Archive for giugno 2013

LOUISE NEVELSON

MUSEO FONDAZIONE ROMA – PALAZZO SCIARRA

FINO AL 21 LUGLIO. I GIORNI 6 e 7 LUGLIO INGRESSO GRATUITO

Poco conosciuta dal grande pubblico di casa nostra, Louise Nevelson è uno dei ‘grandi nomi’ dell’arte della seconda metà del XX secolo; uno status cui è assurta dopo una vicenda umana e artistica non sempre facile. Nata in Russia, ma trasferitasi giovanissima assieme a tutta la famiglia negli Stati Uniti, fino agli anni ’50 Louise Nevelson ha vissuto gli stessi problemi di tutte le donne artiste della sua generazione, costrette a farsi largo in un mondo tipicamente maschile e maschilista; solo nella seconda parte del secolo, con l’evoluzione dei costumi e il riconoscimento a livello globale della sua opera, l’artista è riuscita a superare certi steccati, raggiungendo anche una certa popolarità nella madrepatria, grazie alle sue amicizie nel mondo dello spettacolo e della politica che ne hanno fatto un volto conosciuto anche presso i ‘non addetti ai lavori’.

La mostra in corso (ancora per poche settimane), presso la Fondazione Roma, in quel di Palazzo Sciarra (percorrendo via del Corso, poco prima di Galleria Colonna per chi viene da Piazza Venezia) rappresenta dunque un’occasione più unica che rara per conoscere l’opera di una delle grandi voci artistiche del secolo scorso. Tuttavia, in questa ancor più che in altre occasioni del genere è d’obbligo sottolineare l’avvertenza tipica di questo tipo di mostre: non sperate di trovarvi di fronte ad opere ‘intellegibili’. Louise Nevelson riprende da un lato la lezione cubista e dell’altro quella dada-surrealista del riutilizzo di materiali e oggetti di uso comune in altro contesto: la sua opera si è perlopiù snodata attraverso assemblaggi in legno, composti di parti di oggetti di uso comune montati su pannelli e dipinti nella stragrande maggioranza dei casi in nero.

L’esposizione di Palazzo Sciarra non poteva così che riproporre questo concetto, mostrando una teoria di opere di varie dimensioni: il nero è il colore dominante, ma vi è spazio per qualche opera in bianco, oro o su cui è applicata la tecnica del collage; gli assemblaggi in legno riempono la stragrande maggioranza del percorso espositivo, ma vi è spazio anche per qualche scultura dal sapore ‘ancestrale’ (l’arte precolombiana è stata un’altra grande fonte d’ispirazione per l’artista), un pugno di disegni, un trittico di serigrafie.

Talvolta, le esposizioni di arte contemporanea hanno un ‘quid’ di attrattivo anche per chi non è ‘amante’ del genere: spesso le l’originalità delle ‘trovate’ e delle ‘invenzioni’, l’estro artistico sopperiscono alla sottile perplessità che accompagna costantemente la visione di certe opere; tuttavia, non è proprio questo il caso: anzi, viene da dire che l’esposizione si rivela veramente ‘utile’ soprattutto per chi i più avvezzi al ‘genere’, che quindi possono accettare di buon grado di trovarsi davanti ad una serie di opere attenzione ‘non tutte uguali’, ma che piuttosto usano tutte la medesima tecnica e i medesimi materiali, con l’ulteriore ‘appesantimento’ di un monocromatismo che alla lunga può stancare…

Per chi ha tempo e voglia, può comunque costituire un elemento non indifferente di attrazione il fatto che i prossimo 6 e 7 luglio l’ingresso sarà gratuito: un’opzione vivamente consigliata soprattutto a chi in genere non bazzica filoni artistici di questo tipo.

