Archive for the ‘arte’ Category

UNA GIORNATA PARTICOLARE…

…passata interamente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Ci ero già stato, in passato, ma sempre in occasioni un po’ ‘mordi e fuggi’; ieri, approfittando dell’apertura gratuita, ho finalmente colto l’occasione per godermela.

Un bel ‘viaggio’ per arrivarci, sul ‘3’, da Trastevere a Valle Giulia (con cambio bus / tram a Piramide); ‘viaggio’ che consiglio a tutti, perché tocca alcuni dei posti più significativi di Roma… e poi, lì…

Non starò a fare un elenco di quello che ho visto (tutto, praticamente: arrivato lì, alle 11.00, me ne sono andato quasi alle 17.00), ma è stato elettrizzante, appagante: mi sono sentito come un bambino a Disneyland, immerso nell’arte che mi piace tanto, incuriosito, affascinato, meravigliato.

E’ stata una giornata bellissima, senza pensieri, preoccupazioni, ansie… in cui tra parentesi anche il ‘derby’ è passato in secondo piano, ci ho pensato poco o nulla (e la Roma l’ha pure vinto, evidentemente tutto ha portato bene).

Una così bella giornata, conclusa con un tale un senso di appagamento, di serenità (conciliata anche dal clima bellissimo, entrare con la luce, uscire con la luce), non mi capitava da anni… Una cura per la mente e per lo spirito, cui mi ripropongo di ‘sottopormi’ da qui a qualche mese e in seguito periodicamente, perché poi diciamocela tutta: arrivi alla fine e sei quasi ‘sfiancato’, per cui tante cose soprattutto alle fine le superi e devi tornare.

Però alla fine di tutto, la sensazione più bella, per me che spesso mi sento fuori posto, fuori contesto, è stata quella di sentirmi ‘a casa’, lì, tra Canova e Burri, Klimt e Manzoni, tra le lamiere accartocciate e gli orinali di Duchamp.

Una sensazione bellissima.

 

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# JE SUIS CHARLIE

MOSTRI

Creature fantastiche della paura e del mito

Roma,  Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo, fino al 1 Giugno

I mostri dell’antichità: quelli che hanno popolato la mitologia e le leggende greche e romane, arrivando fino ai giorni nostri; dal Minotauro all’Idra, passando per grifoni, sirene, arpie, creature boschive  e marine, la Sfinge, Chimera, Medusa, Pegaso…

Una ‘galleria’ nel vero senso della parola, quella allestita al pian terreno di Palazzo Massimo, una delle sedi del Museo Nazionale Romano: allestimento suggestivo e riuscitissimo, in una galleria quasi al buio, che si snoda quasi come un labirinto, in quello che alla fine è una sorta di ‘tunnel dell’orrore’ da parco giochi, in cui i ‘mostri’ che fanno capolino di volta in volta sono sculture, mosaici, fregi, oggetti vari a riprodurre le creature fantastiche del mito.

Il materiale è di varia provenienza, in buona parte greca (molte opere arrivano direttamente dalla Magna Grecia), ma non mancano esempi di arte romana ed etrusca; certo, nel succedersi delle opere fa capolino quella sottile sensazione di ‘ripetitività’, spesso inevitabile con le esposizioni di arte antica, ma in questo caso si può sottolineare come la peculiarità del tema e la grande efficacia dell’allestimento rendano “Mostri” senz’altro una delle esposizioni più originali degli ultimi anni, indicata, ovviamente anche al pubblico più giovane.

L’ingresso alla mostra consente inoltre di farsi un giro anche nelle altre sale del Museo: imprescindibile, sempre al piano terra, l’osservazione della celeberrima statua del ‘Pugile’, uno dei punti più alti della storia dell’arte, non solo antica.

 

MUSEE D’ORSAY – CAPOLAVORI

Roma, Complesso del Vittoriano, fino all’8 giugno

Eccezionale. L’aggettivo, abbastanza abusato, appare per una volta più che adeguato. L’esposizione dedicata alla collezione del museo parigino, noto soprattutto per la collezione impressionista, è di quelle imperdibili, per gli artisti esposti, ma anche soprattutto per le opere scelte, alcune delle quali vere e proprie perle poco conosciute.

La mostra viene aperta da una sezione introduttiva che mostra l’evoluzione del museo, da stazione in stato di abbandono trasformata in area espositiva anche grazie al contributo dell’architetto Gae Aulenti, fino alle ultime modifiche, per restare al passo coi tempi.

