Nato dalla proposta di curare il commento musicale di uno spettacolo dal vivo e poi tramutato in un disco, e in un podcast, che quello spettacolo in parte riprende, entrambi usciti per Stellare (‘fabbrica sonora’ nata su iniziativa di Ale Bavo, FiloQ e Raffaele Rebaudengo), questo progetto proprio mentre Samuel ha deciso di trasferirsi a Venezia, dove il ‘Prete Rosso’ è nato e vissuto.
Otto le composizioni, in cui la componente vocale, affidata alla soprano Claudia Graziadei (che ha anche partecipato allo spettacolo originale) si staglia sulle partiture vivaldiane che, Samuel veste di volta in volta di drum’n’bass, jungle, sonorità da dancefloor.
L’incontro tra pop (largamente inteso) e classica ha prodotto da sempre risultati alterni, dalla magniloquenza di Emerson, Lake & Palmer al kitsch del Pavarotti and Friends.
Una fusione mai facile e che nel caso di “La Cena del Tempo” avviene forse un po’ ‘a freddo’, come se i ‘vestiti’ moderni fatti indossare a Vivaldi risultassero sempre troppo larghi o troppo stretti, anche se alcuni passaggi mostrano sprazzi d’interesse, rievocando alla lontana il lavoro di Wendy Carlos su Beethoven per “Arancia Meccanica”.
Un progetto che insomma forse resta un po’ lì, avendo probabilmente esaurito buona parte della propria funzione proprio nello spettacolo per cui è stato originariamente realizzato.
Può comunque rappresentare un motivo di curiosità per gli amanti di entrambi i mondi sonori.
Frank Past (Francesco Pastore) con la partecipazione di Listanera (Daniele Bomboi) propone un omaggio alla Capitale all’insegna di un pop con aspirazioni cantautorali; un po’ Marco Comodi per la voce roca, un po’ gli Stadio per certe soluzioni sonore.
Sì conclude qui un percorso in cinque tappe, raccolte sotto il nome di ‘Ciclo degli Incubi’, cominciato nel 2021; Pietro Ceppi, in arte Pecci, suggerisce l’idea di abbracciare ogni tanto i propri incubi, perché a volte posso nascondere sorprese inaspettate e nuovo modo di guardare a sé stessi e al futuro.
A cavallo tra ‘urban’ e trap, con un autotune che come spesso accade, sembra privare di personalità la voce, Pecci offre un pezzo che si fa almeno gradire per il ritmo compassato e le sonorità ‘sospese’.
Eliseo
Mille Litigi
Volturno
L’umore è assai scazzato, e l’impressione è che veramente il casertano Eliseo abbia buttato giù il suo nuovo brano dopo aver litigato con la ‘lei’ di turno, con tanto di frasi circostanza sull’essersi ‘rotto’ e il non essere capito.
Un tappeto sintetico ai limiti dell’evanescenza, appare un brano che vive sulla scorta di un momento, nel quale alla comprensibile immediatezza di un’emozione non è seguito quel tanto di riflessione necessaria a dargli corpo, prova ne sia la durata di appena due minuti.
La giovane Ninfea, alias Asia Strangis da Lamezia Terme, torna con un delicato pezzo dedicato alle paure e le incertezze che caratterizzano un momento difficile: si aspetta la ‘Fine dell’Inverno’, sperando che le cose migliorino e di trovare dentro di sé la forza di andare avanti.
Quasi un pezzo ‘a capella’, la voce, con qualche tratto fanciullesco, flebilmente sostenuta da un tappeto elettronico.
Il sentimento c’è, e in buona parte raggiunge l’ascoltatore.
Come il titolo suggerisce, la presa d’atto dell’impossibilità di una relazione, con recriminazioni, ma anche con l’atteggiamento liberatorio di chi si è tolto un peso.
Nicolas Neri da Ravenna, alias PlatoNico, propone i concetti con un synth pop dall’inclinazione dance dalla facile presa.
Un arrangiamento volto al rock più commerciale, con ‘chitarroni’ a iosa, fa da contorno a una classica dedica sentimentale, che il marchigiano Aziz Gazzella, in arte Jamie, indirizza alla ‘lei’ che ha sempre in testa e non vorrebbe che ne uscisse.
Un pop diretto per nelle parole e ammiccante quanto basta nei suoni, peccato solo l’insistito uso dell’autotune.
Claudio Rigo
Luce
Piano e voce per descrivere una relazione e i suoi effetti sul quotidiano, campionario di ciò che si ha e che altrimenti sarebbe mancato.