Pubblicità

IL CINEMA “REALE”

No, non parlerò ‘di cinema’, ma di ‘un cinema’: il cinema “Reale”, appunto… il cinema “Reale” (per i romani: quello che si trova alla fine di viale di Trastevere, per chi va verso il cento, a poca distanza dalla statua del Belli e di Ponte Garibaldi) è uno di quegli esempi di cinema che ormai vanno scomparendo. La crisi delle sale è cosa nota: i cinema modello ‘Luna Park’, o ‘aeroporto’ ormai imperano; resistono magari le piccole sale che mandano ‘film per pochi’ (a Roma, cito in ordine sparso Greenwich, Intrastevere, Nuovo Sacher, Alcazar, Quattro Fontane)… a rischiare, sono ‘le vie di mezzo’, ovvero quei cinema che mandano per lo più ‘blockbuster’, ma che ti offrono solo il film, non ti danno il ristorante, la sala giochi, il bowling, la sala slot e tutti quei c***i che col cinema non c’entrano nulla. Il “Reale” è uno di questi…  Forse (non me ne vogliano gli altri), il mio preferito, proprio per questo suo ‘resistere’ nonostante tutto e tutti. L’altro giorno ci ho visto “L’uomo d’acciaio”. Una bellezza: eravamo quattro gatti, infinite file a disposizione di ciascuno, l’impagabile libertà (oramai sempre più rara) di entrare e poter scegliere di sedersi dove si vuole e attenzione non per l’esiguità del pubblico, ma perché al Reale i posti non sono numerati… E poi, per i nostalgici, una scena che andrebbe ripresa: arriva l’intervallo ed ecco arrivare l’immancabile ‘omino’ con la cassetta dei gelati e del popcorn appesa al collo: MA DOVE LA VEDETE PIU’, STA SCENA??? Il “Reale” è senz’altro ‘vecchio’: mi stupisco che continui a resistere, imperterrito…  è un cinema dove si va per andare al cinema, non per cazzeggiare (che poi volendo usciti da lì basta attraversare la strada ed ecco Trastevere: insomma diciamocela tutta, ma volete mettere uscire da un multisala ed entrare in quei tristissimi locali, e invece farvi una pizza come si deve?).  Un cinema che resiste con i vecchi ritmi, le vecchie liturgie (personalmente non trova nulla di più avvilente che i cinema dove ti dicono: qui è dove ti devi sedere, ma che siamo, su un treno?). Il “Reale” non ha il 3d, non ha l’hd, ha anche uno schermo non enorme, ma vivaddio, è un cinema. Ossia un posto dove si va per vedere i film, con quell’atmosfera ‘casereccia’ (la programmazione come detto è decisamente ‘mainstream’, niente film da ‘Festival del cinema nippocoreano’ o oscure pellicole honduregne) che al giorno d’oggi è sempre più difficile trovare.

CARCERI: DUE O TRE IDEE PER RISOLVERE LA SITUAZIONE

Ciclicamente in Italia si parla della situazione da terzo mondo delle carceri; lo si fa per lo più per due motivi: perché i radicali lanciano referendum e Pannella fa lo sciopero della fame e perché dall’UE arrivano in continuazione condanne sulla questione: ciclicamente si afferma che il problema va risolto (del tema si è occupato a più riprese anche Napolitano, prima di gettare la spugna di fronte all’inettitudine dei partiti), ma poi si propongono misure ‘di facciata’ che il problema non lo risolvono… il fatto è che il tema è poco sentito dai cittadini: la ‘vulgata’ secondo cui ‘in carcere si sta bene, c’hanno pure la tv’ è ancora diffusissima, radicata e dura a morire… e i partiti appresso… In questi giorni si parla pomposamente dell’ennesimo decreto battezzato come ‘svuotacarceri’: poi vai a vedere i dati e ti accorgi che qui non viene svuotato un bel niente, perché si parla più o meno di 4.000 detenuti quando in Italia bisognerebbe diminuire la popolazione carceraria di almeno 20.000 unità. I radicali continuano a proporre l’amnistia, tuttavia ho l’impressione che se prima non mutano i presupposti, l’amnistia serva a poco… i radicali certo hanno ragione da vendere quando dicono che attualmente esiste già un’amnistia ‘mascherata’: quella di chi, grazie alle proprie risorse economiche può permettersi avvocati che rinviano i processi alle calende greche, avvalendosi poi della prescrizione: è insomma il solito discorso della galera dove vanno solo i poveracci. Il problema però secondo me è un altro: poniamo il caso che abbiate lasciato il rubinetto del lavandino aperto e che l’acqua stia debordando. Cosa fate? La logica vuole che prima si chiuda il rubinetto e poi si faccia defluire l’acqua; si può fare ovviamente il contrario, se si riesce  a togliere più acqua di quanta ne esca dal rubinetto, ma ci si mette di più e nel frattempo di acqua se ne sprecano a litri. L’amnistia, l’indulto, vanno benissimo, ma se non si risolvono prima i problemi alla base del sovraffollamento, c’è il rischio che in pochi mesi si torni al punto di partenza, come peraltro è già successo, visto che la percentuale di ‘recidività’ degli ‘indultati’ o ‘amnistiati’ è elevatissima: chi esce, privo magari di una qualsiasi prospettiva, torna presto a delinquere e dunque è destinato a rientrare presto in carcere.