Il percorso vero e proprio si snoda all’insegna di un’evoluzione storica abbastanza consueta e con essa lo sviluppo ‘ideale’ del movimento impressionista, sfociando poi nelle sue più immediate derivazioni (puntinismo e simbolismo, coi primi accenni di espressionismo e pittura astratta); l’apertura è dedicata al ‘ciò che c’era prima’, con alcuni esempi di pittura ‘accademica’ trai quali svetta la Diane di Delaunay… poi ecco irrompere l’impressionismo, con l’uso della luce e il ricorso a soggetti tratti dal quotidiano: i paesaggi campagnoli di Pissarro e i boschi innevati di Sisley, le barche a vela di Monet ma anche quelle di Van Rysselberghe, che sembrano quasi sfumare nelle pennellate puntinate del mare.

Successivamente, ecco le opere a tema cittadino, per il ritratto o per la ripresa di scene di vita reale: colpiscono, su tutti, le ballerine di Degas, le “Bretoni con l’ombrello” di Bernard e “Il circo” di Seurat con la sua riduzione all’essenziale. La ritrattistica è il terreno in cui l’impressionismo lascia spazio alle complicazioni ‘espressioniste’, in cui il ritratto ‘esteriore’ il mezzo per cominciare a riflettere sull’interiorità: ed ecco allora la figura “A letto” di Vuillard, che sembra quasi sfumare e perdere d’identità tra le lenzuola, ma soprattutto la donna ritratta di spalle in “Hvile” di Vilhelm Hammershoi.

L’ultima sala è quella che riserva le sorprese più belle: non solo per ospitare un Van Gogh, un Gauguin e il bellissimo tramonto di Vetheuil di Monet; ma soprattutto per il potente simbolismo dei “Jeux d’eau” di Bonnard, l’argine di “Les Andelys di Signac” e, ultima opera esposta, le “Iles d’or” di Henri – Edmond Cross, in cui lo studio impressionista sulla luce finisce per affacciarsi sul grande mare della pittura astratta. La ‘ciliegina sulla torta’ di una mostra imperdibile.

Elie Delaunay, “Diane”

 

Edouard Vuillard, “A letto”

 

Vilhelm Hammershoi, “Hvile”

 

Pierre Bonnard, “Jeux d’eau”

 

Claude Monet, “Tramonto a Vétheuil”

 

Pual Signac, “Les Andelys”

 

Theo Van Rysselberghe, “Vele ed estuario”

 

Henri – Edmond Cross, “Les iles d’or”

MODIGLIANI SOUTINE E GLI ARTISTI MALEDETTI

La Collezione Netter

Roma, Fondazione Roma Museo – Palazzo Cipolla, fino al 6 aprile

Ancor prima dei quadri, quello che stupisce di questa esposizione è la qualità della’scenografia’; non ci sarebbe magari da stupirsi più di tanto, forse: non è la prima volta, del resto: senza nulla togliere agli altri, c’è da sottolineare come le mostre allestite presso la Fondazione Roma Museo abbiano sempre un occhio particolare per l’allestimento, quell’attenzione al ‘particolare’ che finisce per dare allo spettatore quel ‘quid in più’ rispetto ad altre situazioni. Entrando nella mostra dedicata alla scena parigina del primo ‘900 si viene introdotti in un ambiente raccolto, quasi in penombra, con una luce vagamente crepuscolare che mette ancora più in risalto le luci e i colori,  spesso sgargianti, delle opere esposte.

Le donne dallo sguardo enigmatico e i tratti quasi metafisici di Modigliani e i panorami vertiginosi di Soutine, dove lo scenario sembra quasi dilavare, precipitare nel vuoto, ma non solo; l’epopea artistica di Suzanne Valadon e le luci quasi abbaglianti di suo figlio Maurice Utrillo; i quadri di Maurice de Vlaminck, sui cui aleggia un’ombra di inquietudine, i colori brillanti di Derain, e ancora opere di Henry Hayden, Isaa Antcher, Moise Kiesling e altri offrono un quadro d’insieme di una scena che risentiva delle molteplici influenze degli anni precedenti, tra Impressionismo ed Espressionismo, coi primi cenni di astrattismo e surrealismo, tra enigmi ed inquietudini.