Nuovo episodio del cammino di Claudio Rigo, imprenditore che non ha rinunciato alle proprie aspirazioni artistiche.
Una riflessione sul proprio stare al mondo, affrontando i propri ‘mostri’ per come si può.
La propone Alessandro Sciannimanico, barese trapiantato a Roma, che in questo nuovo brano, prodotto da Molla, mostra l’influenza – positiva – di certo cantautorato capitolino (leggi: Nicolò Fabi).
Inquietudini, insicurezze, gli errori del passato da cancellare: il nuovo brano di Andrea Guerra, alias Seta è un hip hop compassato, vecchio stile, un ritmo dilatato in cui a un fluire di parole senza frenesia, si accompagna una chitarra elettrica che dà il proprio contributo emotivo al pezzo.
Tre EP e la colonna sonora di un videogioco all’attivo, Lorenzo Ciffo propone una nuova breve composizione: domina il piano col contorno di archi e qualche vocalizzo.
Sì respira un’atmosfera vagamente fantasy, genere di riferimento del compositore lombardo, ma il tutto forse è troppo breve e non ha nemmeno il tempo di decollare, restando nei binari del già sentito.
Compiendo un percorso inverso rispetto a tanti altri, ‘SciaronC’ passa dal management discografico a imbracciare il microfono in un inno alla propria affermazione.
Un inno alla propria affermazione, in cui pop e dance vanno a braccetto, diventando intercambiabili. con la produzione di Dany DeSantis: lei diventa il ‘boss’ della situazione: soldi, belle auto e marchi di lusso possono essere status symbol anche al femminile, senza rinunciare alla propria femminilità.
Certo, è un’immagine di ‘potere al femminile’ su cui qualcuno potrà avere da ridire ma forse la ‘parità’ passa anche attraverso l’ostentazione del benessere.
Beh, il titolo dice tutto: l’abbiamo fatta fuori dal vaso e adesso sono cavoli nostri… Davide Fasulo, originario di Brindisi, ma da anni a Bologna, dove ha costruito una carriera a cavallo tra musica e teatro, torna con un pezzo all’insegna di un’elettronica tagliente e velatamente oscura, ma dai toni irridenti, accompagnato nell’interpretazione da Enrica Penna e dal rapper Fausto Dee.
Testacoda come perdita di controllo: temuta, allo stesso tempo cercata, nel fluire di notti passate nei locali, a cercare di dimenticare le tribolazioni del quotidiano e le incognite del futuro.
Lasciarsi andare per non pensare, andando magari a cercare le piccole / grandi ‘meraviglie’ che il quotidiano offre per avere un briciolo di serenità.
Il secondo lavoro di Liede è un lavoro pieno di incognite; dal precedente lavoro del musicista torinese sono passati sette anni, di acqua sotto i ponti ne è passata, di mezzo c’è stato pure tutto quello che sappiamo e allora forse il modo di guardare al futuro cambia: le prospettive sono nebulose, forse è meglio cercare il ‘qui ed ora’, magari mantenendo un filo di speranza, affidata ai sentimenti.
Nove brani intrisi di malinconia e disincanto, che si snodano all’insegna di un’elettronica variegata, che guarda a tante esperienze del passato: drum ‘n’ bass, house, le derivazioni pop dei Subsonica (Samuel non a caso ospite in uno dei pezzi), che si mescola alla vena cantautorale di chi, oltre che fare muovere, vuole raccontare un pezzo di sé stesso.
Prodotto da Ale Bavo, nel segno di una confermata e rinnovata collaborazione, “Testacoda” offre uno sguardo sui trentenni di oggi (o almeno, parti di loro), divisi tra rassegnazione e speranza davanti a una realtà in cui i punti di riferimento sembrano venire meno.
Una dolente e avvolgente ballata ‘indie’, come non se ne sentono più, e specifico: ‘indie’ nel senso tradizionale del termine, non quello che s’intende da qualche anno a questa parte.
Un filo di voce imbastito su una tessitura chitarristica caracollante e un filo abrasiva, sullo sfondo di una vicenda sentimentale in cui si fanno largo difficoltà di comunicazione.
Il nuovo pezzo del capitolino Raffaele Quarta, che anticipa il secondo lavoro lungo di prossima uscita ci catapulta nella felice stagione a cavallo tra i ’90 e gli ’00, donandoci un brano che suona retrò senza apparire superato.
