…che poi ancora una volta la sinistra ha mostrato la sua impareggiabile tendenza a martellarsi i cosiddetti: potevamo avere una settimana di dibattito serio, maturo, il colpo di grazia dato a ‘quegli altri’, più che mai impantanati nella loro incapacità di dare il benservito a Berlusconi, schiavi dei cambi di umore di una persona anziana che probabilmente sta dando i segni dell’inevitabile decadimento mentale tipico dell’età… e invece con cosa sono riusciti a riempire le prime pagine dei giornali: con l’interminabile polemica riguardo le ‘regole’: che modo inglorioso e pure un filo squallido, di concludere una competizione altrimenti tutto sommato efficace, in quella che è stata un’iniziativa in cui gli aspetti positivi sono stati predominanti.
Nemmeno il dibattito serale di mercoledì (gestito mi pare abbastanza efficacemente da una Monica Maggioni che finalmente sul primo canale del servizio pubblico offre una valida alternativa al consunto Vespa) è servito a fugare che l’impressione che, come troppo spesso è avvenuto nel corso degli ultimi anni, tutto quando si parla di PD, o centrosinistra più ampiamente inteso, finisca in farsa, se non in burletta.
Certo Renzi qualche ragione ce l’ha: soprattutto sa bene che una maggiore affluenza al ballottaggio andrebbe in gran parte a suo favore; tuttavia se regole ci sono, vanno rispettate, per quanto scritte male, in un tentativo poco riuscito di trovare una via di mezzo tra una votazione aperta a ‘chiunque passi’ (come nelle precedenti, meno significative occasioni) e una riservata ai soli militanti.
E’ stato fatto un pasticcio, ma questo passa il convento: è tardi per cambiare ricetta.
Tra l’altro mi pare di notare che questa continua lamentela sulle regole a un certo punto abbia stufato e almeno nell’ultimo paio di giorni abbia cominciato a essere controproducente per Renzi, almeno sulla Rete, dove è cresciuto il malumore e sono aumentate le irrisioni: un mio ‘amico’ di Facebook gli ha dato del ‘piangina’.
Detto questo, ammetto che le mie simpatie vanno per lo più allo stesso Renzi, e non è solo una questione generazionale: mi pare che Renzi usi parole e atteggiamenti nuovi, sbaglierò (qualcuno dice che è tutto fumo e niente arrosto), ma mi sembra che Renzi, volenti o nolenti, rappresenti quella ‘frattura’ che secondo me è necessaria a questo punto nella politica italiana.
L’ideale sarebbe stato avere, assieme a lui e Grillo, anche un protagonista ‘nuovo’ nell’altro schieramento, ma questo pare non sia possibile, fino a quando Berlusconi continuerà a considerare il PDL ‘roba sua’.
Probabilmente Renzi non rappresenta la migliore delle opzioni possibili (per conto mio penso che con un pò di coraggio in più, al suo posto ora ci sarebbe potuta essere Debora Serracchiani), ma questo è quello che passa il convento, accontentiamoci.
Bersani è onesto, rassicurante, sopratutto competente (forse anche più dello stesso Renzi): tuttavia nel suo caso manca quel ‘quid’ in più, come se lui comunque rappresentasse un ottimo film, già visto più volte. Renzi se vogliamo è il regista ‘emergente’ dal quale non sai cosa aspettarti. Con tutti i distinguo, è un pò come se da una parte avessimo Scorsese e dall’altra Nolan: nel caso del primo sai che vai sul sicuro, nel caso del secondo non sai bene cosa aspettarti.
Non so se all’Italia del 2013 servirà un regista navigato; mi pare sarebbe più indicata una persona più giovane; lascerei perdere l’accusa lanciata contro Renzi di essere di ‘destra’, solo perché avuto il buon senso di affermare che per vincere bisogna spingere parte di quelli che l’altra volta hanno votato Berlusconi a votare per il PD: il che se ci pensiamo è un affermazione addirittura banale, ma purtroppo tra chi vota a sinsitra in Italia sono ancora largamente diffusi coloro che sono pronti a bollarti come fascista non appena hai il coraggio di modificare appena una virgona nei loro ragionamenti.
