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SCARSA VENA, POCA ISPIRAZIONE

La mia scarsa frequentazione del blog prosegue… è un periodo in cui, a dirla tutta, non ho molta voglia di scrivere: forse di argomenti ne avrei pure, ma manca proprio la voglia di scrivere.

In parte, certo, dipende dalle mie attuali limitazioni nell’uso di Internet: mollata l’ADSL, mi appoggio alla connessione mobile dei miei, che però ha dei limiti di tempo, per cui una volta esaurite le necessità lavorative, di tempo da dedicare ad altro non ne resta molto… in realtà per certi versi mi sembra di essere tornato a quando non avevo l’ADSL e mi connettevo ad Internet con la ‘pressione’ dei tempi e della spesa telefonica…

Tuttavia, non posso fare a meno di notare che poi alla fine anche così Internet non mi manca: non voglio fare lo snob, sottolineo: lungi da me dire che Internet non serva, ma almeno nel mio caso, notare come alla fine un buon 80 per cento del tempo trascorso nella Rete si riducesse ad attività derubricabili nella categoria ‘fuffa’, è la constatazione di un dato di fatto.

Sebbene con dimensioni molto più ampie, alla fine Internet segue lo stesso schema di tante rivoluzioni tecnologiche degli ultimi trenta – quarant’anni, ovvero: l’uso aumenta con la disponibilità. Pensate ad altri apparecchi:  è con l’avvento del telecomando, per esempio, che si è cominciata a sentire la necessità dello ‘zapping’, del cambiare canale ogni due per tre; l’arrivo del videoregistratore creò la ‘necessità’ di registrare la qualsiasi e accumulare videocassette; il cellulare ha creato il bisogno di comunicare sempre e comunque… con Internet è stata la stessa cosa: non ci troviamo, insomma, di fronte ad uno strumento che risponde ad una necessità precedente; ci troviamo invece di fronte ad un qualcosa che, per così dire, autogenera il bisogno di essere utilizzato.

Avere Internet a disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro, insomma, accresce il bisogno di utilizzarla, ed è chiaro che la maggior parte del suo uso non risponde a reali necessità, ma a fuffa: è più o meno lo stesso principio su cui funzionano i ‘social network’, e se vogliamo anche gli stessi blog: avere a disposizione un qualcosa su cui raccontarsi o raccontare, accresce automaticamente il bisogno di raccontarsi, di dire la propria su tutto, o di aggiornare sempre l’universo mondo su ciò che si sta facendo in un dato momento.

Per certi versi sto parlando della scoperta dell’acqua calda, mi rendo conto, ma sono considerazioni rispetto alle quali un ‘comune’ utente Internet si trova di fronte solo in dati momenti. La soddisfazione, nel mio caso, nasce dall’aver assodato, in questa situazione, la mia capacità di adattamento: rinunciare all’ADSL non ha portato, ad esempio, alla parossistica ricerca di un sostituto immediato, per continuare a stare su Internet come prima; più semplicemente, almeno per il momento, mi sono adeguato a ciò che avevo a disposizione sul momento: non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andare subito alla ricerca di uno smartphone, di un portatile o di una semplice chiavetta Internet per poter continuare a navigare autonomamente; lungi da me rivolgermi ad un altro operatore per ricominciare da capo la trafila.

La mia necessità di utilizzo di Internet si è scontrata con la mia ritrosia ai ‘problemi’: per me la tecnologia deve essere uno strumento che mi dià un’utilità, non che mi crei pensieri e problemi… di mio sono già una persona abbastanza ansiosa, sinceramente la prospettiva di trovarmi di fronte a dei problemi da risolvere pur di navigare su Internet mi repelle, non mi appartiene proprio, la scanso come la peste e mi adeguo a ciò che ho a disposizione… il che non vuol dire che tutto ciò proseguirà in eterno, prima o poi tornerà a farsi sentire la necessità di avere una connessione ‘autonoma’, ma per il momento la repulsione dell’idea di dover affrontare trafile e probabili problemi tecnici (è risaputo che ogni volta che si compra un nuovo apparecchio, prima di poterlo utilizzare c’è sempre un qualche problema da risolvere) è più forte del bisogno di potermi connettere come e quando mi pare, specie considerando tra l’altro che alla fine la stragrande maggioranza del tempo passato su Internet si risolverebbe in attività decisamente futili.

