Archive for the ‘vita’ Category

UNA GIORNATA PARTICOLARE…

…passata interamente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Ci ero già stato, in passato, ma sempre in occasioni un po’ ‘mordi e fuggi’; ieri, approfittando dell’apertura gratuita, ho finalmente colto l’occasione per godermela.

Un bel ‘viaggio’ per arrivarci, sul ‘3’, da Trastevere a Valle Giulia (con cambio bus / tram a Piramide); ‘viaggio’ che consiglio a tutti, perché tocca alcuni dei posti più significativi di Roma… e poi, lì…

Non starò a fare un elenco di quello che ho visto (tutto, praticamente: arrivato lì, alle 11.00, me ne sono andato quasi alle 17.00), ma è stato elettrizzante, appagante: mi sono sentito come un bambino a Disneyland, immerso nell’arte che mi piace tanto, incuriosito, affascinato, meravigliato.

E’ stata una giornata bellissima, senza pensieri, preoccupazioni, ansie… in cui tra parentesi anche il ‘derby’ è passato in secondo piano, ci ho pensato poco o nulla (e la Roma l’ha pure vinto, evidentemente tutto ha portato bene).

Una così bella giornata, conclusa con un tale un senso di appagamento, di serenità (conciliata anche dal clima bellissimo, entrare con la luce, uscire con la luce), non mi capitava da anni… Una cura per la mente e per lo spirito, cui mi ripropongo di ‘sottopormi’ da qui a qualche mese e in seguito periodicamente, perché poi diciamocela tutta: arrivi alla fine e sei quasi ‘sfiancato’, per cui tante cose soprattutto alle fine le superi e devi tornare.

Però alla fine di tutto, la sensazione più bella, per me che spesso mi sento fuori posto, fuori contesto, è stata quella di sentirmi ‘a casa’, lì, tra Canova e Burri, Klimt e Manzoni, tra le lamiere accartocciate e gli orinali di Duchamp.

Una sensazione bellissima.

 

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INCONTRI

Ieri scendo al centro per il solito giretto del sabato pomeriggio, incrocio naturalmente la manifestazione al Pantheon, poi prendo la solita via laterale, per chi conosce Roma, quella in cui c’è una celebre rivendita di caffè… Lì vicino c’è una piazzetta, per la precisione, Piazza di S.Maria in Aquiro.

E’ lì che l’occhio mi cade sul tipo: fisico mingherlino, capelli biondastri alle spalle… ma soprattutto, gli occhi: quegli occhi ‘a fessura’ che sono la caratteristica tipica del personaggio, che non ti puoi sbagliare o quasi, che ti viene da pensare che se non è lui è o un sosia, o il gemello segreto.

Il tipo stava parlando con un altro soggetto, in inglese… a un certo punto, si salutano con un abbraccio; il tipo, accompagnato da una ragazza mora, carina, mi pare, si infila in un negozio. Io resto lì, fermo, titubante. Intanto, vado su Internet per sincerarmi, guardo un po’ di foto per capire se davvero è lui, o solo uno che gli somiglia… alla fine rinuncio, perché diciamocelo a 40 suonati fare la posta a un ‘vip’ fuori da un negozio dà l’idea un po’ malata, di un personaggio uscito da un libro di Stephen King… E comunque sono timido, in questi non so mai cosa dire in italiano, figuriamoci in inglese. Vado via.

In seguito su FB contatto un paio di conoscenti che essendo più dentro al mondo della musica magari mi potrebbero informare di voci circa la presenza del tipo in questione a Roma… Una di loro mi conferma che in effetti ha letto notizie del genere.

Bene, era lui. Ho un filo di rimpianto, naturalmente: incrociare uno dei più grandi musicisti degli ultimi vent’anni e non avere la prontezza di spirito, o il coraggio, di spiccicare nemmeno una parola, bloccato dall’incertezza che sia proprio lui e dall’incapacità di ‘cogliere l’attimo’. Tipico mio, comunque, nulla di cui meravigliarsi.

Il tipo in questione, comunque, era Thom Yorke dei Radiohead.

 

 

RITORNO DAL RE

Che io ricordi, il mio primo contatto con Stephen King avvenne in un’estate dell’85 (o ’86?) allorché in televisione mi imbattei nel trailer di “Brivido” (unica sua regia cinematografica, ben poco memorabile, tra l’altro); all’epoca, avrò avuto 11 o 12 anni e quelle immagini (il ponte stradale che si ribalta, causando un macello, il coltello elettrico che taglia il polso della cuoca nella tavola calda, la mitragliatrice che spara da sola) mi provocarono una scarica di adrenalina non indifferente: non tanto paura (che io ricordi, l’unico vero spavento da ragazzino me lo provocò il video di “Thriller” di Michael Jackson), quanto di sottile ‘esaltazione’: l’idea delle macchine che si ribellano all’uomo col senno di poi sembra piuttosto stupida (anche considerando come venne svolta in quel film), ma ad un ragazzino di 11 anni risulta un mix di divertimento… e di paura (ma si, ammettiamolo). In quel trailer vidi per la prima volta Stephen King: mi risultò un pò strano, un filo inquietante forse, con quel sorriso e lo sguardo un po’ strabico.
In precedenza, a dire il vero, ci fu il trailer di “Shining” (quello degli ascensori e del mare di sangue), ma all’epoca non sapevo chi fosse Kubrick e il collegamento con King era del tutto assente nella presentazione.

