Archive for Maggio 2014

MANGARAMA, “ALIENO” (LIBELLULA DISCHI /AUDIOGLOBE)

Ogni disco di esordio, in fondo, ancora prima che un punto di partenza è un punto di arrivo, l’esito di un processo di formazione, di una gavetta, di una prima parte di percorso; il momento in cui tutto forse finisce di essere solo un divertimento e in cui, si capisce di aver fatto sul serio.

“Alieno”, per i quattro ragazzi provenienti dalla provincia di Asti che si sono dati il nome di Mangarama, rappresenta tutto questo: il culmine di una vicenda cominciata nei primi anni 2000, cominciata come per tanti con i brani altrui (in questo caso quelli di Radiohead e Pink Floyd su tutti), passata attraverso un demo, un singolo e finalmente giunta a compimento con il primo full length, autoprodotto.

Come il titolo suggerisce, il file rouge dei nove pezzi presenti è il senso di ‘alterità’, la sensazione di sentirsi ‘fuori posto’: c’è l’ingenuo, pronto a subire le conseguenze del suo essere meno cinico degli altri e la rassegnazione di chi accetta il mondo così com’è, destinato al caos; c’è il pesce rosso che osserva il nostro mondo al di là del vetro, nella sua bolla, che trova una corrispondenza in coloro che vivono come sotto una campana di vetro, calata dall’esterno o autoimposta; c’è la frustrazione  di chi si sente ‘diverso’ quando si ritrova  sconfitto o fallisce nel raggiungimento di un obbiettivo.
In mezzo, c’è spazio per uno sguardo inquieto e disincantato della realtà, tra la caccia improbabili cacce all’uomo e ritratti di venditori di sogni per i quali il prezzo da pagare può essere molto alto…

La band piemontese dà forma sonora a questi concetti con un pop-rock impastato di elettronica, nel quale i riferimenti della band risultano alla fine abbastanza scoperti: evidente soprattutto l’influenza dei Radiohead, quelli magari meno sperimentali, sia in certe parentesi dilatate che nella grana del cantato, spesso all’insegna di una certa malinconia; per il resto, i Mangarama sembrano far riferimento alla classica scena indie-italiana, confezionando un classico disco che cerca l’equilibrio tra brani dall’attitudine più radio-friendly ed episodi all’insegna di qualche tentativo di sperimentazione in più.

Un punto di arrivo o un punto di partenza, che ci mostra una band a tratti ancora troppo legata ai propri punti di riferimento, ma che appare avere ancora margini di miglioramento.

Per chi vuole,  il disco è ascoltabile qui.

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IL VENTENNIO RENZIANO

Ladies & gentlemen, oggi 26.5.2014, prende ufficialmente il via il ventennio renziano: habemus papam, dunque, e a pensarci non poteva che andare così.

Agli italiani pensare non piace: vent’anni di Mussolini, quaranta di Andreotti, altri venti di Berlusconi provano come di fronte alla ‘fatica del ragionamento’ gli italiani preferiscano l’idea del ‘salvatore della patria’, dell’uomo ‘forte’, di quello cui affidare i propri destini, salvo poi prendersela con lui, piuttosto che con loro stessi, se le cose vanno male: tutti antifascisti, nessuno che votasse DC, Berlusconi “chi, io? Mai!!”; Renzi seguirà probabilmente lo stesso copione…

Il PD ai confini del 41 per cento va oltre le più rosee – o nefaste – previsioni, a prescindere da come la si pensi; ma qui il PD c’entra poco: il successo è tutto di Renzi, che ha usato il partito né più né meno che come strumento di ascesa al potere e raggiungimento delle proprie ambizioni personali.

Diciamo che per certi versi è la fine della prima fase, l’ascesa al potere: per Mussolini fu violenta, ma avvallata alla fine dalla maggior parte del popolo, per Andreotti e la DC fu per forza di inerzia,  fondata sul paura per il ‘pericolo’ comunista; per Berlusconi fu sfavillante, la promessa di un ricco di fare ricchi tutti; per Renzi sembra dettata da una sorta di senso di ‘ultima spiaggia’, all’insegna del ‘proviamo pure questo’, potenziata ovviamente dall’iniziativa degli 80 euro.