Una mostra che affascina e non annoia, grazie alla grande varietà e alternanza di soggetti e stili, che tiene costantemente viva l’attenzione; il prezzo del biglietto include l’audioguida gratuita, che assieme alle riflessioni su alcune delle opere esposte, raccoglie alcuni aneddoti raccontati dalla voce di Corrado Augias… personalmente comunque la sconsiglierei, non tanto per Augias, quanto per il fatto che girare con una cuffia nelle orecchie, l’audoiguida in mano e fare attenzione alle spiegazioni, fatalmente finisce per distrarre l’attenzione dalla osservazione e dalla suggestione dei quadri.

ANNI 70 ARTE A ROMA

Roma, Palazzo delle Esposizioni, fino al 2 marzo

Il titolo spiega più o meno tutto: uno sguardo d’insieme gettato, sulle dinamiche artistiche della Capitale in un decennio forse troppo spesso ricordato, specie proprio qui a Roma, per l’atmosfera plumbea e opprimente, le tensioni sociali, il terrorismo e la Banda della Magliana, etc… E allora l’obbiettivo – raggiunto – di questa esposizione è quella di raccontarci un’altra Roma, vitale e dinamica nell’esplorare percorsi e linguaggi artistici.

La mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni parte da quatto grandi mostre che nel corso di quegli anni a loro volta misero in luce le avanguardie artistiche che in quel periodo animavano Roma, delle quali vengono peraltro riprese alcune opere; lo spettatore è ‘accolto’ dall’installazione di Gino De Dominicis, intitolata “Il tempo, lo spazio, lo sbaglio”: gli scheletri di un pattinatore e del suo cane…

Il percorso espositivo si articola nelle consuete sezioni, ma stavolta si tratta dichiaratamente di ‘tracce’ appena delineate, di una ‘sistemazione’ puramente indicativa di un materiale quanto mai eterogeneo. Due tele di De Chirico, esposte nella prima sala, rappresentano le uniche opere che, allo spettatore non appassionato offrono un ‘appiglio’ a qualcosa di ‘noto’; subito però il percorso diventa un autentico ‘turbine’, un gorgo di immagini, suggestioni, ‘trovate’, a volte provocazioni… e lo spettatore prova l’impressione spiazzate di essersi trovato al posto dei personaggi di Alberto Sordi e della moglie nel celeberrimo episodio che li vedeva aggirarsi, perplessi e un pò intimoriti, nelle sale della Biennale di Venezia.

Piroghe, circoli di sassi, oggetti ai quali al visitatore è chiesto di assegnare una funzione ed un nome, schede tratte da manuali di patologia forense, monoliti torreggianti, omaggi all’arte classica, autoritratti che citano Caravaggio, Boccette di veleno che illustrano ‘esperimenti suicidi’… l’elenco potrebbe continuare, così come potrei dilungarmi su una lista dei nomi presenti: oltre ai già citati, potrei menzionare Burri, Capogrossi, Accardi (scomparsa proprio qualche giorno fa), Richard Long o Giosetta Fioroni; qualche nome finirebbe per sfuggire, facendo del torto a qualcuno…

Tutto molto affascinante, a tratti suggestivo o spiazzante, opere di fronte alle quali si rimane affascinati, talvolta si ride, in qualche caso sorgono perplessità o si prova un filo di ribrezzo (come nel caso delle schede forensi di cui sopra)… il limite dell’esposizione emerge allorché, uscendo, ci si chiede: “si, ma cosa mi è rimasto?”: perché forse, nell’obbiettivo, anche lodevole, di essere il più possibile esaustivi (tra l’altro ad un prezzo più accessibile rispetto ad altre mostre), tutto questo è… troppo. Il carattere così eterogeneo delle opere esposte costringe lo spettatore ad un continuo mutamento di attenzione, ad essere costantemente sulla corda, ed alla fine il tutto diventa una sorta di ‘esericizio di resistenza’… un filo estenuante, se vogliamo.