Un annetto dopo (non tanti, forse un paio), convinsi i miei a portarmi a vedere “L’occhio del gatto” (strano come i miei primi contatti con Stephen King siano legati alle sue trasposizioni cinematografiche meno riuscite): ricordo distintamente quella serata perché mia madre, già abbastanza irritata dal primo episodio (quello in cui un fumatore incallito ricorre ad una clinica che per togliere il vizio ai nicotinomani ricorre a metodi estremi, e si trova di fronte alla moglie che viene quasi ‘fritta’ su una sorta di griglia elettrica), di fronte al secondo (un marito cornuto costringe l’amante della moglie a percorrere il cornicione esterno di un grattacielo), decise che quel film non era adatto ad un ragazzino di 11 anni, costringendo mio padre e me ad alzarci e andarcene… ricordo che da parte mia ci fu una piazzata allucinante; la verità è che io non ero affatto spaventato da quelle scene: all’epoca avevo già visto cose ben più inquietanti nel cartone animato “Bem – Il mostro umano”…

Non mi dilungherò sulla storia dei miei rapporti con mia madre; vi basti che quello fu un esempio classico: mia madre all’epoca non riusciva a capire che un film del genere per me non risultava per nulla spaventoso; che a 11 anni o giù di lì ero già in grado di separare realtà e finzione e di assistere a certe storie senza venirne sconvolto; di come non solo mia madre non riusciva a capirlo, ma di come in fondo non si sforzasse nemmeno, capirlo (e il problema, col passare degli anni è rimasto quello: la sua incapacità di capire e la sua totale mancanza di volontà di farlo, pena ammettere di essersi sbagliata).

Il primo libro che ho comprato di Stephen King è stato la raccolta “A volte ritornano”; col passare del tempo, molti altri ne sono seguiti… La mia vita di lettore mi ha portato a percorrere in lungo e in largo la letteratura horror, quella fantascientifica, ma anche la narrativa tradizionale: ricordo l’emozione di leggere i racconti di Poe e quelli di Lovecraft, le storie di Clive Barker, i romanzi di Asimov; potrei parlarvi del mio periodo ‘De Carlo’, in cui divorai quasi tutti i suoi libri uno appresso all’altro; di come imparai ad apprezzare, e progressivamente a disiniteressarmi, di Welsh; della mia passione per Nick Hornby e del piacere con cui sfogliavo le pagine di Roddy Doyle o Alain De Bottom; o di quando scoprii Jonathan Coe; del progressivo accumularsi nella mia libreria dei romanzi di Benni, Pennac e della Yoshimoto; di come, leggendo certi libri di Richard Ford o i racconti di Alice Munro o di Carver, abbia capito come si scrive ‘ad un livello superiore’; dei miei periodici ritorni sui classici…
Potrei continuare ad elencare nomi, raccontarvi di tutto questo e tanto altro, dipingere il ritratto abbastanza fedele di un lettore ‘onnivoro’…
Ma Stephen King, è tutto un altro paio di maniche.

Con King è diverso: ci sono tanti libri di cui ho scordato anche la trama (e purtroppo in qualche caso questo è vero anche per il ‘Re’), ma di norma, quando mi trovo davanti un libro di Stephen King, lo riconnetto immediatamente a qualche momento della mia esistenza.

Guardo la copertina di “Cose Preziose” (nell’edizione dell’allora Euroclub, che ora credo non esista più) e ricordo di come rimasi estasiato dal meccanismo ad orologeria costruito in quel romanzo; i tanti suoi libri comprati usati in un chiosco di libri e fumetti in viale Marconi (tutt’oggi esistente); i libri comprati alla Feltrinelli di Largo Argentina, quando ancora non era grande come oggi, e in cui c’era un angolo, al secondo piano, tutto dedicato a King; i libri tascabili pubblicati nelle collane supereconomiche, da edicola, letti magari sulla Metro, andando all’Università; o, qualche anno fa, “Duma Key”, letto sull’autobus nel breve periodo in cui feci il volontario ai Mondiali di Nuoto qui a Roma; libri che evocano estati al mare, o inverni in casa…