Ora viene la seconda fase, la gestione del potere: Mussolini vi riuscì con una dittatura, Andreotti puntando sulla voglia di ‘normalità’ degli italiani dopo la guerra, Berlusconi usando il marketing e consolidando un potere fatto di finanza e affari; vedremo quale strada prenderà Renzi. Gli italiani sembrano aver imparato poco dal passato: arriva il ‘salvatore’ e ci si buttano dietro a pesce… c’è da sperare che almeno il loro limite di sopportazione si sia abbassato, che non siano più disposti, come in passato, a dare continue nuove occasioni al loro nuovo idolo, dopo i suoi fallimenti. L’impressione è che comunque Renzi ce lo dovremo tenere per vent’anni; vista la giovane età e i progressi della medicina, forse anche per quaranta.

L’unico lato positivo immediato di tutta questa faccenda è che i famosi ‘mercati’ di fronte in un’Europa in cui più o meno tutti i ‘grandi’ hanno difficoltà (la Gran Bretagna con gli antieuropeisti, la Francia con il Front National; perfino la Germania con una Merkel che comincia a mostrare qualche accenno di cedimento), si trovano di fronte ad un’Italia finalmente ‘stabile’: le borse apprezzeranno e i tassi sul debito caleranno, liberando risorse: starà a Renzi cogliere l’occasione, fondando magari il proprio successo su risultati effettivi; c’è da augurarselo per tutti, anche se per la maggior parte degli italiani questo 2014 non porterà benefici degni di nota, anzi per molti si risolverà nel consueto aumento delle tasse cui ormai siamo abituati da anni.

Per il resto, il risultato europeo è una delusione: il PPE per l’ennesima volta primo partito è la dimostrazione che i cittadini europei non hanno capito nulla delle ragioni della crisi; gli unici forse ad aver mostrato un filo di raziocinio sono i greci, i francesi e i britannici, seguiti dagli spagnoli e dai danesi; l’avanzamento delle forze portatrici del cambiamento c’è stato, ma non  tale da depotenziare lo strapotere di PPE, PSE ed ALDE; c’è almeno da sperare che comunque il segnale sia stato colto e che nel prossimo quinquennio siano portate avanti politiche un filo meno ottuse; difficile comunque, pensando che a questo punto la Commissione potrebbe essere guidata dal conservatore Junker o da Shultz, che per quanto socialista, sempre tedesco è, con tutto quello che ciò comporta.

All’appello manca proprio l’Italia, dove purtroppo il fascino dell’uomo forte ha spento, o comunque affievolito, il vento del cambiamento: M5S cede, pagando gli errori ‘di gioventù’ e di inesperienza del primo anno di Parlamento, cui va aggiunto il linciaggio mediatico subito dal MoVimento; l’impressione è che il risultato sarebbe stato anche peggiore senza la campagna elettorale. Peggio gli altri partiti distanti dai ‘blocchi’ europei tradizionali: fuori dal Parlamento UE Fratelli d’Italia, mentre la Lista Tsipras grida immotivatamente al miracolo con un misero 4 per cento e spicci; si salva giusto la Lega, che pare aver ritrovato il feeling smarrito con il tessuto locale.

Tornando ad M5S, molti voti tornano agli ‘ovili’ di riferimento, si chiamino essi ‘sinistra’ o Lega; altri, delusi, cedono alle lusinghe di Renzi; alla fine forse, questo 21 per cento rappresenta un dato più veritiero, molto più vicino allo zoccolo duro del MoVimento; inutile comunque cercare motivi di soddisfazione: M5S ha perso e adesso, ancora di più che dopo il risultato dello scorso anno, dovrà dimostrare di che pasta è fatto e soprattutto se vuole veramente assumersi per gli anni a venire il peso di essere l’unica opposizione di peso allo strapotere renziano; altrimenti, temo che tutto finirà in occasione delle prossime elezioni (più vicine di quanto si creda), finendo per essere stato solo un bel sogno.

CESARE MALFATTI, “UNA MIA DISTRAZIONE +2”, (ADESIVADISCOGRAFICA)

Quello di Cesare Malfatti è nome ben conosciuti a chi frequenta abitualmente i sentieri della musica indipendente italiana: uno che ha militato negli Afterhours e che ha contribuito alla nascita dei La Crus, in un’attività proseguita con un fiume di collaborazioni, progetti produzioni, che forse non poteva far altro che sfociare nella carriera solista, giunta al secondo capitolo.