Per conto mio, ci sono due grandi aree di intervento dove agire: la prima, è la revisione delle leggi riguardanti la droga e l’immigrazione clandestina. Sono i due provvedimenti che, a detta di tutti, hanno provocato la crescita fuori controllo del numero dei carcerati; ora, io non conosco benissimo i due provvedimenti, ma ho l’impressione che siano eccessivamente punitivi: il drogato è un malato, e in galera ci dovrebbe andare solo se nuoce al prossimo; se vieni pescato in possesso di droga dovresti andare in comunità (a meno che tu non ne abbia un quantità abnorme, il che significa che spacci e allora dritto in galere); se però sotto l’effetto della droga scippi e rapini o ti metti al volante e investi una persona, allora commetti un reato e vai in galera. Per quanto concerne l’immigrazione clandestina, ancora peggio: perché qui siamo di fronte a dei poveracci che sono solo entrati illegalmente in Italia, magari sono bravissime persone che poi però vengono buttate in galera e ‘dentro’ diventano dei delinquenti; la soluzione? Riformare il sistema dei centri di accoglienza, creando una rete a sé stante che risponda alle esigenze dei clandestini (evitando ovviamente che tali strutture si trasformino in galere a loro volta).

La seconda area di azione è quella della carcerazione preventiva: i dati ci dicono che un’enorme porzione dei carcerati è in galera in attesa di giudizio; una situazione che, è del tutto evidente, è fuori da ogni legalità… Io capisco i famosi tre parametri che conducono alla custodia cautelare (pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove), ma cui siamo proprio ‘oltre’: la stragrande maggioranza dei detenuti in attesa di giudizio potrebbe benissimo trascorrere il periodo di attesa del processo ai domiciliari, evitando di affollare le carceri; in galera ci si deve andare se il reato di cui si è accusati è particolarmente grave (che ne so, mafia, terrorismo, evasione fiscale milionaria), altrimenti la carcerazione preventiva (che a volte si può protrarre per mesi o anni) diventa una sorta di ‘pena scontata ex ante’: e se poi chi ha scontato la carcerazione preventiva viene assolto? Chi glieli ridà i giorni persi? 

Insomma, si proceda su questi due ‘filoni’, si approvino modifiche a queste leggi per creare delle basi solide che evitino il ripetersi del problema alla radice; dopodiché si ‘resetti’ tutto con l’amnistia o l’indulto, ripartendo così da zero; e, approfittando del minore ingolfamento dei penitenziari, si proceda magari a un piano di ristrutturazioni e aperture di nuove strutture: una megalopoli come Roma ha solo due carceri, uno dei quali – Regina Coeli – si trova nel pieno centro cittadino avvia a diventare una sorta di ‘monumento nazionale’: per conto mio andrebbe chiuso e destinato ad altra funzione… 

Non sono un giurista, né un appassionato di diritto, ma queste non mi sembrano soluzioni che richiedano un grande profilo tecnico – giuridico: mi sembra piuttosto che si sia nell’ambito del semplice buon senso… una cosa che sembra essere mancata agli ultimi Ministri della Giustizia e ai partiti che li hanno collocati in quella funzione.