Certo, si può affrontare la cosa con disincanto e passeggiare tranquillamente tra le opere, buttando lo sguardo qua e là, ‘navigando dolcemente’ le mare magnum dell’Avanguardia; se però lo scopo di fondo almeno in parte vuole essere ‘dimostrativo’, ‘illustrativo’, beh allora forse l’esperienza si fa un pò dispersiva e il forte rischio, alla fine, è di uscirne con una discreta confusione in testa…

GEMME DELL’IMPRESSIONISMO

Dipinti della National Galley of Art di Washington

Roma, Ara Pacis, fino al 23 febbraio

Restano ancora circa un paio di settimane per fare una visita a questa mostra, basata sulla collezione accumulata da Andrew Mellon, uno di quei classici personaggi americani con la ‘vita da film’: un genio della finanza che arrivò a ricoprire anche alte cariche statali e che dedicò parte della sua fortuna alla raccolta di opere d’arte, per poi donare il suo patrimonio al popolo americano, attraverso la creazione di un grande museo; attività questa poi proseguita dai figli.

La mostra allestita presso l’Ara Pacis è svolta all’insegna di moduli abbastanza consueti: cinque le sezioni – Pittura ‘En  plein air’, ritratti, quadri con soggetti femminili, natura morte e un ultimo segmento dedicato in particolare a Bonnard e Vuillardi – in cui i ‘grandi’ ci sono più o meno tutti: Van Gogh, Renoir, Monet, Manet, Seurat, Cezanne, Pissarro, Sisley, Gauguin fino alla pittrice Berthe Morisot e a Tolouse – Lautrec; certo, con vario ‘peso’ (di Van Gogh per esempio c’è una sola opera, di Renoir due), ma che comunque offrono una panoramica pressoché completa del movimento. Abbondanti  gli apparati redazionali, con una esaustiva galleria di biografie degli autori esposti ed un interessante sezione dedicata al rapporto tra il progresso scientifico e tecnologico, nella scienza del colore e nei materiali utilizzati, con l’esplosione del movimento.

L’unico limite – opinione personale – è che forse la parte più interessante, quella della pittura ‘all’aria aperta’, dove l’Impressionismo svolge tutte le sue potenzialità, si esaurisce fin troppo presto, nella parte iniziale dell’esposizione, per lasciare ben presto lo spazio a ritratti e nature morte, che, con tutto il rispetto, non sono propriamente la mia ‘passione’; in ogni caso, visto il livello dei nomi esposti, la mostra merita una visita, e dopo tutto, “I vendemmiatori” di Renoir e il “Paesaggio marino di Gravelines” di Seurat da soli valgono il prezzo del biglietto.

Renoir, “I vendemmiatori”

Seurat, “Paesaggio marino (Gravelines)

CEZANNE E GLI ARTISTI ITALIANI DEL ‘900

Roma, Complesso del Vittoriano, fino al 2 febbraio 2014

In realtà forse questa mostra doveva essere intitolata: Gli artisti italiani del 900 E Cezanne:  forse è una polemica un pò futile, ma lo spettatore ‘ignaro’, vedendo il nome dell’artista provenzale così in primo piano, si attende una sua più che abbondante presenza… invece si deve notare come Cezanne non sia poi la ‘sta assoluta’ dell’esposizione… A voler ricondurre tutto in meno ‘acidi’ termini, si può dire la mostra del Vittoriano ci presenta effettivamente una visione d’insieme dei rapporti trai nostri artisti e il loro ‘modello’ francese, mettendone in luce l’influenza sulle varie correnti, dalle più ‘figurative’ (con qualche tratto metafisico) a quelle maggiormente spinte vero l’avanguardia.

Se di ‘star’ bisogna parlare, allora i nomi sono quelli di alcuni dei maggiori rappresentanti dell’arte italiana del secolo scorso, a partire, tra gli altri da Morandi, passando per Carrà, arrivando a Rosai, Severini, Boccioni, Sironi, fino ad artisti i cui nomi sono meno conosciuti al grande pubblico: per conto mio ignoravo, e forse per questo ho trovato trai più interessanti, sia Felice Carena sia Fausto Pirandello, figlio dello scrittore Luigi.

Articolata in quattro sezioni ‘per soggetto’ (paesaggi, nudi, ritratti, nature morte), la mostra rivela i suoi aspetti più interessanti forse proprio nella prima e nell’ultima sezione: ovviamente, dipende dai gusti, ma dal mio punto di vista ho trovato molto più interessante l’influenza dei paesaggi cezanniani sulla pittura di Rosai o su certi ‘scorci metafisici’ di Morandi, così come analogamente accaduto con le nature morte dello stesso, cui aggiungerei le opere “Etè” di Severini o la macabra “Tempus Fugit” di Carena, che non le  sfilze di nudi (trai quali comunque si fanno ricordare un paio di grandi tele classicheggianti di Sironi, così come un “Nudo di schiena” di Carena o delle bagnanti ‘cubiste’ di Pirandello) e soprattutto quelle dei ritratti (genere che per conto mio ho sempre ritenuto ampiamente noioso).