“Una mia distrazione”, come il precedente veniva inizialmente pubblicata con una spiccata attitudine ‘do it yourself’, con un packaging fatto a mano e copie inviate per posta… ma stavolta il riscontro ottenuto ha convinto l’autore a provare la via della distribuzione ufficiale, aggiungendo peraltro due brani al lotto (da qui il ‘+2’).

Ottima idea, quella di tentare la strada di un più ampio pubblico, perché il disco merita: volendo, siamo dalle parti del cantautorato / pop / indie / di classe, marchio di fabbrica dei La Crus; ma qui tutto è sviluppato in maniera diversa, si potrebbe quasi dire sofisticata. Convince la confezione sonora: un elegante mix spesso inclinato verso sonorità jazz, in cui trova comunque spazio il retaggio indie-rock dell’autore e la lezione della migliore tradizione cantautorale italiana, con un pizzico di bossanova.

Un disco che parte dal dialogo costante tra la voce di Malfatti e il piano di Antonio Zambrini, cui si aggiungono la chitarra suonata dallo stesso vantante e la sezione ritmica formata da una batteria delicata (Riccardo Frisari), quanto decisa al momento del bisogno cui si accompagna calore diffuso dal contrabbasso (Matteo Zucconi) in un ensemble completato dagli ariosi interventi degli archi (Vincenzo di Silvestro) e dall’occasionale partecipazione della seconda voce di Stefania Giarlotta.

Cesare Malfatti ha dato consistenza sonora agli otto brani firmati da Luca Lezziero e ai tre scritti da Vincenzo Costantino Cinaski: dominano le tematiche sentimentali, ma non solo: spazio alla paternità, ad episodi più raccolti, o semplici stralci di pensiero; l’interpretazione è all’insegna della discrezione, con una vocalità a spesso sottovoce, sospirata, sussurrata, quasi che l’autore sia voluto andare in controtendenza rispetto alla solita abitudine cantautorale che vele la voce svettare e dominare il resto, in maniera spesso invadente: qui l’elemento vocale si mescola a volte quasi impastandosi, col resto dei suoni, finendo per attrarre ancora di più l’attenzione dell’ascoltatore, a cui serve un filo di concentrazione in più del solito, per seguire il filo del discorso vocale del disco.

In un lavoro composto per lo più di ballate e all’insegna di una tranquillità ovattata, ma non priva di sprazzi di colore, Malfatti mostra tutte le capacità affinate in anni di attività.

Per chi vuole, il disco è ascoltabile qui.

CONTRO L’EUROPA PER UNA NUOVA EUROPA

Per una volta, ha ragione Renzi: quello che si giocherà nelle urne domenica è un derby; non però, come dice il Presidente del Consiglio, tra la ‘speranza’ e la ‘rabbia’, ma tra lo status quo e il cambiamento.

E’ sotto gli occhi di tutti che l’Europa così com’è non funziona: quasi tutte le decisioni prese dall’adozione dell’euro in poi sono state sbagliate. L’Europa è già nata male oltre 50 anni fa, fondata più sulle ragioni economiche che su quelle culturali e sociali, ma negli ultimi 15 – 20 anni abbiamo assistito al totale sfacelo.

Un’Europa priva di identità, con istituzioni deboli, in cui quando arriva il momento delle decisioni tutto si riduce a scontri e prove di forza tra Stati; un’Europa che invece di essere costituita da Nazioni ‘prime tra pari’, vive puntualmente all’insegna della ‘legge del più forte’, in base alla quale alcuni Stati si comportano né più né meno che come bulli dalle tendenze anche un filo dittatoriali, pretendendo che tutti si accodino alle proprie convinzioni (il modo in cui la Germania ha letteralmente umiliato la Grecia è stato squallido e miserevole).

Un’Europa che si è data una ‘moneta unica’ in modo surrettizio e frettoloso, senza nulla chiedere ai cittadini, della quale ha beneficiato soprattutto la Germania, senza che ci fossero istituzioni bancarie e finanziarie, normative fiscali (e aggiungiamoci quelle in tema di lavoro) comuni e strutture politiche funzionanti; un’Europa che conta praticamente nulla sullo scacchiere internazionale, procedendo puntualmente in ordine sparso, in cui le singole nazioni tendono a fregarsi a vicenda (come nel caso libico) e comunque priva dei più elementari principi di solidarietà al proprio interno: quando ci sono benefici, li si deve mettere in comune, se però c’è qualche problema, ogni Stato deve fare da se.

