde e motivate ragioni altrove, quelle due frasi possono chiarire di più il concetto.
Come recitava ieri uno dei tanti striscioni, 25 anni passati nella stessa squadra e con la stessa maglia hanno rappresentato, è vero, per Totti la vittoria di una ‘battaglia’ contro il calcio moderno che raramente conosce un valore che vada oltre quello del denaro; resta però da vedere se tutto questo sia stato il risultato di una ‘battaglia’ realmente combattuta, o non sia derivato piuttosto da una serie di scelte, certo guidate dall’affetto, ma anche dalla necessità di continuare a ‘sentirsi amato’; si è detto tante volte che un Totti al Real Madrid avrebbe potuto vincere Champions League e palloni d’oro, ma la mia impressione è che alla fine Totti abbia scelto di restare, certo per amore dei tifosi e della maglia, ma anche per la profonda necessità di continuare a sentirsi amato, senza mai essere messo in discussione, sempre giustificato anche per quei gesti, che sono periodicamente tornati nel corso di quasi tutta la sua carriera, che continueranno a rappresentare macchie indelebili.
Brevemente: Totti è rimasto a Roma forse perché solo qui poteva essere Er Capitano, perché altrove sarebbe diventato uno dei tanti, specie in quel Real ‘galattico’ fatto di campioni.
‘Er Capitano’, appunto: un ruolo al quale era predestinato, grazie a un talento naturale coltivato con una disciplina ferrea che lo ha portato a 41 anni a poter ancora giocare alla pari con una bella fetta di gente più giovane di lui; ‘Capitano’ quindi, in virtù di una superiorità tecnica che in questi 25 anni a Roma non ha mai avuto seri concorrenti (forse l’unico a contendergli la palma di miglior giocatore della Roma, in questi 25 anni, è stato Batistuta, ma per un lasso di tempo decisamente breve); Totti è stato indiscutibilmente il miglior giocatore della Roma per almeno i primi 23 di questi 25 anni; la fascia è stata quindi ampiamente meritata; eppure, l’impressione è che Totti sia stato un capitano di molti ‘fatti concreti’ – gol, assist, giocate geniali – ma di troppe poche parole: a lui è mancata – opinione personale – la ‘stoffa del leader’; e così alla Roma, in questi anni, è spesso mancato un giocatore che nei momenti difficili scuotesse la squadra con gli sguardi e qualche parola; responsabilità che spesso, anche se non sempre, si è assunta De Rossi, non a caso da almeno un decennio battezzato ‘Capitan Futuro’… quel ‘futuro’, per inciso, è finalmente arrivato, anche se quasi a fine carriera.
Totti insomma sembra essersi fatto scudo delle sue giocate, come se avesse detto: “a regà, io segno e vi faccio segnare, non chiedetemi pure i discorsi…”, atteggiamento in fondo umanissimo e che però forse ha privato la Roma di qualcosa.
La superiorità tecnica di Totti è stata insomma tale da non poterlo mai mettere in discussione, anche se a volte forse sarebbe stato il caso… così come la stessa superiorità ha impedito che fossero stigmatizzati a dovere i ‘gesti’ di cui parlavo sopra: certo si è scusato, certo spesso si è trattato di ‘reazioni’ a continue provocazioni (derivate a loro volte dalla consapevolezza degli avversari che dai e dai a premere certi ‘nervi scoperti’, si sarebbe ottenuto il risultato voluto); a Roma talvolta a Totti si è perdonato troppo e troppo in fretta, ma si sa: l’amore è cieco e impedisce di vedere i difetti dell’amato.
I campioni, anche i Totti, passano; le squadre restano e io, pur unendomi al tributo più che mai dovuto e sentito, da tifoso romanista in fondo mi auguro che come ieri si è chiusa un’epoca – un altro striscione ieri affermava, più o meno “non piangere perché una storia è finita, sorridi perché l’hai vissuta” – che oggi se ne apra un’altra, caratterizzata magari da un’assenza di giocatori simbolo che ci faccia rimpiangere Totti, ma da qualche vittoria ‘pesante’ in più…
Ora è tutto finito: va dato atto a Totti di aver chiuso alla grande, parlando di ‘paura’; a pensarci fa certo paura pensare a una persona che a una quarantina d’anni, più o meno il 40 per cento della propria vita, ha sostanzialmente raggiunto ciò che era il suo obbiettivo; ‘dramma’ se vogliamo che accomuna tutti gli sportivi e che le distingue da scienziati, musicisti, scrittori, che continuano la propria attività per tutta la propria esistenza.
L’impressione è che Totti veramente stia pensando: “e mo’ che faccio?”; una domanda alla quale il probabile ruolo dirigenziale nella Roma non può certo costituire la risposta, se non a livello superficiale: a quella domanda serve rispondere con una ‘ragione di vita’ ben più profonda; credo che Totti ora abbia veramente bisogno di ‘staccare’ per almeno sei mesi.
E’ questa situazione che penso debba generare il maggiore rispetto, la maggiore comprensione, la maggiore empatia per Totti.
Non è il tributo popolare e mediatico di ieri che può fornire il vero sostegno: è piuttosto un più comune ‘appoggio quotidiano’, una volta spenti i riflettori, che accompagni Totti nel percorso, non facile, che lo possa portare a capire, come ha lucidamente ammesso lui stesso, cosa vuole ‘fare da grande’.