EPURAZIONI

Due parole sulle ‘epurazioni’ del M5S; comincio subito col dire che l’operazione è piaciuta poco anche a me; tuttavia esistono dei regolamenti… il problema di Gambaro non era ‘di aver parlato contro il leader’, o almeno la questione non era quella: la questione è che ‘i panni sporchi si lavano in famiglia’, che il malumore va espresso nelle sedi adatte  e non a favore di taccuino o telecamera… mi pare una regola di ‘galateo’… Oltretutto,  a volerla dire tutta, la brutta abitudine di fare gli ‘amiconi’ nelle riunioni di partito e di sparare  a zero sui giornali o in televisione, è tipica dei partiti di ‘vecchio stampo’…  In diversi,  a partire da Travaglio, hanno fatto peraltro notare che la faccenda delle epurazioni non è nuova, anzi, proprio in questi giorni ne abbiamo avuti un paio di clamorosi esempi: da una parte Maroni che afferma: “chi non è d’accordo con la linea del Partito (ossia, con me), si accomodi fuori”, dall’altra i leader del PD siciliano che hanno intimato al Governatore Crocetta di decidere se stare fuori o dentro il PD; e attenzione, Crocetta non è un semplice parlamentare, ma il Governatore della Regione Sicilia… solo che chissà come mai, ‘sta notizia sui giornali si è letta poco e in tv mi pare se ne sia parlato ancora di meno. Non mi esibirò nella disamina della storia delle epurazioni in Italia,  in questi giorni è stata pienamente snocciolata da altri; mi limiterò solo a osservare un dato: in genere, le ‘epurazioni’ avvengono per volontà unanime di organismi di partito composti da un esiguo numero di persone… spesso poi non sono altro che non il risultato della volontà del ‘capo’ cui nessuno ha il coraggio di dire di no. Ebbene, nel caso del MoVimento 5 Stelle l’espulsione è stata votata da svariate migliaia di persone: poche? Tante? Sicuramente più che un’Assemblea, un Direttori o una Segreteria di partito… aggiungo: quelli che temono che il MoVimento Cinque Stelle sia una formazione fascistoide in cui tutti vanno appresso a Beppe Grillo, devono esserci rimasti proprio male quando si sono accorti che la maggioranza che ha votato l’espulsione della cittadina Gambaro è stata tutt’altro che bulgara, con un buon 35 per cento di elettori che si sono espressi a suo favore. Naturalmente questo è stato subito giudicato come un segno di ‘debolezza  e di frattura’; se invece a favore dell’espulsione avesse votato il 90 per cento, avrebbero tutti detto il MoVimento Cinque Stelle è un partito che ricorda il comunismo in Romania: come la giri, la giri, insomma, l’importante è parlarne male;  ma a questo si comincia ad essere abituati, anzi: comincio a pensare che prima o poi gli elettori si stuferanno di sentire sempre a parlare  a sproposito del MoVimento, e quando si accorgeranno che magari certe proposte vengono respinte dalla ‘supermaggioranza PD-PDL’, allora forse cominceranno a capire perché del MoVimento è necessario sempre  e comunque parlarne male… e questo al netto di problemi che comunque in M5S esistono e vanno risolti.

VARIE ED EVENTUALI SU M5S E PD

1) Che le cose nel MoVimento non stiano andando come preventivato, è indubbio. Il risultato elettorale comunale è stato dipinto dalla stampa (tutta, con poche eccezioni) e dai ‘fini analisti’ (gente del calibro di Folli, Battista, Sorgi, Gruber, insomma ci siamo capiti), come un mezzo fallimento… tuttavia M5S resta il terzo partito in Italia e per conto mio il 15 per cento è un dato molto più vicino a quello ‘fisiologico’ di una formazione politica di questo tipo, rispetto alla valanga del 25 per cento delle politiche. Nonostante questo, le cose non stanno andando benissimo: certo la stampa ci mette del suo, la disinformazione impera, tutto il ‘sistema’ è volto alla distruzione di un MoVimento visto sostanzialmente come ‘estraneo’, non tanto alla ‘democrazia’, quando al ‘sistema’ dei partiti, che a sua volta si rispecchia in quello dell’informazione… la mia impressione è che però il MoVimento tutto questo doveva metterlo in conto, predisponendo le difese necessarie, cosa che non è stata fatta: si è caduti con tutte le scarpe nel ‘trappolone’. Che poi Grillo non potesse pretendere di controllare decine di parlamentari era nell’ordine delle cose; che tra questi ci siano dei ‘para**li’ è altrettanto fisiologico; fare processi sommari, che sanno tanto di comunismo vecchio stampo, di ‘tribunali del popolo’ è però una cretinata… A questo punto, meglio davvero lasciare la parola ai militanti su Internet.