Qualche giorno fa, dopo tanto tempo, ho comprato due libri di Stephen King: “Colorado Kid” (già finito di leggere) e “Joyland” (cominciato da qualche giorno), a cui è seguito “Dr. Sleep” (le cui pagine spiegazzate mi ricorderanno la lettura sulle panchine di Villa Pamphilj): e l’impressione è sempre la stessa: una sorta di ‘ritorno a casa’, un emozione che ti prende fin dalle prime righe, quando riconosci lo stile (anche se ‘filtrato’ dai traduttori, dallo ‘storico’ Dobner al più recente Arduino) e ti accorgi che in fondo poco è cambiato: è come quando torni in qualche posto che conosci bene; magari un negozio può avere chiuso e per arrivarci hai dovuto superare uno svincolo che prima non c’era, ma appena giungi lì, capisci che il posto è quello: immagini, odori, impressioni…

In questo i sensi non vengono colpiti ‘direttamente’, ma fin dalle prime righe le sensazioni che vengono evocate sono le stesse: il modo di descrivere climi, luoghi, personaggi, atmosfere… e si è sicuri che, nonostante non si sappia come va a finire (raramente con King le cose finiscono ‘bene’, le sue storie raramente si concludono con “…e vissero tutti felici e contenti”… spesso e volentieri bisogna accontentarsi del “… e vissero…” e nemmeno tutti), si verrà accompagnati in un mondo che si conosce bene. C’è un suo romanzo – non ricordo quale – che comincia con “Sei già stato qui”: in quel caso King si riferiva a Castle Rock, ambientazione di molti suoi romanzi a cavallo tra gli ’80 e i ’90; ecco: questo incipit è quello che potrebbe idealmente aprire ogni romanzo di Stephen King: “sei già stato qui”, stavolta non a Castle Rock, ma nell’universo letterario del “Re”.
Per quanti libri abbia potuto leggere, per quanti libri potrò mai leggere, dubito che aprendone uno di un qualsiasi autore proverò la stessa emozione che provo con un libro di Stephen King: per quanti universi letterari potrò mai girare, il ritorno dal Re è sempre un po’ come un ritorno a casa.

R.I.P. TALUS TAYLOR (1933 – 2015)

Non credo di sbagliare di molto, se dico che la mia prima lettura preferita da bambino furono i Barbapapà… la notizia della dipartita del loro creatore mi ha messo un filo di tristezza…

 

CI VUOLE UN’ALTRA VITA…

…cantava Battiato. Bene, non sto: la solita sensazione di volere dei cambiamenti senza avere la forza di portarli avanti fino in fondo, perché questi includerebbero delle rinunce e stare attaccati allo scoglio è sempre la strada più facile, anche se poi magari lo scoglio si sta sgretolando.

A giugno ho girato la boa dei 40, portandomi appresso il solido fardello di insoddisfazioni… se si pensa troppo, del resto, ansia e paranoia trovano le porte spalancate. Mi guardo intorno, mi guardo indietro e cosa trovo? Un presente e un avvenire in cui io c’entro poco: una serie di decisioni sbagliate prese in ambito di studio e professionale, dei fallimenti sentimentali non parliamone proprio.

Mi guardo intorno, e concludo che se trai venti e i quaranta ci si costruisce un avvenire, io non ho costruito proprio un bel niente, a parte pile di fumetti, cd e libri di fronte ai quali spesso mi chiedo cosa contengano; bel modo di usare il tempo.
In questi anni mi sono saputo costruire solo una routine che molti altri riterrebbero allucinante: in pratica da venti-quarantenne ho vissuto una vita da pensionato. Internet non ha aiutato: al netto dei recenti problemi tecnici che mi hanno portato a rinunciare all’ADSL, a monte c’è probabilmente la necessità di darci un taglio: tre ore e passa al giorno passate a bighellonare più o meno senza meta per la rete mi sembrano un enorme spreco di tempo.

Vince la voglia di uscire di casa, fosse anche solo per girare senza meta nelle strade semideserte del quartiere; fosse anche solo per camminare senza meta, è sempre comunque meglio che stare dentro casa, davanti allo schermo di un computer o circondato dalle pile di materiale di cui sopra, che ormai hanno assunto un peso opprimente, quasi anche fisico (letteralmente, lo spazio comincia a mancate); mi accorgo che sto veramente bene solo quando sto fuori di casa, se solo o in compagnia, con una meta (mostre o cinema) o senza, se accennando un po’ di corsa (la fantasia con ‘sto clima, manca) o solo per starmene immobile come una lucertola al sole di Villa Pamphilj.