Un’Europa in cui la ‘solidarietà’ viene tirata fuori quasi solo per mettere dei paletti alle produzioni locali, con aberrazioni come le quote latte et similia, aprendo le porte a  prodotti di dubbia provenienza.

Un’Europa in cui, con la scusa della ‘tutela dei risparmiatori’ si sono dati soldi a palate alle banche, risorse delle quali l’economia reale ha visto ben poco, ma che permettono ai banchieri di continuare a giocare al casinò.

Questo è il risultato del grande ‘sogno europeo’ oggi, 2014. La soluzione non è la fine dell’Europa: lo ‘stare insieme’ è ormai motivato da ragioni di mera sopravvivenza di fronte ai ‘colossi’ americano, russo, cinese e più in avanti brasiliano, indiano e chissà quanti altri ancora; è però necessario un cambiamento radicale di prospettiva; perché questo avvenga però, indispensabile non lasciare il volante nelle mani dei responsabili, quelli che ci hanno portato dove siamo ora.

I colpevoli sono naturalmente i due blocchi che da sempre ‘gestiscono’ le questioni europee: il PPE e il PSE, con l’aggiunta dei ‘centristi’di ALDE transfughi dei due gruppi. Loro i colpevoli, loro devono subire le conseguenze; il PPE su tutti, con la sua gestione dell’UE degli ultimi anni, a ruota seguito dal PSE che non può fare certo finta di essere appena sceso da Marte. Non possono dire: ci siamo sbagliati, faremo meglio la prossima volta; qui siamo di fronte a decine di migliaia di cittadini greci mandati sul lastrico, e milioni di disoccupati in giro per l’Europa; se la ragione dello ‘stare insieme’ era proprio quella di rendersi ‘indipendenti da ciò che succedeva oltreoceano, beh, l’obbiettivo è miseramente fallito: la crisi finanziaria USA si è immediatamente trasmessa all’Europa, trasformandosi rapidamente in crisi reale; e adesso hanno il coraggio di venirci a dire che bisogna rivotare per loro?

Votare, o rivotate, quei partiti che a livello nazionale si riconoscono in quei tre gruppi, significa voler continuare ad avere l’Europa che abbiamo avuto fino ad oggi: un Europa fatta di bulli e di vittime predestinate, di solidarietà nulla, di coltellate alle spalle, di conventicole sovranazionali prive di qualsiasi legittimazione democratica (le stesse che hanno imposto Monti alla Presidenza del Consiglio e che applaudirono l’elezione di Letta); se l’Europa così com’è vi va bene, benissimo: continuate a votare PPE, PSE, ALDE (ovvero in Italia: Forza Italia, NCD, PD e centristi assortiti), credete pure che la musica possa cambiare solo con facce diverse, ma con lo stesso background politico e culturale.

Se invece pensate che l’Europa debba cambiare, votate altro; mi spingo a dire che non è manco importante chi votiate: ognuno ha le sue idee; io voterò M5S (ne condivido in buona parte il programma, che contiene misure comprensibili e di buon senso: l’unico programma fondato peraltro su punti precisi, mentre quelli degli altri si fondano su dichiarazioni di intenti piuttosto generiche); da romano non potrei mai votare Lega; Fratelli d’Italia non mi convince perché è fatto di gente che per anni è stata pappa e ciccia con Berlusconi; la Lista Tsipras è troppo basata sulle ‘figurine’ – come scrivevo qualche giorno fa – per attirarmi; ma non c’è dubbio che oggi si debba mandare un segnale. Certo, alle brutte PPE, PSE e ALDE faranno una grossa coalizione, magari con Verhofstadt alla guida della Commissione, è molto probabile, ma è essenziale lanciare un segnale: tale almeno da fargliela fare sotto, a coloro che ci hanno portato dove siamo.

Ci vuole un forte segnale di cambiamento: altrimenti, a votare sempre gli stessi, si darà loro l’impressione di essere nel giusto e le cose continueranno ad andare come sono andate finora: un’Europa con istituzioni finte in cui alla fine continua a valere la legge del più forte e dove gli Stati – bulli si permettono di umiliare i più deboli e dove il benessere di pochi si fonda sulla povertà di tanti.  Cambiare è possibile: certo sarà un percorso lungo, ma da qualche parte bisogna pur cominciare; non votare chi ci ha portato dove siamo ora, sarebbe un buon inizio.