Non sarà certamente il salvatore della patria, Renzi, ma tuttavia mi dà istintivamente l’idea di una persona più adatta alla velocità dei tempi: questione generazionale? Anche: Renzi fa parte della mia stessa generazione, fatta di persone abituate a stare davanti al monitor di un computer, mentre in sottofondo c’è uno stereo acceso e magari ogni buttano un occhio anche al televisore; viviamo tempi veloci e in continuo mutamento, per i quali serve flessibilità mentale e capacità di adattamento: ciò di cui secondo me Bersani è privo.
Non dico che le sue ricette siano sbagliate, ma dà l’idea di uno che dica che dopo tutto, il mondo è sempre quello e quindi le ricette di fondo sono le medesime; se vogliamo è lo stesso discorso applicabile a Monti: Monti è vecchio, come vecchio è il suo modo di pensare e vecchi sono i suoi metodi: è per questo che adesso è vero, siamo sulla strada del risanamento, ma abbiamo anche la disoccupazione ai massimi, i redditi ridotti e i consumi al palo: in questa situazione servivano anche inventiva e creatività, ciò di cui Monti è del tutto privo, e del quale ho l’impressione non sia troppo dotato nemmeno Bersani.
In più c’è la questione della rottamazione: ora, sarà un bene, sarà un male, ma io al solo pensiero di rivedere ancora D’Alema in parlamento devo precipitarmi al bagno. Basta D’Alema, come basta con tutti o quali quelli della sua generazione, i protagonisti di una stagione del PD e predecessori vari che hanno commesso errori a raffica, permettendo a Berlusconi di durare ben oltre il dovuto: e vogliamo ritrovarceli di nuovo tutti lì, a continuare a fare danni?
Detto questo, probabilmente lo stesso Bersani vincerà, grazie alle truppe di Vendola. L’augurio a questo punto è duplice: il primo, è che nel PD dopo le primarie non si assista all’ennesimo ‘regolamento di conti’; il secondo, è che il PD trovi un giusto equilibrio, e che tutto quanto di buono Renzi ha portato in termini di confronto non venga sprecato… altrimenti, temo, anche se si vinceranno le elezioni, durerà poco come già avvenuto in passato.
Archive for novembre 2012
30 Nov
ASPETTANDO IL BALLOTTAGGIO
25 Nov
NON HO VOTATO ALLE PRIMARIE…
… anche se in fondo, mi sarebbe piaciuto: secondo me ogni occasione è buona per esprimere la propria opinione; d’altronde ho votato anche alle ‘primarie fantasma’ organizzate precedentemente… tuttavia stavolta sono venuti al pettine alcuni nodi: non è solo la procedura di registrazione, della quale a dirla tutta ancora adesso mi sfugge ancora qualcosa; il motivo principale è la firma del famoso ‘manifesto d’intenti’. Sinceramente, non me la sono sentita; certo, concordo che non sarebbe stato poi così grave firmare una dichiarazione in cui ci si dichiara’di sinistra’ e poi magari a marzo, quando di acqua sotto i ponti ne sarà passata parecchia, si vota altrove: chissà in quanti l’avranno fatto. Eppure, io non me la sono sentita: credo ci voglia rispetto, per le ‘Primarie’: per conto mio, non sono ancora sicuro di cosa voterò a marzo: do al MoVimento 5 Stelle un 50 per cento di possibilità, un 25 per cento ai Radicali, un 15 per cento a Sel e un 10 per cento al PD, allo stato attuale delle cose. Tra l’altro, al momento non si sa ancora bene come si presenteranno i partiti: ognuno per sè? In coalizioni? Finché non si decide sulla legge elettorale, questo non sarà chiaro… comunque, ho pensato: ma che ci vado a fare a votare alle Primarie, se poi magari finisco