Mi rendo conto dei troppi legami autoinflitti, della routine disarmante, di troppe abitudini, di troppi eventi fissi: il giro del sabato fino al negozio di fumetti, la partita domenicale a casa di amici… certo non dico di ambire alla vita dell’homeless, ma vorrei, forse, un’esistenza che mi desse ogni giorno l’imprevedibilità dell’incontro casuale, anche sentimentale e – perché no – sessuale; di certo tutto questo non è possibile a priori restando dentro casa a leggere, guardare, ascoltare.

Per cui, in questi giorni, esco; non appena possibile; soprattutto non appena emerge un accenno di noia, anticamera della paranoia… tutto pur di non stare dentro casa e, guardandomi intorno, assistere a quello che finora è stato sostanzialmente un fallimento esistenziale. Esco senza meta, e magari non incontro nessuno; esco per stare in mezzo alla gente, con la speranza che magari un giorno o l’altro un scambio sfuggente di sguardi con una donna faccia schiudere un portone sentimentale che da tanto tempo ho sprangato chiudendo la chiave in un cassetto… fantasie da liceale? Probabilmente: in fondo, non sono mai cresciuto… mi sembra di essermi fermato da qualche parte qualche decennio fa: di certo non mi sento un quarantenne; io non ce li ho quarant’anni, non li voglio avere. Nella mia condizione, avere quarant’anni, fa schifo. Recentemente mi è capitato di fare quegli stupidi test sull’età mentale su Facebook, non varranno niente, ma il fatto che una volta il risultato è stato ’21’ e la successiva ’16’ non mi ha manco meravigliato: sono decisamente fuori dal tempo; sicuramente, fuori dalla mia età anagrafica.

Il mio programma è stare fuori di casa il più possibile, soprattutto stare all’aperto, o in posti possibilmente affollati: ho bisogno di stare in mezzo alla gente, di vedere gente, di uscire; non importa se avere o meno un posto dove andare, o avere qualcosa da fare; ho bisogno di uscire.

SCARSA VENA, POCA ISPIRAZIONE

La mia scarsa frequentazione del blog prosegue… è un periodo in cui, a dirla tutta, non ho molta voglia di scrivere: forse di argomenti ne avrei pure, ma manca proprio la voglia di scrivere.

In parte, certo, dipende dalle mie attuali limitazioni nell’uso di Internet: mollata l’ADSL, mi appoggio alla connessione mobile dei miei, che però ha dei limiti di tempo, per cui una volta esaurite le necessità lavorative, di tempo da dedicare ad altro non ne resta molto… in realtà per certi versi mi sembra di essere tornato a quando non avevo l’ADSL e mi connettevo ad Internet con la ‘pressione’ dei tempi e della spesa telefonica…

Tuttavia, non posso fare a meno di notare che poi alla fine anche così Internet non mi manca: non voglio fare lo snob, sottolineo: lungi da me dire che Internet non serva, ma almeno nel mio caso, notare come alla fine un buon 80 per cento del tempo trascorso nella Rete si riducesse ad attività derubricabili nella categoria ‘fuffa’, è la constatazione di un dato di fatto.

Sebbene con dimensioni molto più ampie, alla fine Internet segue lo stesso schema di tante rivoluzioni tecnologiche degli ultimi trenta – quarant’anni, ovvero: l’uso aumenta con la disponibilità. Pensate ad altri apparecchi:  è con l’avvento del telecomando, per esempio, che si è cominciata a sentire la necessità dello ‘zapping’, del cambiare canale ogni due per tre; l’arrivo del videoregistratore creò la ‘necessità’ di registrare la qualsiasi e accumulare videocassette; il cellulare ha creato il bisogno di comunicare sempre e comunque… con Internet è stata la stessa cosa: non ci troviamo, insomma, di fronte ad uno strumento che risponde ad una necessità precedente; ci troviamo invece di fronte ad un qualcosa che, per così dire, autogenera il bisogno di essere utilizzato.

Avere Internet a disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro, insomma, accresce il bisogno di utilizzarla, ed è chiaro che la maggior parte del suo uso non risponde a reali necessità, ma a fuffa: è più o meno lo stesso principio su cui funzionano i ‘social network’, e se vogliamo anche gli stessi blog: avere a disposizione un qualcosa su cui raccontarsi o raccontare, accresce automaticamente il bisogno di raccontarsi, di dire la propria su tutto, o di aggiornare sempre l’universo mondo su ciò che si sta facendo in un dato momento.

Per certi versi sto parlando della scoperta dell’acqua calda, mi rendo conto, ma sono considerazioni rispetto alle quali un ‘comune’ utente Internet si trova di fronte solo in dati momenti. La soddisfazione, nel mio caso, nasce dall’aver assodato, in questa situazione, la mia capacità di adattamento: rinunciare all’ADSL non ha portato, ad esempio, alla parossistica ricerca di un sostituto immediato, per continuare a stare su Internet come prima; più semplicemente, almeno per il momento, mi sono adeguato a ciò che avevo a disposizione sul momento: non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andare subito alla ricerca di uno smartphone, di un portatile o di una semplice chiavetta Internet per poter continuare a navigare autonomamente; lungi da me rivolgermi ad un altro operatore per ricominciare da capo la trafila.