 

PERTEGO’, “STATIONS” (COLLAPSED RECORDS)

Addentrarsi nel mare magnum della musica ‘indipendente’ italiana, quella fuori dai grandi giri delle etichette e dei media, significa anche e soprattutto avere a che fare con incontri casuali, come appunto può capitare allorché due navi incrocino le proprie rotte, salutandosi per non rivedersi più… la vita dura del sottobosco musicale è spesso fatta di band che durano il tempo di un disco o due, abbandonando preso la strada… ma a volte, capita di re-imbattersi in un gruppo conosciuto anni prima, scoprire, con piacere che, toh, hanno proseguito, sono andati avanti…

E’ quello che mi è successo coi Pertegò, la risposta (o almeno, una delle possibili risposte) italiana ai Sigùr Ros: conosciuti a fine 2008, con quello che ai tempi era il loro primo disco ‘importante’; li ritrovo, con piacere, oggi con il loro terzo full length (cui si va aggiunto un EP di 4 tracce), in uscita ad inizio giugno.

La formula è immutata, all’insegna di quel particolare connubio tra dilatazioni che evocano distese algide ed incontaminata e allo stesso tempo il calore trasmesso dalle tessiture chitarristiche, spesso dalla grana new wave . Il trio di Piacenza non fa certo mistero di avere il gruppo islandese come principale fonte di espressione ma, come in occasione del precedente disco, limitarsi solo a questo sarebbe semplicistico; del resto le dilatazioni non sono certo monopolio degli scandinavi, basti solo ricordare certe esperienze più ‘pesanti’ come quella degli Explosions In The Sky o dei Neurosis, padrini del genere…

“Stations”  (nove brani,  per circa un’ora di durata,  con  episodi che sforano i sette, gli otto, anche gli undici minuti)  tuttavia appare vivere anche su altro: la band sembra aver intrapreso un cammino di ulteriore studio dei propri suoni e affinamento del proprio stile; si avverte una certa voglia di sperimentare in più, la necessità di non incasellarsi troppo, la ricerca – nelle dilatazioni ambientali (dietro alle quali si celano naturalmente le lezioni della scuola minimalista, di Brian Eno o di certe sperimentazioni frippiane) – del connubio tra melodie struggenti ed esplosioni,  scarna essenzialità e muri sonori, con un cantato (quando presente) evanescente, all’insegna di un falsetto volto ad una malinconia singhiozzante, sovente con una funzione, da strumento aggiuntivo all’ensemble.

Il nuovo lavoro dei Pertegò è uno di quei dischi che finisce per ‘sfidare’ l’ascoltatore: al primo ascolto se ne sta lì, tranquillo, quasi come fosse musica di sottofondo, ma in seguito comincia a svelare particolari e pieghe nascoste, stimolando la curiosità per il dettaglio. Emotività intensa e cura tecnica per un disco che affascina.

SINISTRA E ‘FIGURINE’

In tempi di spiccata personalizzazione della politica, non dovrebbe stupire né scandalizzare più di tanto che diversi partiti ricorrano a volti più o meno noti del mondo dello spettacolo o della cultura più ampiamente intesa per ottenere qualche voto in più: abitudine peraltro radicata nella politica italiana, basti pensare, andando molto a ritroso nel tempo, ai casi di Gino Paoli, dell’ex calciatore Massimo Mauro, o di Gerry Scotti… Iva Zanicchi non è certo una novità, dunque… C’è però qualcuno che stavolta si è superato: sto parlando della Lista Tsipras, infarcita di personaggi più o meno noti al ‘grande pubblico’, se non ‘di massa’ sicuramente degli elettori di sinistra che leggono Repubblica o L’Unità e che ascoltato Radio3… La lista comprende l’attore Ivano Marescotti, la giornalista e conduttrice radiofonica Loredanna Lipperini, il giornalista Curzio Maltese, l’attore Moni Ovadia, la scrittrice Lorella Zanardo…