E quindi, niente, si continua così, almeno finché non tornerà la voglia: in fondo ogni tanto, questi momenti fanno pure bene; si torna a rimettere tutto in un’ottica diversa, nel mio caso forse a riportare tutto a dimensioni più congrue.

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TACI!!! L’AMICO TI ASCOLTA…

Ora: a me tutta ‘sta storia delle intercettazioni dell’elite mondiale mi sembra surreale e paradossale, se non un’autentica, enorme, buffonata… Scusate, ma… qual è il mestiere delle spie? Spiare. Cosa usano le spie per spiare? I metodi più avanzati che la tecnologia mette  a disposizione. Dunque? Dove sarebbe la novità? Non vorremmo mica inalberarci perché ‘il cellulare della signora Merkel era intercettato’? Che poi, dire ‘il cellulare della signora Merkel era intercettato’ non vuole dire nulla: a parte che bisogna capire il ‘come’ (le conversazioni, gli sms o semplicemente i numeri chiamanti e chiamati?); ma poi è appena il caso di capire ‘quale’ cellulare: insomma, già le persone ‘normali’ a volte hanno due, magari tre ‘telefonini’, figuriamoci la Cancelliera; e comunque: è cosa abbastanza nota che i personaggi di un certo livello cambino numero di cellulare con una certa frequenza… insomma, non è che la Merkel è una come gli altri, che tiene lo stesso apparecchio e lo stesso numero per anni…  Qualcuno dice: eeeeh, ma gli alleati non si intercettano. E dove sta scritto, scusate? E poi, ‘alleati’… il termine si presta a interpretazioni: Paesi ‘alleati’ in certe situazioni, non lo sono più in altre… pensate solo agli Stati Uniti e la Francia in occasione della guerra in Iraq: alleati per un verso, su fronti diametralmente opposti per l’altro.

Semmai, il problema nasce quando l’NSA, a quanto ci viene detto, intercetta le comunicazioni di milioni di persone comuni, senza manco chiedere il permesso… ma anche qui, a pensarci, viene da chiedere se ci di deve meravigliare… Pensate solo a quello che succede su Internet – se ne parlava qualche giorno fa con un’altra blogger – vi siete mai chiesti perché nella casella mail o sul profilo di FaceBook (per chi ce l’ha) appaiono promozioni che, guarda caso, sembrano fare riferimento alle nostre navigazioni? Perché quando navighiamo, siamo tutti intercettati: ci sono i cosiddetti ‘cookies’, che permettono a certi siti di monitorare le nostre abitudini di navigazione quando siamo connessi; FaceBook monitora costantemente le nostre attività, e ci propone banner pubblicitari ad hoc.

Allarghiamo ulteriormente il discorso: siamo lontani da un computer? Nessun problema, se abbiamo un cellulare appresso, i nostri spostamenti sono rilevati tramite GPS; le telecamere ‘di sicurezza’ che sono disseminate ovunque ci seguono ugualmente passo – passo (ogni tanto guardatevi NCIS, per capire…).  Siamo tutti intercettati, sempre: l’evoluzione tecnologica – purtroppo aggiungo – ha portato con sé la quasi totale sparizione del concetto di ‘diritto alla privatezza’; ora, mi dico che se c’è qualcuno che è ‘giusto’ intercettare, dal punto di vista dei servizi segreti, sono proprio i leader politici, non certo il cittadino comune…

Non capisco poi come proprio in Italia si dedichi tanto spazio alla questione: ci siamo già dimenticati che in Italia le conversazioni private, fino ad entrare in camera da letto,  di un Presidente del Consiglio non solo sono state intercettate, ma sono inopinatamente finite sulle prime pagine dei giornali, o nei programmi di prima serata? Alla domanda: “ma a noi di quello che si dicevano Berlusconi e Stefania D’Addario, che ca**o ce ne doveva fregare? ” Santoro, Scalfari & co. non hanno ancora risposto (ieri Scalfaro stava da Fazio… chissà se a Fazio gli è mai passato per la testa di fargli quella domanda).