La mia necessità di utilizzo di Internet si è scontrata con la mia ritrosia ai ‘problemi’: per me la tecnologia deve essere uno strumento che mi dià un’utilità, non che mi crei pensieri e problemi… di mio sono già una persona abbastanza ansiosa, sinceramente la prospettiva di trovarmi di fronte a dei problemi da risolvere pur di navigare su Internet mi repelle, non mi appartiene proprio, la scanso come la peste e mi adeguo a ciò che ho a disposizione… il che non vuol dire che tutto ciò proseguirà in eterno, prima o poi tornerà a farsi sentire la necessità di avere una connessione ‘autonoma’, ma per il momento la repulsione dell’idea di dover affrontare trafile e probabili problemi tecnici (è risaputo che ogni volta che si compra un nuovo apparecchio, prima di poterlo utilizzare c’è sempre un qualche problema da risolvere) è più forte del bisogno di potermi connettere come e quando mi pare, specie considerando tra l’altro che alla fine la stragrande maggioranza del tempo passato su Internet si risolverebbe in attività decisamente futili.

E quindi, niente, si continua così, almeno finché non tornerà la voglia: in fondo ogni tanto, questi momenti fanno pure bene; si torna a rimettere tutto in un’ottica diversa, nel mio caso forse a riportare tutto a dimensioni più congrue.

PAUSA FORZATA

A chi mi segue abitualmente non credo sia sfuggita la  mia assenza, non abituale.

Il motivo è semplice: da due domeniche sono praticamente senza ADSL; non sto qui a dilungarmi, basti sapere che l’azienda che mi offre il servizio non riesce a darmi una motivazione, né è stato possibile parlare con un tecnico per avere un qualsiasi tipo di chiarimento in merito; risultato: dieci e giorni e passa senza nulla sapere, contattando di tanto in tanto il call center per avere chiarimenti, che loro non sono in  grado di fornire: evidentemente, ci sono delle inefficienze di comunicazioni, trai tecnici e il call center di primo contatto, oltre a non essere previsto – almeno in questo caso – un contatto diretto con l’utente.

Morale della favola: sono costretto a ricorrere al portatile dei miei, una soluzione – tampone che ovviamente mi costringe a ridurre l’attività internettara al minimo necessario per il lavoro e poco altro; di certo, niente tempo per il blog e cinque – dieci minuti al giorno per FB, tanto per ordinaria manutenzione.

Sinceramente, ne ho le scatole piene: non è una questione di ‘dipendenza’ (ringraziando il cielo, non è un dramma ridurre il tempo trascorso sulla Rete); mi dà fastidio il non avere notizie, il ‘restare appeso’, senza sapere che fare: potrebbero benissimo fare in modo che al momento dell’intervento, il tecnico contatti direttamente l’utente… La tentazione a questo punto è di disdire tutto, farla finita con l’ADSL e passare ad altro… cosa, ancora non saprei….

LUDOPATIA, PORTAMI VIA…

…OVVERO: DEL COME, QUANTO E PERCHE’ GIOCO (E PERDO)

Mi rendo conto che tutto ciò può essere archiviato alla voce ‘pippe mentali’, tuttavia alla fine queste pagine servono anche come ‘sfogatoio’, ai lettori abituali dico e non : nessuno vi obbliga a leggere da cima a fondo le mie elucubrazioni, se non vi va, passate oltre.
L’UMORE ONDEGGIA, GLI ALTRI VINCONO E TU PERDI

La cosa peggiore del gioco è che ti cambia l’umore: o meglio, il tuo umore comincia a dipendere strettamente dai successi – rari – o dagli insuccessi (molto più frequenti): perdi? La tua vita fa schifo e sei un fallito. Vinci? Il mondo è luminoso e una speranza c’è; e questo credo a prescindere dall’ammontare della vincita o della perdita. A mia ‘discolpa’, come ho scritto precedentemente, c’è l’essermi posto dei paletti, lo stabilire dei ‘firewall’ che mi consentano di non ‘tracimare’… vado in sala scommesse e ne vedo tante. Questo forse è il lato più ‘simpatico’ della situazione, ti accorgi che in fondo non sei quello messo peggio, che a fronte del tuo euro di media buttato via ogni giorno, c’è gente che spende dieci volte tanto… a volte però è difficile stabilire una relazione; anzi, per quegli strani processi mentali che si attivano, ti sembra che gli altri vincano sempre e che tu sia l’unico a rimetterci… poi in realtà pensi: si però, se io vinco un euro ogni cinque che ne spendo, c’è gente che ne vince 20, si, ma ogni 100. Però alla fine è difficile, pensare così razionalmente, c’è sempre qualcosa che ti porta a pensare che gli altri vincono e tu perdi.
DELLA RICERCA DI UN ‘SISTEMA’…