Sembra un po’ il segno dei tempi e della confusione: in fondo quella di scegliere ‘facce’ piuttosto che ‘idee’ è una caratteristica tipica della destra: a destra c’è sempre stato principio per cui alla fine la storia la fanno ‘gli uomini’, c’è sempre stata la ricerca spasmodica di un ‘leader’ appresso al quale andare, che indicasse la strada; a sinistra è diverso:  almeno in linea teorica, la sinistra rifiuta l’idea dell’uomo ‘forte’, del ‘salvatore’, per dare la precedenza alle idee. Questo concetto di fondo ha avuto delle notevoli eccezioni: senza voler rivangare Stalin e ‘Il Migliore’ Togliatti, basta guardare a tempi più recenti, con la quasi santificazione di Berlinguer, persona onesta e modesta, che probabilmente avrebbe poco gradito questo continuo essere tirato in ballo ad ogni occasione;  nel corso degli anni questa fissazione per le ‘figurine’ si è sempre più radicata a sinistra… parlo di ‘figurine’ non a caso:  proprio Veltroni quando era direttore dell’Unità fece allegare al giornale le ristampe degli albi dei calciatori della Panini… nella sinistra italiana c’è sempre questa fissazione per i ‘pantheon di riferimento ‘, per i ‘volti’, per le ‘persone’… poi quando la politica si è fatta ancora più ‘personale’ tutto si è accentuato: negli ultimi la sinistra più che inquadrare meglio le proprie idee nel post-comunismo, è stata impegnata alla ricerca dei ‘salvatori della Patria’… forse perché in fondo è più comodo, affidarsi a ‘qualcuno’, per poi – come è puntualmente sempre successo – demolirlo a forza di critiche e di distinguo… è come se a sinistra prima si cercasse il ‘leader di riferimento’ e poi una volta trovatolo, lo si distruggesse, per dimostrare di non essere delle ‘pecore’ come i militanti di destra, che in effetti il leader se lo scelgono e se lo tengono per vent’anni per volta (è successo per Mussolini, per Almirante e poi per Berlusconi, in misura minore per Fini, con tutti i distinguo dei casi).

Questione del leader a parte, la tendenza della sinistra a trovare delle ‘figurine’ da presentare alle elezioni si è sempre più radicata negli ultimi anni, basta solo ricordare l’elenco dei giornalisti finiti sugli scranni del Parlamento italiano o di quello europeo: Santoro, Sassoli, Gruber… Ora ci prova, con Tsipras, Curzio Maltese, editorialista di Repubblica: sarebbe stato interessante chiedere cosa avrebbe pensato di tutto ciò uno come Montanelli, che nel Parlamento non ci sarebbe entrato manco se nominato Senatore a vita. Lo stesso discorso vale per Marescotti, Ovadia, Lipperini: c’è da chiedersi, nel caso fossero eletti, cosa farebbero? Rinuncerebbero, lasciando il passo a chi li segue in lista, o accetterebbero lo scranno? In entrambi i casi, ci sarebbe da obiettare: nel  primo avrebbero semplicemente accettato il ruolo di ‘specchietto per le allodole’; nel secondo, ci sarebbe da tirare in ballo la questione della competenza: ora, questo è un territorio spinoso, in cui qualunque partito o movimento si presenti alle elezioni potrebbe essere criticato (è di questi giorni addirittura la notizia dell’arresto di un candidato del Nuovo Centro Destra); è vero che spesso il Parlamento Europeo – almeno in Italia – è usato per sistemare trombati, amici, e quant’altro; però mi chiedo, veramente e con tutto il rispetto: ma Maltese, Ovadia, Marescotti e Lipperini che ci andrebbero a fare, al Parlamento Europeo? Ognuno certo nel suo campo è valido e competente, ma dubito fortemente che il cinema, il teatro o i libri siano temi di rilevanza europea: le politiche culturali sono spesso non solo nazionali, ma addirittura locali. Marescotti e Ovadia sarebbero probabilmente dei validissimi assessori alla cultura, ma al Parlamento Europeo non ce li vedo granché…

Tra le ‘figurine’ presentate dalla Lista Tsipras l’unica che forse ha le doti per l’incarico è Lorella Zanardo, anche se va detto che le sue battaglie contro l’abuso dell’utilizzo del corpo femminile nei media avrebbero più senso in Italia, dove in effetti è il caso di porsi la questione, piuttosto che su scala europea, dove il problema mi sembra meno pronunciato.