2) Il PD è sempre lo stesso PD: gli basta vincere le elezioni e subito tutti si disinteressano di tutto e ricominciano i giochini di potere personale, miseri, squallidi, patetici e demenziali; mentre Berlusconi si ‘intitola’ i risultati del Governo (a guida PD) e anzi, rilancia certe idee come l osforamento del tetto del debito, il PD è tutto preso dalle proprie beghe di cortile: Epifani da ‘traghettatore’ si sta già trasformando in possibile candidato alla segreteria (il potere ingrossa l’ego), il resto è tutta una lotta tra renziani e bersaniani, con lo ‘smacchiatore’ che cerca di tornare in sella vaneggiando di improbabili alleanze coi ‘cinquestelle dissidenti’ (dei quali beninteso vuole solo i voti, che del loro programma gli frega poco o nulla), mentre gente come D’Alema e Veltroni è tornata a sgomitare per farsi spazio e ‘rampanti’ in età avanzata come Barca non s’è ancora capito cosa vogliano, mentre il Fonzie della Piazza della Signoria sembra vivere un momento di confusione… Il problema del PD non è comunque l’aumento dell’IVA (quello già ci pensa il prode Zanonato a confermarlo a priori): il vero problema è se il segretario del partito possa o meno coincidere col candidato Premier… Complimenti.

P.S. Nel frattempo Ingroia ci ha fatto sapere che finalmente ha deciso cosa fare da grande: abbandona definitivamente la magistratura per darsi anima e corpo al suo nuovo progetto politico: Azione Civile (che fantasia); ora, sapendo che finalmente l’ennesimo magistrato ha scelto definitivamente di andare alla ricerca di uno scranno parlamentare, dormiremo tutti più tranquilli.

LA GRANDE BELLEZZA

Dopo aver raggiunto il successo grazie all’unico libro pubblicato, quarant’anni fa, Jep Gambardella ha vissuto di rendita, sbarcando il lunario con qualche collaborazione giornalistica e decidendo di buttare alle ortiche il talento per diventare invece uno dei protagonisti della ‘movida intellettuale’ romana, quella delle chiassose feste nelle terrazze o delle vuote chiacchiere nei salotti, fatta da gente più o meno priva di qualsiasi capacità… A 65 anni, Gambardella dovrà fare i conti con il tempo che passa, la morte che colpisce anche persone molto più giovani di lui, la vuotezza del mondo di cui ha scelto di essere un protagonista, la necessità, forse, di tornare a coltivare il suo talento.

Non è un film ‘facile’, “La Grande Bellezza”; al contrario, è un film ‘impegnativo’: per la lunghezza (quasi due ore e mezza), il ritmo spezzettato che alterna momenti di accelerazione a fin troppe parentesi di lentezza, per il filo narrativo esile, che collega quella che alla fine si rivela essere una serie di sequenze, aneddoti, microstorie…

Roma è bellissima ( qui mostrata nei panorami più noti e in scorci sconosciuti anche chi la abita) ma questo si sapeva e comunque questo non è un documentario; la gente che la abita spesso è bruttissima: è brutta le gente che abita nelle periferie degradate, perché i luoghi brutti rendono la gente brutta; è brutta spesso anche la gente che abita nel centro storico, dove purtroppo sempre più spesso si accede solo in forza del denaro… ma nemmeno questo ce lo doveva dire Sorrentino, in fondo bastano i ‘fotoservizi’ di Umberto Pizzi o degli altri ‘paparazzi’ che inseguono il ‘bel mondo’… La sterminata galleria di personaggi che ci presenta il regista non appare in fondo nulla di nuovo… anzi viene da dire che il gossip editoriale e quello televisivo spesso e volentieri superano di gran lunga la ‘realtà’ fotografata dal regista.