per votare il MoVimento 5 Stelle o i Radicali. Credo che le Primarie ‘attraggano’, perché costituiscono anche un grande ‘happening’: non voglio dire che si vada a votare perché ‘di moda’ o perché ‘fa figo’, ma è il classico momento ‘di aggregazione’ in cui anche se uno non sa bene se e cosa voterà a marzo, ci partecipa lo stesso perché alla fine è bello esserci, è bello sfruttare un’occasione per trovarsi insieme a tante altre persone e magari scambiare due chiacchiere con chi non si conosce: e intendiamoci, sotto questo profilo le Primarie sono una grande idea, forse la migliore che la sinistra abbia avuto in Italia negli ultimi 20 anni. Però ecco, al di là di questo, credo che le Primarie vogliano essere una ‘cosa seria’, non solo un momento di aggregazione, e quindi è giusto fare le ‘persone serie’: a me, sinceramente, non sembrava serio votare non avendo la sicurezza che avrei poi votato per il centrosinistra alle elezioni; ergo, ho lasciato perdere. Una postilla: nell’Appello degli Elettori che si deve firmare, si parla di ‘stagione berlusconiana’: ecco, secondo me questo è un errore: gli ultimi vent’anni non sono stati solo Berlusconi: sono stati anche D’Alema, che ha tentato più volte di ‘dialogare’, sono stati le armate Brancaleone guidate da Prodi in cui prima o poi qualcuno faceva affondare la nave, sono stati Mastella, c’è stato Veltroni col ‘ma-anchismo’, ci sono stati – purtroppo – gli apparati e le spese incontrollate della classe politica che hanno coinvolto tutti o quasi. Insistere per l’ennesima volta, derubricando gli anni appena passati come ‘stagione berlusconiana’, significa semplificare un pò troppo il quadro: c’è stato Berlusconi, che però secondo me più che la causa del ‘male italiano’, ne resta il sintomo, ma ci sono stati anche tanti errori altrove… Fossi andato, avrei votato per Vendola o Puppato; non ci credo, ma sarebbe bello se Vendola si prendesse uno dei due posti per il ballottaggio, allora ci sarebbe da divertirsi: alla fine, temo, sarà questione tra Bersani e Renzi…
25 Nov
THE STAR PILLOW, “FATTORE AMBIENTALE” (TAVERNA)
Terza prova per il progetto Star Pillow, portato avanti da Paolo Monti e Federico Gerini: “Fattore Ambientale” è uno di quei dischi che potrebbero definirsi ‘cinematografici’, in cui più di altri i suoni appaiono indicati ad evocare le sequenze di film immaginari che ognuno può costruirsi nel corso dell’ascolto. L’aspetto ‘visivo’ delle dieci composizioni del resto viene citato tra le principali ragioni d’essere del lavoro dagli stessi autori. Troneggia la title track che oltrepassa i ventisei minuti di durata, nel segno di dilatazioni – nomen omen – ambientali che rimandano (naturalmente) a Brian Eno. Attorno, a mò di ancelle, le altre composizioni, tra vaghi rimandi all’impressionismo di Satie o Debussy e parentesi minimaliste, ovviamente con influenze derivanti dal filone delle sonorizzazioni da cinema (viene in mente a volte Michel Nyman).
“Fattore Ambientale” si fa sinuosamente strada nell’attenzione dell’ascoltatore, affascinando, in qualche occasione mettendolo alla prova, ma difficilmente lasciandolo indifferente: un disco dal quale farsi avvolgere e che può rivelare più di una sorpresa.
25 Nov
DEVOCKA, “LA MORTE DEL SOLE” (I DISCHI DEL MINOLLO)
I ferraresi Devocka, forti del discreto riscontro ottenuto coi primi due lavori, tornano con questo terzo full length, a tre anni di distanza dal precedente “Perché sorridere?”.