È un pezzo che sembra uscito dal repertorio di qualche folk singer degli anni ’70 il brano di Laplastique che anticipa il suo primo EP di prossima uscita.
La cantante marchigiana (all’anagrafe, Laura Gismondi) trapiantata a Bologna, ha scritto il pezzo in piena ‘clausura’, nell’Estate 2020 e titolo e atmosfera danno corpo a quwsto affastellarsi di pensieri.
Chitarra e voce, archi ad arricchire l’ensemble, per un’interpretazione un filo troppo controllata, come se ci fosse il timore di incorrere in qualche sbavatura a lasciarsi andare troppo.
‘563’ sono i chilometri che separano Milano da Roma, protagonisti di una storia in cui lui ha approfittato della distanza per non essere del tutto sincero…
Sara J Jones torna con un brano che si intuisce autobiografico, all’insegna di un’interpretazione intensa accompagnata da suoni essenziali.
Estratto dal primo EP, “Common Days”, del trio capitolino, questo pezzo è a cavallo tra REM e grunge, il gusto per un certo rock ‘alternativo’ e qualche chitarra sferragliante del secondo.
Manca forse di un po’ di ‘decisione’ in più, restando lì in attesa di decollare, ma è comunque un piacevole ascolto.
Il giovane dj e producer romano Matteo Cacciotti, alia Arkell, torna con questo lavoro dalle suggestioni siderali, all’insegna di un’elettronica non necessariamente limitata al dancefloor.
Un pugno di singoli all’attivo per una carriera che sta ottenendo un discreto riscontro social, Gabriel Zanaga torna con un brano dedicato a della tipiche traversie sentimentali, ricorrendo a un pop semiacustico con qualche filtro vocale.
Singolo d’esordio per questo duo, pugliese di Bitonto; sentimenti a palate in questa dedica dominata da toni suadenti e allusioni sessuali nemmeno troppo sottintese.
Un mix di pop, soul e r’n’b, con inserto di chitarra elettrica buttato un po’ lì per dare una vena emotiva in più a un pezzo che scorre via senza sussulti.
Il nuovo singolo del partenopeo Stefano Crispino, alias STRE, è il classico brano da ‘relazione finita’, ma il tema è svolto ricorrendo a un pop a là Max Pezzali, corredato di un groove che porta a battere il piede su e giù, e di qualche vaga reminiscenza dell’AOR americano anni ’80.
L’esito non fa certo urlare al miracolo, ma la scelta di toni accesi al posto del solito mood abbattuto o mezzo inca**ato si fa piacere.
Secondo ‘disco lungo’ per Umberto Ti., che giunge a un paio di anni di distanza dall’EP “Non credo basterà).
La formula continua a essere quella di un cantautorato figlio di Dylan e De Gregori sostenuto da sonorità che strizzano l’occhio a cavallo tra rock e folk, con qualche rimando ai Velvet Undergroun e qualche allusione new wave.
Nove tracce all’insegna di storie personali e non, con uno sguardo costante, ora più scoperto, ora meno evidente, al mondo circostante e alle sue incertezze.
Un ensemble sonoro ‘tradizionale’, arricchito occasionalmente da un violino e più spesso da fiati (con esiti vagamente springsteeniani), per un lavoro che si lascia ascoltare.
Un percorso già avviato, la vittoria ad Area Sanremo nel 2021, la partecipazione a X Factor lo stesso anno, un primo lavoro sulla lunga distanza pubblicato in precedenza, Etta (al secolo Maria Antonietta di Marco) torna con cinque tracce all’insegna di una svolta rock – pop che non disdegna di flirtare con sonorità hard.
Qua e là riemergono tracce dell’hip hop che ha caratterizzato il precedente vissuto sonoro dell’artista, che associate a certe chitarre arrembanti possono ricordare per certi aspetti il nu-metal, mentre basso, batteria e talvolta una drum machine costruiscono un insieme sonoro di grande impatto.
Spicca, ovviamente, l’interpretazione di Etta, all’insegna di un’aggressività a tratti irridente, che si smussa solo nell’unica ballata presente (peraltro anch’essa pronta a esplodere nel finale).
Corredato da una cover di ‘Mi piaci perché’ del Vasco nazionale, “Stress” è la fotografia di una giovane donna che affronta cambiamenti di vita, incertezze personali, piccole e grandi delusioni affettive, scegliendo di ‘mordere’, pur non chiudendo del tutto le porte alla tenerezza.