L’esposizione comunque offre una discreta varietà di stili, ambientazioni e suggestioni, e può essere sicuramente meritevole di una visita: forse l’aspetto di maggiore interesse è quello di vedere racchiusi nello stesso luogo un nutrito gruppo di ‘pezzi da ’90) della pittura italiana del secolo scorso, cosa poi non frequentissima, al di fuori delle collezioni presenti nei vari musei ‘dedicati’ disseminati per l’Italia; e poi comunque intendiamoci, anche se non preponderante, Cezanne è sempre Cezanne.

STERLING RUBY – CHRON II

Roma, Fondazione Memmo – Palazzo Ruspoli

Fino al 15 settembre

Ingresso Gratuito
Classe 1972, nato in Germania, figlio di un militare americano di stanza in terra tedesca, Sterling Ruby è però cresciuto in California; la sua esperienza artistica si è snodata attraverso varie forme espressive, dalla scultura alle installazioni video, passando per i collage, cui è dedicata l’esposizione in corso a Palazzo Ruspoli.

La prima avvertenza è che per scelta dell’artista stesso, le opere esposte portano all’estremo il concetto del coinvolgimento dello spettatore nella creazione del loro ‘senso’: completamente assenti titoli e didascalie, manca anche qualsiasi ‘complemento editoriale’ (catalogo, depliant, o altro). ‘Così è se vi pare’, insomma: se da un lato il concetto può essere intrigante, dall’altro però la mancanza di una seppure minima ‘traccia’ in base alla quale seguire il percorso espositivo rischia di lasciare un pò solo con se stesso il visitatore, specie il meno avvezzo a queste forse espressive.

I collage esposti vanno da pezzi di carta disegnati con forme geometriche o pittura sgocciolata, a supefici monocrome con applicazioni fotografiche, a composizioni assemblate utilizzando foto di galassie e nebulose, o all’estremo opposto, di graffiti murali, fino ai collage più classicamente intesi come insieme di foto, articoli di giornale, etc…

La critica alla società moderna è il tema dominante: Ruby se la prende in particolare con lo strapotere delle case farmaceutiche (ricorrente l’utilizzo delle confezioni di medicinali aperte e applicate sulle superfici) e con la violenza delle carceri, ma trai soggetti preferiti dell’artista vi sono anche i transessuali (e in particolare le loro mani dalle lunghissime unghie, che fanno spesso capolino ai bordi delle composizioni) e l’immaginario horror / sci – fi.

“Chron II” appare comunque una mostra indirizzata soprattutto a coloro che ‘masticano’ molto di arte contemporanea, di avanguardia e nuove tendenze; tuttavia il fatto che l’ingresso sia gratuito può rendere l’esposizione un’occasione di ‘svago’ per tutti, inclusi coloro che l’attraverseranno di sfuggita, restandone più perplessi che persuasi o che magari ne potranno essere affascinati, scoprendo un ‘mondo artistico’ prima del tutto sconosciuto.

EMPIRE STATE

Arte a New York oggi

Roma, Palazzo delle Esposizioni, fino al 21 luglio
“Se, vabbè, questo lo potevo fà pure io”: in questa frase risiede forse tutto il senso dell’arte contemporanea. Si potrà non essere d’accordo, ma è un fatto che l’arte è probabilmente morta quando Duchamp ha preso un pitale e l’ha ribaltato, affermando ‘questa è arte’… no, questo a tutti gli effetti è e resta un pitale ribaltato, spiacenti… Il concetto ce l’hanno ribadito a iosa: non è l’oggetto, ma è ‘l’intenzione artistica’… ancora di più, come suggeriscono tante delle opere in mostra al Palazzo delle Esposizioni in questa mostra dedicata al contemporaneo newyorkese (ma il dato geografico finisce per essere quasi un mero pretesto), non è tanto l’artista, quanto ‘l’occhio di chi guarda’: io, artista, vi mostro un oggetto, più o meno ‘trasformato’, poi sta al vostro gusto, alla vostra sensibilità, dargli o meno un maggiore o minore ‘contenuto’ o ‘significato artisitico’.