Formazione invariata; meno la proposta musicale, che lascia almeno in parte le marcatamente noise percorse nei primi due dischi, salpando verso territori post-punk / new wave.
Intendiamoci, il gruppo non ha perso un grammo della propria spinta, nè della capacità di sviluppare un’adeguata mole sonora, che però negli undici brani che vanno a comporre “La morte del sole” viene messa al servizio di urticanti sferragliamenti che sembrano usciti direttamente da metà anni ’80.
Saturazioni sonore che costituiscono l’efficace accompagnamento a testi, programmaticamente annunciati dall’apertura di Morte annunciata dell’io ed emblematicamente conclusi da Ultimo istante, in cui tematiche abbastanza consuete, come il rapportarsi con situazioni o rapporti di coppia o la semplice osservazione della realtà circostante, assumono contorni da incubo, distorti attraverso la lente di una follia forse fin troppo lucida. Un insieme completato dalla prestazione canora, all’insegna di una vocalità spesso rabbiosa, scaraventata senza tanti complimenti nei timpani dell’ascoltatore.
un disco compatto (quaranta minuti circa la durata), che poco spazio concede alla calma e che, pur non dimenticando la componente melodica, riserva una generosa dose di potenza sonora, in quella che appare un’ulteriore prova della raggiunta maturità della band.
23 Nov
DEL DEMENZIALE DIVIETO DEL PRESEPE
…o presepio (viene sempre il dubbio).
La situazione ha del ridicolo, se non fosse il segnale, da prendere molto sul serio, di quali ragionamenti comincino a circolare qui da noi. E’ormai qualche anno che puntualmente a Natale esce la notizia di qualche ‘genio’ che vieta di allestire il presepe presso scuole o altri luoghi pubblici, in forza di un malinteso concetto di ‘laicità’ o peggio di ‘multiculturalismo’: per non offendere i fedeli di altre religioni, insomma.
Ecco, questo è proprio l’esempio sbagliato di multiculturalità: si rinuncia alle tradizioni per non offendere nessuno. La scelta del presepe poi è demenziale: passi anche (con molti forse) per il crocifisso, che da alcuni può essere visto come un’immagine violenta, ma la Natività è la raffigurazione di una nascita, l’evento più normale del mondo… e aggiungo che presso l’Islam c’è un radicato culto della Madonna, oltre al fatto che i fedeli di quella religione considerano Cristo uno dei profeti più importanti del mondo.
Aggiungo un’altra cosa: l’apertura alle altre culture non può passare per l’azzeramento della propria; non è un ragionamento conservatore, non è questione di ‘superiorità’, ma penso che un popolo che conservi la propria tradizione sia più in grado di rispettare quelle altrui e sopratutto, di farsi rispettare.
Se gli immigrati che vengono in Italia si accorgono che noi teniamo così poco in conto la nostra cultura da abolire usanze plurisecolari solo per il timore di offendere qualcuno, beh, non credo che abbiano tanto rispetto di noi e di conseguenza delle nostre leggi; e tutto questo, attenzione, non vuol dire impedire a chi arriva qui di conservare le proprie, di tradizioni; anzi, credo che proprio in forza della conservazione del proprio patrimonio culturale si possano apprezzare che usanze altrui.
Il rischio, altrimenti, è di finire in una società priva di qualsiasi fondamenta culturale, che finirebbe per essere molto, ma molto fragile.