Spesso si è portati a pensare (almeno io, lo sono), che è una questione di ‘resistenza’, che dai e dai poi vinci… Il problema è che bisogna quanto tempo passa (e quanti soldi scommetti) prima di vincere: prendiamo per esempio che una persona scommetta costantemente su un evento dato a ‘3’: giochi un euro la prima volta, ti va male, giochi la seconda, ti va male, giochi la terza e vinci: in questo caso, ha giocato 3 euro e 3 te ne sono entrati. Il problema nasce dal fatto che la ‘quota’ non rispecchia le probabilità ‘reali’: è difficile, insomma, che un evento dato a ‘3’ si verifichi il 33% delle volte. Questo vuol dire che alla quarta volta, si dovranno ‘investire’ 2 euro per ottenerne 6 e andare sopra di uno, e ala quinta bisognerà investirne 3 per incassarne 8 e andare in totale sopra sempre di uno… ma giunti alla quinta volta, per ottenere un ‘profitto’ di ‘1’ si sono già ‘investiti’ 8 euro e non è detto che la vittoria arrivi:  man mano che si va avanti bisognerà ‘investire’ sempre più soldi anche solo per restare ‘in pari’…

 

…E DELLA SUA MANCATA APPLICAZIONE

Il problema dell’insistenza o se volete della ‘resistenza’ è questo: prima o poi si vince, ma bisogna vedere quanto si sia disposti a perdere prima. Il mio problema fondamentalmente è che mi stufo presto, o meglio non riesco ad adottare una logica coerente: ieri per dirne una, ho perso quattro euro, ma se avessi adottato la logica dello ‘scommetti sempre sulla stessa tipologia di risultato’, probabilmente sarei venuto via con 3 euro in più… Perché questo succede? Perché a un certo punto, salta la ‘logica’, perché stando lì uno viene attratto da ‘altro’ e sviato dal suo ‘percorso’… poi arriva il momento in cui ti appare il tipo di scommessa su cui ti sei dato come principio di puntare, ma la quota ti sembra troppo alta, rinunci e alla fine quella scommessa ti sarebbe risultata vincente.
PERDERE E’ ‘UMANO’

Il problema di fondo è che le quote degli eventi sportivi – anche quelle delle simulazioni virtuali di gare di auto o di partite di calci o – come quelle dove scommetto io, sono fissate da sistemi computerizzati; l’uomo non è un computer, è sempre vittima delle emozioni (io in particolare sono un tipo abbastanza emotivo) e prima o poi ‘toppa’ perché permette alle emozioni di superare la ‘razionalità’.  Spesso, mi ritrovo a pensare che – paradossalmente – perdo perché a un certo punto subentra il ‘freno’, l’incapacità di rischiare oltre, la paura di perdere, il fatto che no, nonostante il principio dello ‘scommetti sempre sullo stesso oggetto’, stavolta è meglio evitare… e a quel punto puntualmente se avessi scommesso avrei vinto… o almeno questa è la mia impressione, potrebbe anche essere una percezione distorta.

 

QUANTO GIOCO E QUANTO PERDO

Scommetto, mediamente, tra 1 e 3 euro al giorno; attualmente le mie perdite del 2014 ammontano a oltre 80 euro, quindi siamo a un po’ più di un euro al giorno… guardando alle medie degli scorsi due anni, in cui ho scommesso molto di meno, facendo due conti mi pare che la mia perdita netta resti abbastanza costante, attorno al 30 – 40 per cento dei soldi scommessi… chiaramente il discorso però si fa più complicato perché se si parla di ‘valore’ assoluto, allora i numeri sono diversi… se non avessi mai scommesso da inizio anno, oggi avrei 80 euro in più, che non cambiano la vita, ma nel mio caso avrebbero significato, per esempio qualche film in più al cinema.
SCOMMETTO PERCHE’ NON HO NIENT’ALTRO DA FARE?