In un film in cui Sorrentino sembra veramente troppo interessato a far vedere quant’è bravo, in cui il ‘non detto’, l’ellissi, si trasforma spesso in sterile ‘tempo morto’, si fanno ricordare soprattutto i momenti, le situazioni, i personaggi che strappano la risata, assieme ad alcune battute fulminanti: una delle prime, “Proust è il mio autore preferito… anche Ammaniti” fotografa alla perfezione il ‘livello’ culturale di determinati ambienti (e non mancano critiche allo spiritualismo new age, alle performance di arte contemporanea, al clero che vabbè, se parli di Roma prima o poi ci finisci a sbattere contro)… ma tutto questo tuttavia non riesce a ‘salvare’ un film per il quale sono stati evocati paragoni incongrui: piuttosto che “La dolce vita”, “La grande bellezza” ricorda, alla lontana,  “La terrazza di Scola”.

Un film che tra l’altro vissuto sulla personaggio accentratore del protagonista che trova un contraltare nella prestazione accentratrice di un Toni Servillo lasciato fin troppo libero di dare libero sfogo alla propria vérve, col risultato di finire per gigioneggiare davanti alla macchina da presa; lo circonda una messe sterminata di personaggi in piccoli ruoli (c’è perfino un Venditti nel ruolo di sé stesso), trai quali si ritagliano maggiore spazio Carlo Verdone che però, dopo decenni che si dirige da solo viene da dire che il danno è fatto e più di tanto non ci si può aspettare,  e soprattutto una Sabrina Ferilli in un ruolo che si farà ricordare, che in Sorrentino sembra aver trovato un altro regista, oltre a Virzì, capace di tirare fuori il meglio di lei, nel contrasto tra ‘rigogliosità’ esteriore e dramma interiore.

Alla fine, insomma, “La grande bellezza” – e il titolo in fondo è un onesto ‘manifesto programmatico – è un film incentrato sull’estetica, su una ricerca di perfezione stilistica e formale che però alla fine diviene fredda, quasi manieristica: un film sopravvalutato fin dalle prime indiscrezioni, già capolavoro prima della fine delle riprese, del quale si è dovuto parlare bene per forza, a prescindere… se non altro, le riprese della città potrebbero essere utilizzate per un bello spot turistico della ‘città eterna’…

IN SINTESI…

Presidente del Consiglio: PD

Presidente della Regione Lazio: PD

Sindaco di Roma: PD

Presidenti di tutti i 15 Municipi che compongono Roma: PD

SE NON RIUSCITE A FA’ QUALCOSA DI BUONO PER LA CITTA’ STAVOLTA, E’ MEJO CHE V’ANNATE A RIPONE TUTTI QUANTI..

BUON LAVORO

Buon lavoro, di cuore, a Ignazio Marino, nuovo sindaco di Roma… a Lei, come ha già sottolineato nel suo primo discorso, l’onore  e  soprattutto l’onere di far tornare i romani contenti e orgogliosi di abitare a Roma, a prescindere che vivano nel centro storico o nell’estrema periferia… ad aspettarla c’è un lavoro immane, frutto dell’inazione degli ultimi cinque anni e degli errori delle amministrazioni precedenti.  Auguri, ne avrà bisogno… il primo banco di prova saranno i nomi della giunta, spero in sorprese positive ed in una squadra di alto livello, che prescinda dagli equilibri di partito e dai giochi di potere.  Veramente, auguri e la speranza che Lei riesca a riuscire dove in troppi hanno fallito.