22 Nov
ANNIVERSARI
WP mi segnala l’anniversario del mio blog: un anno che sto qui, dunque, sebbene il mio ‘compleanno da blogger’ – il settimo – è caduto a inizio novembre. Sei anni su Splinder, uno su WP. Non nascondo che ogni tanto ho nostalgia di Splinder; lì c’era l’impressione di essere più in un ‘mondo di blogger’, su WP molto appare più freddo, algido, ‘professionale’… Certe ‘consuetudini’, certe ‘conoscenze’ allacciate nella precedente esperienza si sono conservate anche qui; nuove se ne sono aggiunte, c’è sempre un bel feedback insomma. WP ha tante potenzialità (la maggior parte non le uso, qui, pur usando la stessa piattaforma per altre attività), ti permette di seguire meglio i blog che ti interessano, di incrociare e replicare i commenti… Eppure, l’impressione di fondo di un qualcosa di ‘freddino’ , resta, probabilmente perché WP non nasce certo come una piattaforma un pò ‘cazzeggiona’ come era Splinder, qui obbiettivi e pretese sono di ben altra scala. Senz’altro, hai la possibilità di essere letto da più gente, è un pò come essere passati da una strada provinciale a un’autostrada… Vabbè, andiamo avanti…
19 Nov
…E CI RISIAMO CON LA GUERRA…
Mi chiedo se a questo punto abbia davvero un qualche senso parlarne, perché alla fine è già stato detto – più o meno tutto – e che ormai dopo una sessantina d’anni non c’è granché da aggiungere; la cosa sta diventando trita anche per i blog: insomma, ricordo benissimo un mio post avvelenato ai tempi dell’operazione ‘piombo fuso’… Non so, da una parte piovono razzi su Israele, che però mi pare di vittime ne facciano ben poche, sembrano più che altro gesti dimostrativi, dall’altra c’è Israele che contrattacca e finisce per ammazzare un centinaio di persone in pochi giorni… Quello che mi chiedo, soprattutto, è come quella gente non sia ancora arrivata al punto di non ritorno: insomma, parliamo più o meno di un sputacchio di terra, su un pianeta insignificante in un cosmo abnorme, e quelli continuano imperterriti, in forza poi a ben vedere della solita religione, all’insegna del ‘mio dio è più forte del tuo, pappappero’. Veramente c’è da chiedersi se col paganesimo e il politeismo non saremmo stati meglio… Veramente, non so che augurarmi: forse l’ideale sarebbe costruire un bel muro attorno a tutta l’area, e lasciare che si scannino definitivamente tra di loro. Sono Paesi che hanno entrambi forme di democrazia: possibile che gli ‘amanti della guerra e dell’annichilimento definitivo del nemico’ abbiano sempre la meglio? Mi chiedo, ma nel momento in cui Israele dovesse massacrare tutti i Palestinesi dal primo all’ultimo, o viceversa se mai Israele dovesse essere cancellato dalla faccia della Terra, i ‘vincitori’ cosa si aspettano? Che arrivi da loro un tizio sorridente e gli stringa la mano dicendogli: ok, avete vinto? Un generale americano, non ricordo chi, una volta disse: l’unico modo per far capire la bellezza della pace a chi fa la guerra, è di bombardarlo e farlo tornare all’età della Pietra (non sono le parole esatte, ma il senso è quello); chissà: forse ci vorrebbe un bel terremoto del decimo grado, uno tsunami, un asteroide, un’epidemia, qualcosa insomma che riduca ai minimi termini la popolazione dell’area e che porti a più sani consigli tutti quanti. Israele ha rotto le scatole da quel di, con l’atteggiamento supponente di chi si crede di essere stocavolo, solo perché ha i missili nucleari e naturalmente guai a criticare Israele, che si viene subito tacciati di antisemitismo; i palestinesi provocano e fanno piovere razzi a cavolo, anche se poi fatti i dovuti calcoli non c’è paragone: di morti ne ha fatti molti più Israele, però anche lì: se sanno che poi piovono rappresaglie, perché lanciano razzi a cavolo? Non pensano alle conseguenze… Gli ‘uomini’, suppongo, non giungeranno mai a una conclusione: la cosiddetta comunità internazionale è troppo debole, pavida e divisa per imporre una soluzione una volta per tutte (ad esempio mandare lì qualche centinaia di migliaia di soldati, creare d’imperio due Stati e rendere Gerusalemme un protettorato ONU a sé stante); allora, ribadisco, speriamo nella natura: a questo punto credo che a palestinesi e israeliani serva una bella apocalisse, che gli faccia capire che passare la vita a cannoneggiarsi è tutto sommato uno spreco…
18 Nov
CRANCHI, “VOLEVAMO UCCIDERE IL RE” (IN THE BOTTLE RECORDS /AUDIOGLOBE)
Secondo lavoro per i Cranchi (il nome, anzi il cognome, glie l’ha dato il cantante e chitarrista Massimiliano), dopo l’esordio del 2010: un progetto nato tra Mantova e Rovigo (città di provenienza dei quattro componenti della band), tutti già con qualche esperienza alle spalle (tra queste, i The Great Nothern X, già recensiti su queste pagine). “Volevamo uccidere il re”: laddove il re è la personale metafora per il ‘pensiero unico’ dominante ai giorni nostri.