Qualcuno – un Presidente americano, credo – una volta disse più o meno che un popolo che in virtù della propria ‘sicurezza’ è disposto a rinunciare alla propria libertà è un popolo che si merita di finire in schiavitù… negli ultimi dieci – quindici anni ci è stato detto in tutte le salse che alla libertà di tenerci per noi le nostre conversazioni possiamo – e dobbiamo – volentieri rinunciare, se è il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza. Dopo l’11 settembre, col cosiddetto Patriot Act, l’amministrazione Bush ha deciso che per motivi di sicurezza era lecito ficcanasare nelle mail di chiunque; l’amministrazione Obama, pur apportando qualche modifica, ha mantenuto volentieri il sistema di rilevamento. Adesso improvvisamente, tutto questo non va più bene e questo attenzione, non perché intercettare il privato non vada bene, ma perché la NSA doveva ‘chiedere il permesso’: ovvero, intercettare le conversazioni di milioni di persone è giusto, ma solo se Hollande, Merkel o Letta danno il permesso: attenzione, non il cittadino comune francese, tedesco o italiano, ma i loro leader politici… scusate, ma dove sta scritto che un Presidente del Consiglio possa disporre liberamente in questo modo delle comunicazione private altrui, per poi inca**arsi, se ad essere intercettato è proprio lui? No, dico, ma ci rendiamo conto della demenzialità del principio? Siccome io sto all’Eliseo o a Palazzo Chigi, per me non vale lo stesso diritto alla privatezza dei comuni cittadini????

E poi ribadisco, il mestiere delle spie è spiare, da sempre, e probabilmente le conversazioni della signora Merkel hanno forse qualche rilevanza in più, che non le mail di un anonimo cittadino bavarese… e poi scusate, ma ve l’immaginate la NSA che chiede il permesso: scusa, ti dispiace se ti spio? Boh, a me sembra un circo; forse c’è solo il timore che le opinioni pubbliche mondiali comprendano improvvisamente la dimensione del fenomeno e ci si mette al riparo… in tutti i casi, alla base c’è la guerra per il possesso dei ‘dati sensibili’ delle persone, che già oggi genera un giro d’affari multimiliardario ed è uno dei business del presente e del futuro.