Tutto questo discorso per dire che secondo me, dopo essersi affidata alla ‘figurina’ di Ingroia alle ultime elezioni e aver preso una tranvata colossale, la sinistra italiana continua a perseverare nell’errore, pensando che volti noti possano portare un pugno di voti in più… mi chiedo se invece non sarebbe stato il caso di procedere ad una selezione tra iscritti e militanti, da effettuarsi online o ‘di persona’, selezionando persone dall’elevato profilo tecnico (suppongo che di esperti in questioni comunitarie, con conoscenza delle lingue straniere, se ne trovino anche a sinistra): sarebbe stato comunque un modo di azzerare tutto e ricominciare da capo, dalla base… invece, si ricorre all’album dell figurine. Vabbé, contenti loro.

MEZZAFEMMINA, “UN GIORNO DA LEONE” (CONTRORECORDS / AUDIGLOBE)

Nell’Irpinia a cavallo tra ‘800 e ‘900, il bisnonno di Gianluca Conte si era visto affibbiare il nomignolo di ‘Mezzafemmina’ perché – non sia mai!! – usava aiutare la moglie nelle faccende domestiche… tre generazioni più tardi, quell’appellativo è stato usato come ‘alias’ artistico, in una sorta di rivendicazione delle proprie origini.

Il cammino di Conte-Mezzafemmina, torinese, classe 1982, giunge con “Un giorno da leone” al secondo capitolo sulla lunga distanza, proseguendo la collaborazione avviata nel corso del 2013 con Giorgio Baldi, attuale bassista di Max Gazzé.

Disco all’insegna di un cantautorato dei giorni nostri, pronto a sposarsi ad una certa gamma di soluzioni sonore: da un rock / pop dalle venature indie, scelta predominante, a parentesi rap, passando per la ripresa di un brano della tradizione popolare. Strumentazione ‘canonica’, all’insegna di chitarre elettriche ed acustiche, con piano da una parte e synth ed elettronica assortita a dare un pizzico di profondità e varietà in più.

Dieci brani, che si aprono con una tagliente ironia sulla moda delle ‘giornate’ dedicate a temi che poi ritornano nel dimenticatoio per il resto dell’anno e si chiudono con una riflessione sulla validità della saggezza popolare. Filo conduttore: l’osservazione della realtà, all’insegna di uno sguardo disincantato, talvolta lievemente cinico: l’omologazione delle abitudini e dei gusti, l’alienazione digitale; un ritratto dell’Italia vista dall’estero, come Paese che affossa qualsiasi aspirazione; la vicenda di un giovane che sceglie la strada della criminalità come unica via di ‘riscatto sociale’; a questi, si mescolano brani più intimi, come le riflessioni sui cambiamenti introdotti nel quotidiano da una storia d’amore, o la dedica ad una ragazza sordomuta che esprime tutto con gli occhi, fino alla ballata popolare incentrata sull’ironico destino di una prostituta rimasta incinta.

A leggerla così, “Mezzafemmina”, in quanto a idee e suoni, non offre novità sconvolgenti; eppure, la confezione del disco, all’insegna di sonorità piacevoli ma mai smaccatamente ammiccanti, e la scrittura convincente, lo rendono un disco molto più che apprezzabile.

 

SORRISETTI DI CONDISCENDENZA

Le categorie di persone che non sopporto sono svariate: in realtà considero più o meno da buttare il 90 per cento del genere umano, e comunque c’è una buona parte della popolazione mondiale che se fosse obliterata libererebbe spazio… non è detto che io ne faccia parte o no: fosse per me ovviamente mi salverei, ma non credo stia a me decidere. Vabbé, nichilismo a parte… tra le varie tipologie di persone che ritengo abbastanza insopportabili c’è quella del ‘sorrisetto di condiscendenza’… sono tutte quelle persone che, davanti ad un interlocutore che la pensi diversamente da loro, assumono l’atteggiamento della maestrina con lo scolaro scemo: lo guardano e sfoggiano il sorrisetto di condiscendenza – e di malcelata compassione – di chi, in possesso della verità assoluta, guarda all’altro come un povero idiota che non sa quello che dice… il classico atteggiamento di superiorità spocchiosa di chi preferisce atteggiarsi a detentore delle massime verità sulla vita, l’universo e tutto quanto di fronte ad poveri minus habens, privi di una qualsiasi capacità di discernimento. Ovviamente tale atteggiamento nasconde la mancanza di volontà di confrontarsi, forse per paura di vedere le proprie posizioni, spacciate come dogmi, miseramente sbugiardate.