Se quindi dovessi accettare il principio dello ‘scommetto per rimpinguare le casse’, dovrei accettare il fatto che l’obbiettivo è fallito: l’obbiettivo sarebbe stato raggiunto se fossi stato un computer e avessi sempre scommesso adottando lo stesso principio (anche se manco è detto): ma visto che sono un essere umano, ‘deviare’ dal percorso è un rischio e un avvenimento frequente… allora, perché scommetto? Forse, perché non ho altro? Sono sempre riuscito a limitare il mio scommettere perché alla fine ‘i soldi mi servono anche per altro’: tuttavia questo ‘altro’, col tempo è andato riducendosi… una volta le mie voci di spesa ‘voluttuaria’ includevano fumetti, cd, libri, cinema, mostre, dvd, riviste musicali, la piscina, la tessera del digitale terrestre a pagamento… Poi, per un motivo o per l’altro tutto si è ridotto, progressivamente: problemi di costo, spazio, reperibilità e ‘utilità’ hanno portato progressivamente a eliminare dalla lista la tv a pagamento, i dvd, le riviste musicali; una certa ‘stanchezza’, e ‘noia’, oltre che alle tasse di Monti mi hanno fatto eliminare dall’elenco la piscina; obbiettivi problemi di spazio hanno condotto all’eliminazione della voce ‘cd’: peraltro quando ne hai migliaia, che col tempo si smagnetizzeranno senza che tu abbia avuto il tempo nemmeno di riascoltarli, ti chiedi dove sia l’utilità… lo stesso vale per i libri: mi ritrovo con centinaia di volumi, della stragrande maggioranza dei quali ho solo vaghi ricordi: alla fine ti chiedi: “ma a che serve?”; a resistere sono i fumetti (ma qui il discorso è analogo a quello dei libri: quanto passerà prima che tutto questo ‘accumulo’ mi venga a noia?) il cinema (anche se non è che ultimamente siano usciti ‘sti capolavori), le mostre (fortunatamente sotto quel profilo a Roma il 2014 è un anno formidabile) e qualche cena con gli amici… cose alle quali non riesco a rinunciare e che hanno la precedenza sulle scommesse, che tuttavia col tempo, proprio con questo progressivo ‘spegnimento’ di altre passioni, stanno acquisendo un peso maggiore. Questo mi consola, in fondo: a differenza dei ‘ludopatici veri’, non rinuncio ad ‘altro’ per scommettere; piuttosto, le scommesse sono ‘frenate’ dal dover spendere in altro… tuttavia, ribadisco, la noia fa la sua parte; probabilmente, dopo vent’anni e passa di accumulo compulsivo di fumetti, cd e libri (dovuto suppongo, alla necessità i riempire ‘vuoti’ di altro genere), uno si stufa e, più o meno  inconsciamente, cerca altro…
SCOMMETTO PERCHE’ NON HO NIENT’ALTRO IN CUI SPERARE?

Io forse questo ‘altro’ l’ho trovato nelle scommesse, anche se faccio fatica a capire perché, nonostante tutte le inca**ture che prendo, continuo ad insistere, a ‘cercare un modo per vincere’, nella speranza, probabilmente, che questo riesca a colmare in qualche modo le mie frustrazioni lavorative, l’impressione, pesante, di essere un peso morto, privo di qualità ‘spendibili’ nel mercato del lavoro, a rimorchio, come ho scritto in altri post, di quanto realizzato da altri… In fondo, mi chiedo, se anche trovassi il modo di ‘guadagnare’ con le scommesse, come userei quei soldi? E la risposta che puntualmente arriva è che probabilmente li userei per essere meno ‘dipendente’ dagli altri… mi rendo conto benissimo che questa è la ricerca di una ‘scorciatoia’ e che le scorciatoie portano spesso a ‘perdersi’, ma il problema è che sono sfiduciato, apatico, in una certa misura indolente e refrattario al volermi assumere delle ‘sfide’… e allora è più facile scendere le scale, fare cinquanta metri ed andare a tentare la ‘fortuna’, dandomi delle ‘regole’ il cui funzionamento non sono mai riuscito a testare fino in fondo, frenato dalla paura di perdere (o di vincere?) o dalla tendenza a deviare dal percorso prefissato.

Come cantava Conte, “è tutto un complesso di cose”…

DOMANDA: SONO UN LUDOPATICO?

Facciamo il punto della situazione, usando Wikipedia (che vale finché vale) e procedendo all’autoanalisi, (che vale quel che vale).

Il giocatore è diagnosticato affetto dal gioco d’azzardo patologico se presenta almeno cinque dei sintomi che seguono:

1) È assorbito dal gioco, per esempio è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare modi per procurarsi denaro per giocare: la prima abbastanza, la seconda abbastanza, la terza direi di no.

2) Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato. Decisamente, no: semmai gioco per avere soldi da spendere in altro.

3) Tenta di ridurre, controllare o interrompere il gioco d’azzardo, ma senza successo; ‘ni’: diciamo che ci sono momenti in cui mi rompo le scatole e non gioco per diverso tempo, in genere capita nei mesi estivi.