A voler essere cattivi, si potrebbe affermare che se poi a dargli un ‘contenuto artistico’ è un esimio gallerista che fa in modo che la tua opera non resti nel tuo giardino di casa, ma finisca esposta in una delle maggiore sedi espositive di Roma (città dove, vale a meno la pena ricordarlo, è possibile vedere gratuitamente le opere di Caravaggio, Bernini, Michelangelo e via dicendo), beh allora è anche meglio…

Se si vuole, questa “Empire State” bisogna prenderla come il solito gioco: personalmente mi sono anche divertito, assistendo tra perplessità e qualche momento di stupore a questa serie di ‘opere d’arte’: la sensazione più bella è stata manco a dirlo, quella di incrociare i sorrisi degli altri visitatori o del personale del Palazzo davanti a questi ‘capolavori’: insomma, tutto, ma non chiedetemi di prenderla sul serio, secondo me c’è da diffidare, e molto, di chi davanti a queste opere assume un atteggiamento serioso e corrucciato… maddeche???? Anzi, il consiglio è di portarci i vostri figli, a questa esposizione, che c’è da scommettere, in molti casi si divertiranno moltissimo, davanti a ‘ste cose che a definirle ‘strambe’, forse gli si fa pure un complimento.

Il catalogo delle ‘declinazioni dell’arte contemporanea’ (che più contemporanea non si può, verrebbe da dire, visto che la gran parte degli artisti esposti, è nata dopo la prima metà degli anni ’70), c’è più o meno tutto: dalla pittura ‘colata’ di Ryan Sullivan agli assemblaggi casuali di oggetti di Uri Aran, dalle video installazioni del web artist Tabor Robak alla riflessione ‘storica’ di Julian Schnabel, da un Paperino trasfigurato e inca**atissimo di Joyce Pensato alle scritte sulle lavagne modello punizione scolastica (incipit dei Simpson, per intenderci) di Adrian Piper, dagli oggetti sparsi qua e là di Darren Bader alla ripresa ‘kitsch’ dell’arte antica di Jeff Koontz, dai manichini pseudopornografici (questi magari ai vostri figli evitateglieli) di Bjarne Melgaard al ‘baldacchino ferroviario con con conchiglie applicate’ firmato Keith Emdier che campeggia nel salone centrale, dagli stendardi appesi al soffitto con stampati sopra nomi di italiani celebri (anvedi aò, ce sta pure Balotelli!!) di Renée Green, fino agli oggetti ‘di risulta’ di Virginia Overton (tra cui un’indimenticabile trave di legno con lampadina – accesa – e un’altrettanto memorabile tubatura trovata non si sa dove a Roma sud, ma non era arte newyorkese?,che riempe in diagonale un’intera parete… che diciamocela tutta, arte o no, sempre ‘na tubatura resta)… In tutto questo, si fanno almeno ricordare i dinosauri in vetroresina di Rob Pruitt e soprattutto una sala interamente arredata da Danny McDonald, in quella che tra videoinstallazioni, manichini acconciati come sciamani del terzo millennio e vari altri complementi d’arredo, sembra quasi una cappella per un qualche culto dei secoli prossimi venturi: se non altro, almeno in questo caso va premiato lo sforzo inventivo e creativo… manco comparabile a quello di andare in giro, trovare una tubatura e piazzarla lì (non me ne voglia la signora Overton, però ci penso: magari quel tubo è costato poche centinaia di euro ed è stato montato e smontato da un valente stagnaro e adesso sta in un museo solo perché una tizia ha deciso che doveva diventare un’opera d’arte: fossi lo stagnaro, un pò me girerebbero).

Alla fine ci ragiono e penso: se tutto può essere arte e se l’arte è non tanto nell’atto di chi crea, ma nell’occhio di chi guarda (ribadisco, meglio se un gallerista), ha ancora senso organizzare queste esposizioni? I Musei forse più che il ‘contemporaneo’ dovrebbero testimoniare la storia e l’evoluzione dell’arte: perché alla fine, se chiunque può decidere cosa può essere arte o meno, entrare in Museo e pagare per vedere opere ‘partorite’ nel 2013, ha poco senso, perché se giro per strada io stesso posso ‘impadronirmi’ di qualsiasi cosa e definirla arte…