Dick Cheney è un attaccabrighe semialcolizzato espulso dall’Università quando, grazie al ‘pungolo’ di una moglie determinata e ambiziosa, arriverà a percorrere i corridoi di Washington, cominciando una scalata al potere che sembrerà interrompersi solo quando il nostro deciderà di rinunciare alle proprie ambizioni presidenziali per risparmiare la propria figlia omosessuale dal prevedibile massacro mediatico.
Le porte del Potere, ai massimi livelli, si riapriranno inaspettatamente per Cheney nel 2000, quando George W. Bush gli proporrà la vicepresidenza: incarico che verrà accettato, in cambio di un accordo che darà al protagonista mani libere su una serie di settori tutt’altro che secondari (esteri, difesa, energia, etc…); compiti che, nel post 11.9.2001, renderanno Cheney sostanzialmente un Presidente – ombra, con più potere decisionale dello stesso Bush, anche attraverso il posizionamento dei suoi uomini nei gangli principali del potere governativo a discapito di quelli del Presidente.
Adam McKay, che già un paio di anni fa con “La grande scommessa” aveva portato sugli schermi la storia americana recente, raccontando la genesi della crisi finanziaria mondiale della seconda metà dello scorso decennio, si concentra stavolta su una delle figure più controverse degli ultimi decenni e non solo, definito da molti come il Vicepresidente americano più potente della storia.
Al centro, la capacità di Cheney di ‘guardare oltre’, un freddo calcolatore che prima e meglio di altri riesce a individuare ‘opportunità’ perfino nei concitati momenti successivi agli attacchi dell’11 settembre; un uomo che capisce la vera portata del ‘Potere’ quando nel momento in cui si trova davanti a una porta chiusa oltre la quale Nixon e Kissinger stanno decidendo il bombardamento della Cambogia, e che proprio quel potere riuscirà a raggiungere quel potere, sostanzialmente ‘costruendo’ la guerra contro l’Iraq.
A dominare la scena è ovviamente il protagonista, interpretato da un Christian Bale che ‘occupa’ la scena, proprio dal punto di vista ‘fisico’, grazie all’ennesima trasformazione a base di chili messi su per poter calarsi nel ruolo; un’interpretazione che raggiunge il culmine nel finale, in cui Cheney si rivolge direttamente allo spettatore, ribadendo la convinzione in tutto ciò che ha fatto; una scena che ricorda molto da vicino il monologo di Andreotti – Servillo ne “Il Divo”, reminiscenza non casuale, dato che lo stesso McKay ha dichiarato esplicitamente di aver avuto il film di Sorrentino tra le proprie fonti di ispirazione.
La forza di “Vice”, però, risiede in buona parte anche nel manipolo di comprimari che affiancano e sostengono la performance del protagonista: raramente si è visto un gruppo di attori così ‘forte’ in una serie di ruoli di ‘sostegno’: Amy Adams è la volitiva moglie Lynne; Steve Carell, Donald Rumsfeld (Segretario dalla Difesa con Bush Jr, ma la cui carriera, da un certo punto in poi, si è svolta in modo parallelo a quella di Cheney); Sam Rockwell un eccezionale George W. Bush; si segnalano alcuni camei, tra cui quelli di Naomi Watts e Alfred Molina.
“Vice” è un saggio sul Potere, sulla determinazione necessaria per raggiungerlo, sulla freddezza necessaria per gestirlo: è certo un film per chi segue la politica internazionale (dubito che chiedendo alle prime dieci persone incontrate per strada chi sia stato Dick Cheney, sappiano rispondere più di una o due, almeno qui in Italia, ma temo che negli Stati Uniti il dato non sia più elevato di molto), che riporta l’attenzione su fatti avvenuti ormai quasi vent’anni fa (ma le conseguenze della guerra all’Iraq le abbiamo continuate a vedere anche in tempi recenti, con l’avvento dell’Isis, gli attentati in giro per l’Europa, il caos siriano e quant’altro) e che, per chi ha tempo e voglia, invita a riflettere ancora una volta su come dietro ai momenti topici della storia ci siano quasi sempre uomini singoli, con la loro personalità e la loro decisione: lo scopo del potere è null’altro che arrivare ad essere quegli uomini, con buona pace di quei presunti ‘ideali’ di fronte ai quali, all’inizio del film, Rumsfeld / Carell si fa una grassa risata.