4) È irrequieto e irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo: ‘ni’, nel senso nel senso che sono irrequieto e irritabile quando perdo; finora non mi è mai capitato di essere inca**ato per non aver giocato, anzi è capitato che non giocando mi sono detto: bene, oggi non ho buttato via i soldi.

5) Gioca d’azzardo per sfuggire problemi o per alleviare un umore disforico, per esempio, sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione; non saprei, dovrei pensarci… in buona parte, gioco con l’obbiettivo di aumentare le mie entrate, quindi potrei affermare che almeno in parte gioco per compensare i miei fallimenti sul fronte lavorativo.

6) Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora, rincorrendo le proprie perdite: questo direi di si.

7) Mente alla propria famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del coinvolgimento nel gioco d’azzardo. Questo, direi di proprio di no.

8) Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo. ODDIO NO!!!

9) Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo. NO. Anche perché di opportunità del genere non me ne capitano a priori.

10) Fa affidamento sugli altri per reperire denaro per alleviare la situazione economica difficile causata dal gioco, “operazione di salvataggio”. NO, le mie perdite al gioco al momento non mi hanno causato alcuna difficoltà economica.

Detto questo, abbiamo:

Si: 1. Si, in parte: 4. No: 5. Quindi boh, direi che in una scala da 1 a 10 dovrei essere tra il 5 e il 6. Situazione non grave, ma forse è bene darsi una regolata.

Detto questo, sottolineo che nel mio giocare mi sono dato un paio di regole, che finora sono riuscito a rispettare:

1) Giocare solo soldi spicci (ovvero: non cambiare soldi per giocare)

2) Mettere da parte 1 Euro per ogni euro perso (il che mi mette in parte al riparo sul piano economico)

Ho chiuso il 2012 sotto di circa 60 euro, il 2013 sotto di circa 50; il problema è che finora nel 2014 sono già sotto di un’ottantina di euro… quindi mi sa che dovrei darmi una regolata….

DI CHE TI LAMENTI?

Già: di che mi lamento? E’ una domanda che potrebbero farmi in parecchi, specie di questi tempi: un tetto sulla testa, tre pasti al giorno, la salute, una certa tranquillità economica? E allora? E allora il punto è che nulla di tutto questo è merito mio; è stato tutto ‘creato da altri’… fosse per me, per le mie scelte e per i brillanti risultati raggiunti, oggi sarei per strada a chiedere la carità, altro che blog, recensioni, film, mostre e via dicendo. E’ questo che non mi soddisfa: non poter dire “questo l’ho ottenuto grazie a me”. Certo, posso dire di avere degli amici, una cerchia ristretta di ‘pochi ma buoni’, di quelli con cui si è cresciuti insieme e di quelli acquisiti lungo la strada; una più ampia di persone coi quali fortunatamente si è in contatto grazie alle nuove tecnologie, ma coi quali forse altrimenti ci si sarebbe rapidamente persi o ci si tornerebbe a perdere (è uno dei motivi che mi hanno spinto qualche giorno fa a restare su Facebook, dopo essere arrivato a un passo dal chiudere tutto, ma questa è un’altra storia). Potrei ‘darmi da fare’ per recuperare la situazione, ma la sensazione è di non sapere come uscirne: cosa so fare? Scrivere. Si mangia oggi con lo scrivere? No, a parte un ristretto numero di casi… Cos’altro sai fare? Nulla.  Scorro gli annunci economici… la stragrande maggioranza delle offerte di lavoro richiede competenze informatiche avanzate, di cui sono privo, o la ‘faccia come il c**o’ per saper vendere (si tratti di case, assicurazioni o servizi attraverso il telefono) di cui sono parimenti privo.  Il lavoro manuale? Boh, che è? Non no né il fisico, né le competenze: l’altro giorno volevo sistemare la perdita di un termosifone, alla fine la situazione era peggiorata. Non vedo uno straccio di prospettiva. A mia discolpa posso dire di non aver mai ‘tirato la corda’: non ho mai chiesto nulla più di quanto mi è stato dato, ma può bastare, giunto alla soglia dei 40? Decisamente, no? Che mi resta? Il nulla. Una vita che si trascinerà avanti come si trascina adesso, i soliti ritmi, le solite cose, le solite passioni effimere… migliaia di letture e ascolti che alla fine a cosa mi hanno portato? A scrivere su un blog per esacerbare la mia insoddisfazione e il rimpianto di non aver piantato gli studi dopo la III Media o il Liceo per andare a lavorare… Invece no, bisogna studiare, costruirsi delle aspettative e delle speranze per vederle sfumate a fronte di un avvenire indistinto che sembra incasellato su binari predeterminati: così a 40 anni, così a 60, così a 80… tutti i giorni uguali, con l’aggiunta del decadimento fisico. Queste sono le grandi prospettive che mi sono costruito. Ma in fondo, di che mi lamento?