Ora, fateci caso: il sorrisetto di condiscendenza è espressione largamente diffusa tra le ‘giovani donne rampanti del PD’:  Alessandra Moretti, Pina Picierno, Alessia Mosca, sembrano fatte con lo stampino; tutte uguali, tutte con lo stesso atteggiamento, magari con qualche differenza caratteriale: Picierno ha dei modi più sguaiati, tipici della classica ‘espansività’ meridionale, mentre Alessandra Moretti potrebbe essere la maestra di una scuola di suore del nordest, ed Alessia Mosca ha l’atteggiamento un filo più algido, tipico della ‘proverbiale’ concretezza lombarda… ma alla fine, sembrano uscite tutte dalla stessa scuola, le reazioni finiscono per essere le stesse: gli manca il ditino alzato, che per fortuna ci risparmiano, ma la conclusione è sempre la solita: messe alle strette, ecco che s’innalzano sul piedistallo e sfoderano il sorrisino con cui mettere a tacere l’uditorio scemo di fronte cui, povere malcapitate detentrici della verità assoluta, sono state  messe di fronte.

Avessero ragione, l’atteggiamento sarebbe comunque sbagliato ed irritante, ma poi ad ascoltarle ci si rende che manco quello che dicono rappresenta poi la verità che il loro atteggiamento sembrerebbe sottintendere: insomma, ho sentito Alessandra Moretti a Ballarò citare la Metro C trai risultati delle giunte di sinistra a Roma… ecco, non vorrei dire niente, ma la Metro C a Roma è ben lungi dall’essere conclusa, e chissà se lo sarà mai… almeno, informarsi prima di parlare… però poi che vuoi che sia, tanto alle brutte c’è sempre il sorrisetto di condiscendenza pronto all’uso: qualsiasi cosa io dica, è la verità, e se tu la pensi diversamente sei un poveretto che non sai quello che pensi…

IL TEMPO DEI PAGLIACCI (E QUELLO DEI LADRI)

 “Caro Beppe-gufo, il tempo dei pagliacci è finito” (Matteo Renzi)

Diciamo pure che da una parte ci siano i pagliacci; dall’altra chi c’è? Quelli che rubavano prima, rubano adesso e continueranno a rubare, quelli del ‘Compagno G’ che ancora stava nel PD e delle Coop rosse; i ‘nipotini di Craxi’, che hanno imparato bene la lezione del ‘nonno’, quello che si riempiva la bocca col PSI, “Il partito dei lavoratori e delle gente onesta”, e poi s’è visto com’è andata a finire; trai ladri e i pagliacci, preferisco i secondi.

GODBLESSCOMPUTERS, “VELENO” (FRESH YO! LABEL / WHITE FOREST)

Godblesscomputers, alias Lorenzo Nada: italiano di stanza a Bologna, e trapiantato a Berlino, dove ha avviato la propria carriera artistica, che nel 2012 ha cominciato a dare i primi frutti discografici; tra le sue influenze, Nada cita i ‘classici’ del genere: le produzioni di Warp o Ninja Tune, la musica nera, tra funk, soul e jazz, l’hip hop.

“Veleno”, dunque: velenoso è, in questo caso, il territorio immaginario in cui l’autore si muove, alla ricerca di una sorta di purificazione dai ‘miasmi’ della vita quotidiana.

Uno spunto ideale che trova forma sonora in sette composizioni, in cui predominano climi rarefatti, atmosfere calme e rarefatte, con una vaga indolenza da foresta pluviale… ritmi compassati, con qualche accenno jungle, i campionamentii vocali femminili e molto ‘black’ a dare quel tanto di fascino, di vago ammiccamento; all’opposto, suggestioni orientali, suoni e voci di strada provenienti dall’India e dalla Mongolia, conferiscono al lavoro una sorta di afflato spirituale, la meta conclusiva del viaggio disegnato nel disco.

Un lavoro in cui dominano toni soffusi, luci in penombra pronte a fare spazio a improvvisi lampi di sole, come appunto succede nelle foreste, con un sapore vagamente retrò (vengono in mente certe sonorità che nell’Inghilterra degli anni ’90 aprirono nuove strade all’elettronica), con qualche spunto più ‘complicato’, vaghi accenni a più recenti sperimentazioni.

Spesso ipnotico, a tratti sfuggente, “Veleno” è comunque un lavoro che cerca di coinvolgere l’ascoltatore, con pezzi cercano sempre un buona conciliazione tra un ascolto agevole e la fedeltà ad uno stile che non scade mai nello sfacciato ammiccamento.