E’ DEL TUTTO EVIDENTE CHE HO BISOGNO DI UNA PAUSA

Come ogni volta – fortunatamente, rara – in cui resto senza connessione, questi giorni sono stati un misto di malumore  e paranoia. Il malumore, dettato dal ‘non poter fare quello che devo fare’, a cominciare ovviamente dal lavoro… accompagnato da una bella dose di paranoia: non starò a spiegare i perché e i percome, ma stavolta è scattato in me il pensiero che per qualche cavolo di motivo mi avessero bloccato l’accesso a Internet… Il ‘rasoio di Occam’ non fa per me: se succede qualcosa, non pensare alla soluzione più semplice, ma a quella che causa più paranoie… In tutti i casi, ho la netta sensazione di aver bisogno di una pausa, in qualche modo; se c’è una cosa che ho capito, in questi giorni, è che la ‘Rete’ ha assunto un ruolo fin troppo ‘assorbente’ nella mia vita; non dirò ‘totalizzante’, perché non corrisponde a verità, ma mi sono reso conto che nel corso degli anni tutto è diventato troppo, troppo ‘meccanico’, ‘automatico’: a prescindere dal lavoro che, ammetto, non mi prende poi così tanto tempo, c’è tutta una serie di ‘attività collaterali’, che svolgo con una cadenza fin troppo regolare, programmata: la consultazione dei blog che seguo, l’aggiornamento del mio di blog, il tempo, troppo, a questo punto, speso per stare appresso ad aggiornamenti e condivisioni varie su Facebook. Guardandolo dal di fuori, con la ‘giusta distanza’, l’impressione non è stata delle più positive: mi sono reso conto che, in una certa misura, tutto questo per quanto mi riguarda ha assunto delle caratteristiche ai confini dell’alienazione, e forse pure oltre, quei confini…  In questi giorni sono stato costretto, giocoforza, a rompere una ‘routine’ che, mi sono reso conto, aveva assunto un livello di abitudinarietà, di ‘automaticità’, preoccupante. Intendiamoci, al mondo c’è di molto peggio, in fondo qualsiasi lavoro quotidiano ha i suoi livelli di ‘ripetitività’, ma nel mio caso mi sono reso conto che tutto questo non è sano… Per dirne una, ieri mattina è stata la prima volta da anni che la domenica mattina non ho acceso il computer e me ne sono andato a gironzolare tra le bancarelle di Porta Portese… A prescindere dalle necessità lavorative, ho la netta sensazione di aver bisogno di rendere la Rete qualcosa di un pò più ‘casuale’ e meno ‘programmato’. Ho bisogno di una pausa, forse in una certa misura di tenermene un pò più distante, di usarla come uno strumento di svago, divertimento, ‘cazzeggio’, ma di rendere tutto questo meno  ‘regolato’, meno auto-imposto. Ho bisogno insomma, di raggiungere un livello tale che la prossima volta che mi capiterà di restare senza ‘Rete’, io possa reagire con un fondamentale ‘stic***i’ e non con un misto di paranoia e di rabbia contro me stesso per il fatto di essere diventato così vincolato e diciamocela tutta, dipendente da Internet;  e in fondo ho un pò anche il timore di non riuscirci, il timore che adesso, dopo praticamente cinque giorni di ‘esilio’, tutto rapidamente torni alla normalità, di ricadere nella solita routine fatta di aggiornamenti regolari del mio blog, di consultazioni regolari dei miei blog preferiti, di accessi quotidiani e aggiornamenti di Facebook… perché ovviamente tutto questo è in buona parte auto-imposto, ma è anche ‘imposto dall’esterno’: in questi giorni ho fatto caso a come tutto giri ormai attorno a Internet: in televisione uno spot su tre ha a che fare col ‘meraviglioso mondo dell’essere connessi sempre e ovunque’; le reti all-news fanno continuamente riferimento a ciò che scorre nella Rete, qualsiasi programma radiofonico propone il suo profilo FB per l’interazione con gli ascoltatori, le dichiarazioni dei politici ormai arrivano puntualmente tramite Twitter… l’impressione è che si stia imponendo un modello secondo il quale non si può vivere senza Internet e se non sei in Rete non fai parte dell’umanità… da bastian contrario convinto, mi viene la forte tentazione di mandare tutto a quel Paese per partito preso, ma mi rendo conto anche io che è abbastanza impossibile, anche per il solo fatto che lo strumento principale di comunicazione al giorno d’oggi è la casella e-mail…  Sia come sia, in questi giorni ho avuto la pesante sensazione, provata anche altre volte, che il mio rapporto con la Rete non sia propriamente ‘sano’, e quindi ho la netta impressione di dover un pò modificare l’atteggiamento…

SPLINDER HA CHIUSO. W I BLOG

Quasi quasi ieri avevo pensato a uno scherzo, quanto aprendo la pagina di Splinder, tutto era uguale ai giorni scorsi; poi prima ho riprovato, e in effetti Splinder non esiste più. Certo un pò dispiace: io ho deciso fin da subito di non imbarcarmi nel ginepraio del trasferimento del blog altrove, troppo complicato, troppo tempo… e poi per cosa? Insomma, non sono certo una ‘blogstar’, e dubito che a qualcuno che passasse sul mio blog interesserebbe andare a leggere post risalenti a sei anni fa. Piuttosto, ho pensato magari in futuro di ripubblicare qualche recensione, di film, libri, fumetti: la stragrande maggioranza dei post del mio vecchio blog li ho salvati man mano che li scrivevo. Casi personali a parte, mi chiedo però se non si sia esagerato, coi ‘peana’ su Splinder: in giro ho addirittura letto accorati ringraziamenti… In realtà, poi a ben vedere dovrebbero essere quelli di Splinder, a ringraziarci, visto e considerato che siamo noi ad aver ‘riempito’ quel portale di contenuti e che con tali contenuti loro ci hanno fatto pure i soldi… se poi improvvisamente qualcuno ha deciso che loghi, suonerie  e quant’altro sono più redditizi, affari loro: è un pleonasmo notare che chi aveva voglia di continuare a scrivere ha preso armi e bagagli andandosene altrove, qui piuttosto che su altre piattaforme, comunicando magari il cambiamento ai frequentatori più assidui e raccogliendo i ‘nuovi indirizzi’ dei blog più letti. Fortunatamente, avere un blog è fatto che prescinde dalla piattaforma: se un portale chiude, si cambia e si riescono oltretutto a mantenere i contatti, anche questo a prescindere dalla piattaforma di riferimento. Sostanzialmente, quindi: Splinder ha chiuso? Esticavoli!! W i blog!