Dopo essersi fatto conoscere – e apprezzare – con un precedente Ep, intitolato “Anima Latrina” (ogni riferimento era puramente voluto), il catanese Enrico Lanza si cimenta nella prima prova sulla lunga distanza: undici brani (poco meno di quaranta minuti la durata complessiva) grazie ai quali il cantautore catanese entra a buon diritto nel filone più corrosivo e se il termine è consentito, ‘antieroico’ del cantautorato italiano.
Ascoltando “L’uomo nudo” il primo nome che viene in mente, per l’atteggiamento sardonico è quello di Rino Gaetano, ma tra le pieghe del disco si intravede un filo della vena nichilista di Piero Ciampi (Al mio funerale) , o dello sguardo disincantato di Claudio Lolli (L’atto situazionista), mentre un brano come Io non ho il clitoride, sarebbe probabilmente piaciuto a Lucio Dalla.
Tra cantautorato, folk ‘sghembo’ e low-fi e improvvise accelerazioni all’insegna di ruvidità trasandate, Lanza interpreta testi all’insegna dell’osservazione del sè e del ‘mondo che gira intorno’, attraverso uno stile variegato che raramente resta nei binari del ‘bel cantare’, sempre pronto a deragliare, tra scazzo, nervosismo, vivacità venata di follia, spesso improntato a una vocalità sguaiata, che non di rado varca i confini dello ‘schiamazzo’.
Attorno, suoni consueti e altri meno: alla chitarra acustica imbracciata dal protagonista, si affiancano di volta il volta synth, mandolino, banjo, organi e rumori vari, per la maggior parte frutto dell’intervento di Lorenzo Urciullo (Colapesce); tra le altre partecipazioni, vale almeno la pena di segnalare quella di Cesare Basile all’ukulele.
Non sarà un fenomeno, Mapuche; in ogni caso, in una scena italiana che negli ultimi tempi ha prodotto una serie di autori che, per quanto valenti, appaiono tutti essere accomunati da prendersi dannatamente sul serio, mancava una sana dose di ironia e sguaiatezza: Cesare Lanza si candida seriamente a riempire il vuoto, portandoci una sana dose di riflessiva leggerezza.