I ROMANI SI SONO ROTTI IL C***O DI ESSERE PRESI PER IL C**O

Immagino che nel pomeriggio, in attesa dei risultati definitivi, vagonate di opinionisti (sempre gli stessi) si eserciteranno in ponderose analisi sulla bassa affluenza alle elezioni… che tra l’altro ha stupito pure me: insomma, la ‘scelta secca’ secondo me avrebbe dovuto favorire un maggior afflusso… invece, niente… ci ritroviamo col rischio di un Sindaco di Roma eletto da metà della metà degli aventi diritto: in pratica il 25 per cento della popolazione che sceglie per tutti. La morte della democrazia. Ora, invece di stare  a seguire per ore i perché e i percome, leggetevi il titolo, il motivo sta tutto lì. Sono vent’anni che a Roma cambia poco o nulla: e prima Rutelli, che col Giubileo doveva succedere chissà che; e poi Veltroni, il ‘supersindaco’ con la Festa der Cinema e le periferie degradata e poi Alè, Magno!! coi suoi cinque anni di vuoto cosmico… e beh, a un certo punto i romani si sono pure rotti il ca**o… Io ho votato un pò per dovere, un pò per principio (le motivazioni le trovate un paio di post addietro), ma la convinzione che Marino possa realmente cambiare le cose è scarsina…  e col senno di poi non mi meraviglio. Al netto delle dissertazioni che sentiremo nel pomeriggio, la realtà  è semplice: i romani si sono rotti i co***oni.

AA. VV.: “VOCI PER LA LIBERTA'” (ASSOCIAZIONE CULTURALE VOCI PER LA LIBERTA’)

15° FESTIVAL MUSICALE NAZIONALE DAL VIVO – UNA CANZONE PER AMNESTY

Puntuale come il proverbiale orologio svizzero, ecco anche quest’anno la consueta compilation dedicata all’ultima edizione del Festival Voci per la Libertà –  Una canzone per Amnesty. Fervono i preparativi per l’edizione 2013 (si terrà a nella collaudata location di Rosolina Mare tra il 18 e il 21 luglio prossimi) e nel frattempo arriva il momento del puntuale ‘riassunto’ dell’edizione dello scorso anno. La formula è quella ormai già sperimentata con successo: due brani per ciascuna delle quattro band esordienti, premiate o comunque giunte in finale,  inframezzati dagli inserimenti di guest star già più o meno famose in ambiti più o meno ampi.

Apre le danze Fiorella Mannoia, accompagnata da  Frankie Hi NRG in Non è un film, che ha ricevuto il Premio Amnesty Italia, dedicato allo sfruttamento dell’immigrazione in Italia, chiudono con le lo due proposte i Soci Alla Pari, di Rovigo, band che riporta i toni sgargianti del reggaemuffin, cercando di ampliare la propria proposta, arrivando a sfiorare il patchwork globale.

In mezzo, troviamo un Niccolò Fabi particolarmente ispirato (Una buona idea), l’emergente indie folk Carlot-ta e Gnù Quartet e Quintorigo che hanno invece optato per la rivisitazione a modo loro di brani conosciutissimi (Beautiful Day degli U2 per i primi,  l’hendrixiana Hey Joe per i secondi).

Trai gruppi esordienti, si fanno ricordare i milanesi Portugnol Connection, votati ai colori variegati della patchanka e i Chopas & The Doctor (a loro il Premio della Critica) , portatori di contaminazioni blues con accenti cantautoriali; colpiscono meno i Novadeaf (vincitori del Premio Amnesty Italia Emergenti), che si esprimono in un canonico rock all’insegna di suggestioni indie, folk e di un pizzico di elettronica e gli Anima Caribe (premiati dalla Giuria Popolare), ancora una volta all’insegna del reggae.

Il pasto è come al solito abbondante (i brani peraltro sono disponibili in streaming sul sito di Rolling Stone e il cd viene distribuito gratuitamente presso gli stand organizzati da Amnesty a promozione delle proprie iniziative), tuttavia rispetto al passato si avverte forse l’assenza di un pò di varietà in più, la mancanza di rappresentanti di generi come metal o punk che avevano trovato spazi negli episodi precedenti.