I Cranchi conducono la loro battaglia attraverso un folk acustico (talvolta vestito con divisa ‘da combattimento’, all’insegna di un ensemble che agli strumenti consueti aggiunge fisarmonica, banjo e piano), venato di ‘indie’ e impastato con la tradizione del cantautorato italiano, quella del filone più orientato a uno sguardo critico verso la società (tornano alla mente Guccini o Claudio Lolli). Storie ispirate dalle guerre, magari quelle così lontante ‘nella mente’, ma geograficamente appena oltre un braccio di mare, o dagli ‘anni di piombo’ (rievocati nel brano conclusivo), un cuoco anarchico e un redivivo Robin Hood, sono solo alcuni degli scenari e dei personaggi che incrociamo lungo gli otto brani presenti, in cui si trova anche spazio per un paio di episodi sentimentali.
Un disco su cui aleggia costantemente un alone di rabbia venata di malinconia, espressa con personalità dal cantante, in un episodio accompagnato da una voce femminile. I Cranchi superano con personalità la prova del secondo disco, dando l’idea di avere ancora ampi margini di miglioramento.
IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY
18 Nov
I PROFESSIONISTI, “I SENSAZIONALI SUONI CISALPINI DEI PROFESSIONISTI” (SKANK BLOC RECORDS)
Di loro lasciano trapelare poco o nulla, se non nomi e cognomi: il loro disco (d’esordio, si suppone) esce per la Skank Bloc, etichetta italiana ‘emigrata’ in Svizzera. Per il resto, nient’altro, o quasi. Comunque, i tre Professionisti sfornano un lavoro che molto deve al classico canzoniere italiano, quello degli anni ’60, per intenderci: non è un caso se il lavoro si apre con un pezzo intitolato ‘Che cosa c’è’, in un omaggio esplicito a Paoli, che però nel testo trova uno svolgimento meno lineare, ai confini del flusso di coscienza, del nonsense.
Una vena che nel corso del disco si farà ricorrente, ad accompagnarci al succedersi di suggestioni sonore che vanno dal reggae a profumi di bossa fino al country, complice il frequente uso dell’armonica.
Un lavoro che ai ’60 deve anche molta della sua componente più propriamente rockeggiante, con rimandi ai climi scanzonati del beat e, a chiudere il ciclo tornando a parlare dei testi, per un certo modo di tradurre il quotidiano in toni apparentemente leggeri, con una vago tono surreale, tra un aperitivo che si riempe di pioggia, scassinatori romantici e un benzinaio blues.
L’esito è ambivalente: il gioco è gradevole, i suoni di fattura più che discreta, notevole il tentativo di dare al lavoro un certo dinamismo tentando di cambiare più volte le carte in tavola, la scrittura pur se un pò acerba, non priva d’interesse; eppure nonostante tutto questo il disco perde fin troppo presto la propria presa, privo di quel ‘quid’ che gli permetta di piantare le tende nel lettore per non uscirne più; un ‘qualcosa’ che forse potrà derivare solo dall’ulteriore maturazione di un gruppo che sembra avere discrete potenzialità da realizzare.
IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY