Archive for the ‘libri’ Category

RITORNO DAL RE

Che io ricordi, il mio primo contatto con Stephen King avvenne in un’estate dell’85 (o ’86?) allorché in televisione mi imbattei nel trailer di “Brivido” (unica sua regia cinematografica, ben poco memorabile, tra l’altro); all’epoca, avrò avuto 11 o 12 anni e quelle immagini (il ponte stradale che si ribalta, causando un macello, il coltello elettrico che taglia il polso della cuoca nella tavola calda, la mitragliatrice che spara da sola) mi provocarono una scarica di adrenalina non indifferente: non tanto paura (che io ricordi, l’unico vero spavento da ragazzino me lo provocò il video di “Thriller” di Michael Jackson), quanto di sottile ‘esaltazione’: l’idea delle macchine che si ribellano all’uomo col senno di poi sembra piuttosto stupida (anche considerando come venne svolta in quel film), ma ad un ragazzino di 11 anni risulta un mix di divertimento… e di paura (ma si, ammettiamolo). In quel trailer vidi per la prima volta Stephen King: mi risultò un pò strano, un filo inquietante forse, con quel sorriso e lo sguardo un po’ strabico.
In precedenza, a dire il vero, ci fu il trailer di “Shining” (quello degli ascensori e del mare di sangue), ma all’epoca non sapevo chi fosse Kubrick e il collegamento con King era del tutto assente nella presentazione.

Un annetto dopo (non tanti, forse un paio), convinsi i miei a portarmi a vedere “L’occhio del gatto” (strano come i miei primi contatti con Stephen King siano legati alle sue trasposizioni cinematografiche meno riuscite): ricordo distintamente quella serata perché mia madre, già abbastanza irritata dal primo episodio (quello in cui un fumatore incallito ricorre ad una clinica che per togliere il vizio ai nicotinomani ricorre a metodi estremi, e si trova di fronte alla moglie che viene quasi ‘fritta’ su una sorta di griglia elettrica), di fronte al secondo (un marito cornuto costringe l’amante della moglie a percorrere il cornicione esterno di un grattacielo), decise che quel film non era adatto ad un ragazzino di 11 anni, costringendo mio padre e me ad alzarci e andarcene… ricordo che da parte mia ci fu una piazzata allucinante; la verità è che io non ero affatto spaventato da quelle scene: all’epoca avevo già visto cose ben più inquietanti nel cartone animato “Bem – Il mostro umano”…

Non mi dilungherò sulla storia dei miei rapporti con mia madre; vi basti che quello fu un esempio classico: mia madre all’epoca non riusciva a capire che un film del genere per me non risultava per nulla spaventoso; che a 11 anni o giù di lì ero già in grado di separare realtà e finzione e di assistere a certe storie senza venirne sconvolto; di come non solo mia madre non riusciva a capirlo, ma di come in fondo non si sforzasse nemmeno, capirlo (e il problema, col passare degli anni è rimasto quello: la sua incapacità di capire e la sua totale mancanza di volontà di farlo, pena ammettere di essersi sbagliata).

Il primo libro che ho comprato di Stephen King è stato la raccolta “A volte ritornano”; col passare del tempo, molti altri ne sono seguiti… La mia vita di lettore mi ha portato a percorrere in lungo e in largo la letteratura horror, quella fantascientifica, ma anche la narrativa tradizionale: ricordo l’emozione di leggere i racconti di Poe e quelli di Lovecraft, le storie di Clive Barker, i romanzi di Asimov; potrei parlarvi del mio periodo ‘De Carlo’, in cui divorai quasi tutti i suoi libri uno appresso all’altro; di come imparai ad apprezzare, e progressivamente a disiniteressarmi, di Welsh; della mia passione per Nick Hornby e del piacere con cui sfogliavo le pagine di Roddy Doyle o Alain De Bottom; o di quando scoprii Jonathan Coe; del progressivo accumularsi nella mia libreria dei romanzi di Benni, Pennac e della Yoshimoto; di come, leggendo certi libri di Richard Ford o i racconti di Alice Munro o di Carver, abbia capito come si scrive ‘ad un livello superiore’; dei miei periodici ritorni sui classici…
Potrei continuare ad elencare nomi, raccontarvi di tutto questo e tanto altro, dipingere il ritratto abbastanza fedele di un lettore ‘onnivoro’…
Ma Stephen King, è tutto un altro paio di maniche.

Con King è diverso: ci sono tanti libri di cui ho scordato anche la trama (e purtroppo in qualche caso questo è vero anche per il ‘Re’), ma di norma, quando mi trovo davanti un libro di Stephen King, lo riconnetto immediatamente a qualche momento della mia esistenza.

Guardo la copertina di “Cose Preziose” (nell’edizione dell’allora Euroclub, che ora credo non esista più) e ricordo di come rimasi estasiato dal meccanismo ad orologeria costruito in quel romanzo; i tanti suoi libri comprati usati in un chiosco di libri e fumetti in viale Marconi (tutt’oggi esistente); i libri comprati alla Feltrinelli di Largo Argentina, quando ancora non era grande come oggi, e in cui c’era un angolo, al secondo piano, tutto dedicato a King; i libri tascabili pubblicati nelle collane supereconomiche, da edicola, letti magari sulla Metro, andando all’Università; o, qualche anno fa, “Duma Key”, letto sull’autobus nel breve periodo in cui feci il volontario ai Mondiali di Nuoto qui a Roma; libri che evocano estati al mare, o inverni in casa…

Qualche giorno fa, dopo tanto tempo, ho comprato due libri di Stephen King: “Colorado Kid” (già finito di leggere) e “Joyland” (cominciato da qualche giorno), a cui è seguito “Dr. Sleep” (le cui pagine spiegazzate mi ricorderanno la lettura sulle panchine di Villa Pamphilj): e l’impressione è sempre la stessa: una sorta di ‘ritorno a casa’, un emozione che ti prende fin dalle prime righe, quando riconosci lo stile (anche se ‘filtrato’ dai traduttori, dallo ‘storico’ Dobner al più recente Arduino) e ti accorgi che in fondo poco è cambiato: è come quando torni in qualche posto che conosci bene; magari un negozio può avere chiuso e per arrivarci hai dovuto superare uno svincolo che prima non c’era, ma appena giungi lì, capisci che il posto è quello: immagini, odori, impressioni…

In questo i sensi non vengono colpiti ‘direttamente’, ma fin dalle prime righe le sensazioni che vengono evocate sono le stesse: il modo di descrivere climi, luoghi, personaggi, atmosfere… e si è sicuri che, nonostante non si sappia come va a finire (raramente con King le cose finiscono ‘bene’, le sue storie raramente si concludono con “…e vissero tutti felici e contenti”… spesso e volentieri bisogna accontentarsi del “… e vissero…” e nemmeno tutti), si verrà accompagnati in un mondo che si conosce bene. C’è un suo romanzo – non ricordo quale – che comincia con “Sei già stato qui”: in quel caso King si riferiva a Castle Rock, ambientazione di molti suoi romanzi a cavallo tra gli ’80 e i ’90; ecco: questo incipit è quello che potrebbe idealmente aprire ogni romanzo di Stephen King: “sei già stato qui”, stavolta non a Castle Rock, ma nell’universo letterario del “Re”.
Per quanti libri abbia potuto leggere, per quanti libri potrò mai leggere, dubito che aprendone uno di un qualsiasi autore proverò la stessa emozione che provo con un libro di Stephen King: per quanti universi letterari potrò mai girare, il ritorno dal Re è sempre un po’ come un ritorno a casa.

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LIEBSTER AWARD

Come già successo qualche mese addietro, sono stato nominato – stavolta dall’amico di Cose per cui vivere, per il Liebster Award:

vado a rispondere alle dieci domande di questo giro:
1) Libro versus Film: ha senso secondo te questo storico ‘scontro’ che li vede l’uno migliore dell’altro, contrapposti?

Essendo due modalità di racconto molto diverse, direi di no; tuttavia, dovendo scegliere, propenderei per il libro, se non altro perché richiede al lettore un contributo maggiore in termini di immaginazione: insomma, leggendo un libro personaggi ed ambienti per quanto ben descritti, te li devi comunque immaginare, il cinema ti propone tutto già fatto…
2) Qual è la città più cinematografica del mondo?

Sarò di parte, ma da romano dico Roma, e non solo per la Roma conosciuta, ‘turistica’, che peraltro è ancora capace di offrire scorci poco battuti, ma anche per la Roma più periferica e marginale… è una città che raccoglie in sé tanti e tali stili, dalla grandiosità del bello a livelli di bruttura quasi irraggiungibili, che può essere lo scenario di qualsiasi tipo di storia.

 

3) Con quale mezzo si esprime il tuo rapporto prediletto con il cinema: sala? Home video? Streaming/Video-on-demand?

Fondamentalmente sono un ‘animale da sala’: quel momento di sospensione in cui la sala è buia e lo schermo si spegne non potrà mai essere toccato dalla visione di un dvd o di uno streaming; tra l’altro quando si tratta di guardare video sullo schermo di un computer ho una soglia di attenzione molto bassa, quindi per me andare oltre gli spezzoni o i video musicali su Internet è abbastanza difficile.
4) Coppia attore/regista migliore che esista?

Anche se limitata ad un solo episodio, credo che l’accoppiata Nicholson / Kubrick di Shining abbia pochi paragoni.

 

5) Qual è il tuo regista preferito? Cosa gli diresti se lo potessi ipoteticamente incontrare a tu per tu?

Stanley Kubrick; a pensarci, forse gli avrei chiesto se non avesse mai pensato di portare sullo schermo l’Iliade o la Divina Commedia.

 

6) Se la tua vita fosse un film, quale sarebbe?

Così su due piedi, non saprei rispondere: credo che ritrovare la propria vita espressa in un film sia comunque un’enorme fortuna, anche un po’ inquietante; se poi il film in questione fosse di Tarantino, o Dario Argento, o Wes Craven, allora ci sarebbe da preoccuparsi.
7) Qual è quel film di cui ti vergogni un po’ ma che adori?

Non credo abbia molto senso ‘vergognarsi’ dei propri gusti, specie quando si è onnivori e quindi si riescono ad apprezzare per motivi diversi film molto diversi tra loro: amo Shining, ma se mi trovo davanti a Tomas Milian o Alvaro Vitali, non mi tiro indietro 🙂 ciò probabilmente farà innoridire qualcuno, ma come si dice: de gustibus…
8) Un film che odi? Perché?

Odio, mai: magari avrei da eccepire sul fatto che spesso il pubblico corra in massa a vedere quelle che a mio modesto parere sono delle boiate, incoraggiando così gli investimenti in certi filoni a discapito di altri, ma il discorso sarebbe lungo e includerebbe la disamina della formazione dei gusti del pubblico sulla quale sono state scritte tonnellate di libri… E poi, in fondo, i blockbuster a volte servono per finanziare prodotti meno pedestri…
9) Il cinema è un’invenzione senza futuro (cit)?

Il cinema racconta storie ed esisterà fin tanto che qualcuno avrà qualcosa da raccontare e qualcun altro lo vorrà ascoltare: muterà, come stanno mutando la musica e la letteratura; il rischio, forse, è che grazie alla tecnologia, la possibilità di raccontare e raccontarsi attraverso il cinema sia sempre più accessibile a tutti e che ognuno racconti la propria storia, senza ascoltare quelle altrui, come sta succedendo con i libri: con i blog e il self-publishing, tanti si cimentano con la scrittura, ma quanti di questi si dedicano alla lettura?
10) Che mondo e che vita sarebbe senza cinema?

Beh, quando non c’era il cinema, la gente andava a teatro, o ascoltava i radiodrammi alla radio, o leggeva; sarebbe certo un mondo diverso, ma non credo necessariamente peggiore: in fondo il cinema è solo uno dei modi che l’uomo ha inventato per raccontare delle storie: anche se non ci fosse il cinema, non si smetterebbe di raccontare od ascoltare.

E qui finisco; ora, teoricamente a questo punto dovrei ‘invitare’ altri a rispondere, ma lascio aperta la porta: se seguite abitualmente questo blog, e apprezzate, sentitevi liberi di partecipare e rispondere.

 

LIEBSTER AWARD

liebsteraward

L’amica Francesca mi ha gentilmente ‘nominato’ per questo ‘riconoscimento bloggarolo’…

Queste le regole:

– Ringraziare e rilinkare il blogger che ha presentato la candidatura

– Rispondere alle 10 domande poste da chi ci ha nominato;

– Proporre ai candidati 10 domande;

– Nominare altri 10 blog con meno di 200 followers;

– Andare sui singoli blog e comunicare loro la nomina.

 

Vado con le risposte:

1 – Il film che ti ha tarato l’esistenza, nell’adolescenza/infanzia o per l’età che volete.  A dire la verità, non sono uno di quelli la cui vita sia stata ‘sconvolta’ da un film…  a pensarci, il video di “Thriller” di Michael Jackson e la serie a cartoni animati “Bem” sono stati in un certo senso ‘formativi’, perché la mia passione per l’horror probabilmente è nata lì.
2 – Il film “copertina di Linus”: quello che ti ha insegnato qualcosa della vita e sa rassicurarti, magari perché suscita bei ricordi. Direi “Una poltrona per due”: non tanto perché sia rassicurante, ma perché è uno dei pochi film che non mi stancherei mai di vedere.

3 – Il film per cui avresti preso volentieri a sprangate il regista/sceneggiatore/chivipare, magari perché ha rovinato qualcosa cui tenevate, come un libro o… un film originale. E’ molto difficile che un film tratto da un libro mi soddisfi… potrei citare, forse, About a boy, dato che la scelta di Hugh Grant per il protagonista ancora oggi mi sembra del tutto infelice.

4 – Il film che rispecchia il tuo modo di essere.  A questa davvero non saprei cosa rispondere…
5 – Il film che trovi sopravvalutato e che sconsiglieresti – o che mi consiglieresti per farmi vedere un malefico polpettone. Il primo che mi viene in Mente: “The Master” di Paul Thomas Anderson: lodi sperticate e premi a raffica per un film di fronte al quale ho faticato a restare sveglio (e nel mio caso, ce ne vuole…).

6 – Una canzone che ti rappresenta. Credo che Centro di gravità permanente di Battiato ci si avvicini molto.

7 – Personaggio di film/libro che vorresti interpretare/essere. In genere finisco per immedesimarmi molto nelle storie di successi sportivi, come Momenti di Gloria o Fuga per la Vittoria, forse perché quello di vincere una qualsiasi gara è destinato ad essere un sogno….

8 – Cosa stai leggendo in questo periodo? Sto finendo di rileggere l’Iliade.

9 – Il luogo dove vorresti vivere.  Il Medio Evo, non perché gradisca particolarmente il lavoro manuale, ma perché mi dà l’idea di un’epoca più semplici, con problemi più essenziali.
10 – La leggenda metropolitana/leggenda semplice/storiella che infesta la zona dove vivi.  Non è che la media periferia romana offra tutte ‘ste leggende…

 

Ecco le mie domande, rispondete senza pensarci troppo, d’istinto.

1) Tre libri / autori che bisognerebbe leggere almeno una volta nella vita (per me: L’Inferno di Dante, Cujo di Stephen King e Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons);

2) Tre film imperdibili (Shining, Un americano a Roma, Una poltrona per due)

3) Tre dischi da ascoltare a tutti i costi  (Red dei King Crimson, Solitude Standing di Suzanne Vega, la Quinta Sinfonia di Shostakovich) ;

4) Un disco / libro / film che, atteso per tanto tempo, si è rivelato una cocente delusione (tra gli ultimi che mi sono capitati, Iron Man 3);

5) Cinque oggetti dai quali non vi separereste mai (a questa non so rispondere manco io);

6) Cinque alimenti che non dovrebbero mancare mai nel vostro frigo / credenza (un vasetto di Nutella, un pezzo di parmigiano, una confezione di stracchino, una banana, una tavoletta di cioccolata amara);

7) Cartone animato preferito della vostra infanzia, o adolescenza… o anche oggi. (Lupin III)

8) Citare il primo personaggio (realmente esistito) che vi viene in mente alla parola ‘genio’. (Frank  Zappa).

9) Epoca storica nella quale vi sarebbe piaciuto vivere (il Medioevo)

10) Avete la possibilità di tornare indietro nel tempo e cambiare un avvenimento storico: quale scegliete? (Ce ne sono tanti: forse però impedirei al DC9 di Ustica di partire).

 

Le mie nomination vanno (a dire la verità non so se abbiano più o meno di 200 seguaci, non mi andava di controllare)  a:

http://tvandtv.wordpress.com/

http://cosepercuivivere.wordpress.com

http://ilpiaceredegliocchi.wordpress.com/

http://grimoriodellastrega.wordpress.com/

http://fragolemirtilli.iobloggo.com/

http://theselbmann.wordpress.com/

http://lifeintechnicolor3.iobloggo.com/

http://redpoz.wordpress.com/

http://amaliatemperini.wordpress.com/

http://coloratissimo.blogspot.it/

 

2013: DISCHI, LIBRI, MOSTRE E FILM

Sintetico, anche se ritardatario , sunto sullo stato dell’arte delle mie ‘passioni’…

DISCHI:  Zero, o quasi, se escludiamo la manciata di lavori gentilmente inviatimi dalle band che si fanno andar bene anche la recensione su un semplice ‘blog tra tanti’ come il mio… La musica resta una grande passione, ma da un paio d’anni mi dedico praticamente solo al riascolto di ciò che già ho, più che all’acquisto di dischi aggiuntivi, per motivi di prezzo (la coperta è sempre  e comunque corta), ma anche e soprattutto per questioni di spazio: altri cd? Si, mi piacerebbe tanto, però… ‘ndo li metto?

LIBRI: Un anno di ‘magra’, anche sotto questo profilo… ho letto pochi titoli, ma, diciamo, ‘sostanziosi’:  circa 3/4 di uno dei Meridiani dedicati a Calvino (quello che, tra gli altri, contiene “Il sentiero dei nidi di ragno”, i racconti di “Ultimo viene il corvo” e la ‘trilogia degli antenati’), il “Milione di Marco Polo”, il “Decamerone” di Boccaccio,  “Underworld di De Lillo”, 22/ 11 / ’63 di King (del quale ho riletto pure “Mucchio d’Ossa”); riletti “L’incanto del Lotto ’49” di Pynchon e “Nemico, amico, amante” di Alice Munro, in onore del suo Premio Nobel.  Se poi ampliamo al settore fumetti, allora il tutto assume dimensioni pantagrueliche

MOSTRE: Poche, giusto quattro di numero, unica veramente ‘memorabile’, quella sui Cubisti al “Vittoriano”.

FILM: Almeno su questo fronte, posso essere ampiamente soddisfatto: rispetto al ‘contarli sulla punta delle dita’ del 2012, nel 2013 ho trovato tempo e modo di andarmene a vedere un numero più che soddisfacente. Questa la classifica, con tanto di voto:

1) SACRO GRA 8
2) RUSH 7,5
3) DJANGO UNCHAINED 7,5
4) WORLD WAR Z 7,5
5) KICK ASS 2 7,5
6) PACIFIC RIM 7,5
7) BENVENUTO PRESIDENTE 7
8) VIVA LA LIBERTA’ 7
9) L’UOMO D’ACCIAIO 7
10) METALLICA 3D THROUGH THE NEVER 7
11) RE DELLA TERRA SELVAGGIA 7
12) RALPH SPACCATUTTO
13) THOR – THE DARK WORLD 6,5
14) LA GRANDE BELLEZZA 6
15) IRON MAN 3 6
16) WOLVERINE L’IMMORTALE 6
17) THE MASTER 5,5

NOBEL 2013 – LETTERATURA: ALICE MUNRO

Come ho già scritto in altre occasioni, il Nobel per Letteratura è ‘naturalmente’ quello a cui mi sento più vicino… non che mi consideri un ‘letterato’, ma da semplice appassionato ‘del leggere’, l’assegnazione di questo Nobel mi ha sempre incuriosito: figuriamoci quando, come in questa occasione, il Premio va ad una scrittrice della quale ho letto qualcosa, apprezzandola molto, peraltro.

L’assegnazione del Nobel per la Letteratura alla canadese Alice Munro è, da un certo punto di vista, la vittoria dei ‘lettori normali’, basti pensare che le sue opere le si trova in maniera molto agevole, nelle edizioni economiche della Einaudi. Spesso il Nobel viene assegnato a intellettuali dissidenti, provenienti da zone ‘difficili’ del pianeta o, per altro verso, a intellettuali di livello, magari conosciuti da pochi… Non dico che il Nobel dovrebbe essere un premio alla ‘popolarità’, per quanto ho l’impressione che spesso, proprio l’essere ‘popolari’ abbia sbarrato le porte del premio a chi magari l’avrebbe meritato (penso ad esempio ad Isaac Asimov o Ray Bradbury, autentici inventori di un genere e mi chiedo se sarebbe stato così scandaloso premiare Charles Shultz, inventore dei Penauts), tuttavia, quando il Nobel va ad un autore che, insomma, si può definire ‘popolare’, il Premio finisce di avere quell’aura da ‘pochi eletti’ per assurgere veramente  a riconoscimento allo status raggiunto nella letteratura mondiale.

E insomma, il fatto di avere in casa un libro della Munro – esatto, solo uno, mi sono sempre ripromesso di approfondire, ma non ho trovato il tempo – questo riconoscimento mi fa piacere e mi inorgoglisce anche un pò… e per festeggiare in modo anche un pò referenziale, incollo qui sotto la recensione che a suo tempo (fine gennaio 2007) scrissi di

“NEMICO,  AMICO, AMANTE”

Nell’acquisto di un libro (e, in misura minore, di un disco o di un dvd) ho sempre fatto poco caso alle recensioni. Certo, mi capita più spesso di leggere critiche di musica o film, e quando ne compro so già più o meno di cosa si tratta.
Ciò non avviene ad esempio nel caso della musica classica contemporanea, dove in genere mi faccio guidare da titoli o copertine. Lo stesso metodo uso, quasi sempre, per i libri.
Un titolo e una copertina possono essere un fattore determinante, poi certo ci sono le righe di presentazione in quarta di copertina che possono confermare la mia attenzione, o farla cadere di botto.
Per la raccolta “Nemico, Amico, Amante…” della scrittrice canadese Alice Munro è successo così: insomma la copertina, con questa splendida ragazza, fotografata di profilo, appoggiata ad un davanzale ma con lo sguardo verso l’obbiettivo, come se il fotografo l’avesse improvvisamente distolta dai suoi pensieri, mi ha letteralmente fulminato.
Nelle note sul retro apprendo che si tratta di una raccolta di nove racconti di media lunghezza, la formula che preferisco quando devo approcciare un autore che non conosco.
Devo dire col senno di poi che le attese non sono state deluse. Le protagoniste dei racconti della Munro sono tutti invariabilmente  femminili, ma ciò non vuol dire che la Munro sia un autrice ‘per sole donne’, anzi. Forse questi racconti faremmo meglio bene a leggerli soprattutto noi uomini. Non perché ci rivelino  chissà quale realtà sull’universo femminile (ancora ben al di là di essere compreso), ma perché, non so… c’è qualcosa nelle reazioni, nei comportamenti dei personaggi della Munro, che dopo aver letto questi racconti lascia l’impressione di aver capito qualcosa, qualche sottigliezza, qualche elemento di contorno ma che fa comunque parte del ‘quadro generale’. Sarà forse che questi racconti restano sempre ‘in sospeso’: non ci sono mutamenti radicali, solo spostamenti impercettibili, piccoli eventi che non cambiano il quadro generale, ma ci dicono qualcosa delle protagoniste.

In questa mancanza di sconvolgimenti, la dimensione minima di  questi eventi, spesso amori o tradimenti sul punto di sbocciare ma  che non esplodono mai, raccontati nel loro primissimo nascere o  nel loro fugace consumarsi, sta il bello di questi racconti della Munro. E’ come se le sollevasse per un attimo un velo sopra vicende quotidiane fatte di sogni, speranze, aspirazioni, malattia, morte,  o semplicemente vita e basta , fornendoci solo qualche coordinata essenziale per inquadrare la situazione, per poi nuovamente abbassarlo, lasciando al lettore la fantasia di proseguirli.  Ne esce questa piccola selezione, una galleria di vite, a volte  guidate dalla forza di volontà, ma molto più frequentemente dalla
sola forza del ‘Caso’, una serie di donne quasi mai padrone della loro vita, ma quasi in balia degli eventi, dai quali però riescono sempre a trarre il meglio, anche nelle situazioni peggiori.
Ecco, oltre alla concretezza dei personaggi e delle situazioni, è che questi si concludono invariabilmente con un’aura di speranza: non è un’ingenuità sterile, è più una sorta di ‘visione positiva’, come se anche nei momenti più bui e incerti in fondo la vita desse sempre un motivo di ottimismo.
Una bella scoperta, questa Alice Munro: da tempo un libro non mi coinvolgeva così.

STEPHEN KING: 22 /11/ ’63

Cominciamo con qualche domandina, facile facile: fermereste la mano di Gavrilo Princip il 28 giugno 1914? Avreste il coraggio di tornare a Vienna, agli inizi del 1908 ed avere il sangue freddo necessario a togliere di mezzo un anonimo aspirante artista che risponde al nome di Adolf Hitler? Fareste una telefonata anonima al Guglielmo Marconi di Bologna la sera del 27 giugno del 1980 inventandovi qualcosa per ritardare la partenza del volo IH870, quel tanto da permettergli di atterrare tranquillamente al Punta Raisi ? Chiamereste la stazione del capoluogo emiliano il 2 agosto dello stesso anno per avvertire che lì sta per esplodere una bomba? Avreste cercato di incontrare ‘per caso’ il Presidente della DC,  nei primi mesi del 1978, per avvertirlo di un sequestro programmato ai suoi danni?

Interrogativi affascinanti e per molti versi inquietanti… Jake Epping è una persona come tante, che si ritrova davanti alla possibilità di rispondere a questa domanda, materializzatasi in uno strano buco temporale, una porta aperta sul 9 settembre del 1958. Una data anonima, un giorno tra tanti… tuttavia… tuttavia, se si ha la pazienza di aspettare, la capacità di adattamento necessaria a vivere per poco più di cinque anni in un passato dove i televisori sono in bianco e nero e si vedono male, dove i computer, i cellulari e Internet potrebbero ben figurare su un volume dell’Urania, dove tutto, dall’abbigliamento, alle convenzioni sociali, al linguaggio è distante oltre mezzo secolo… se avete la pazienza di vivere in un mondo dove il rock ‘n roll sta ancora lanciando i primi vagiti… se, avete il coraggio di vivere tutto questo (magari aiutati da un annuario dei risultati sportivi che vi permette di scommettere andando abbastanza sul sicuro), allora forse potete anche pensare, che ne so, di impedire a Harvey Lee Oswald di ammazzare il Presidente Kennedy… e magari, col tempo, vivere mezzo secolo fa vi potrebbe pure piacere… potreste addirittura incontrare la donna della vostra vita, per dire.
Solo che, insomma, il Passato è una brutta bestia: non è che se ne sta lì lì buono buono a lasciare che il primo fesso di passaggio cerchi di cambiare la Storia. Nononono, non è così che vanno le cose… il Passato è passato:  granitico e sicuro della propria immutabilità e se qualcuno si agita quel tanto da tentare di cambiarlo, beh, allora il blocco di granito assume le sembianze di un serpente pronto a schizzarti negli occhi il suo veleno e mandarti al creatore in cinque minuti e, attenzione, anche nell’ipotesi che riusciste a portare avanti il compito, non è che detto che i risultati sarebbero quelli sperati…

Ne “La Zona Morta”, uno dei suoi romanzi più celebri, Stephen King ci raccontava di un uomo che, uscito dal coma, scopriva di avere la possibilità di ‘leggere’ il passato e il futuro della persone e della sua ‘missione impossibile’ volta ad impedire l’ascesa al potere di un politico che avrebbe portato il mondo dritto dritto alla Terza Guerra Mondiale; a trent’anni circa di distanza, il ‘Re’ affronta il percorso a ritroso, ponendo il suo protagonista nelle condizioni di cambiare la storia… da qui, parte il solito meccanismo oliato (più o meno) alla perfezione, che offre a King il consueto ‘pretesto’ per parlare d’altro: stavolta, per gettarsi a capofitto negli Stati Uniti di cinquant’anni fa e passa: un mondo più tranquillo ed educato, meno frenetico e per certi versi ‘civile’, certo solo se si parla di bianchi, anglosassoni e protestanti, per gli afroamericani, tutt’altra storia chiaramente… Un mondo in cui vivere può essere molto facile, se si è disposti a rinunciare alle comodità tecnologiche del presente, ma dove anche intrecciare una qualsiasi relazione sentimentale può comportare dei problemi, visti i modi dell’epoca… e dove bisogna stare molto attenti a scommettere – e vincere – perché gli allibratori non sono persone del tutto raccomandabili.

Stephen King si diverte a offrire la sua personale visione dei viaggi del tempo e della storia, erige un monumentale omaggio all’America di quegli anni, ci racconta una complicata storia d’amore e nel ci racconta di un’impresa coraggiosa e disperata, delle buone intenzioni che, come al solito, lastricano la via dell’Inferno. A tratti lo si può trovare un pò dispersivo, un filo lento, ma come al solito King si prende tutto il tempo – e le pagine – per mettere ogni tassello al suo posto, per collocare persone, cose, eventi ognuno al suo posto, prima di alzare il sipario sul finale che come al solito diventa una corsa a perdifiato in cui tutto cambia in continuazione e in cui il lettore resta sospeso in attesa di capire come realmente andranno le cose.

Dopo il plumbeo “The Dome”, dove ci aveva raccontato la genesi di una dittatura, offrendoci un ‘cattivo da antologia’, in 22/11/’63 King ci offre un clima più solare, quasi ‘favolistico’ (pur con le sue ombre) che flirta con la fantascienza classica e sconfina nell’ucronia: in quella che è l’ennesima efficacissima prova di un grande narratore.

2012: I LIBRI CHE HO LETTO (O RILETTO)

Adams, La lunga oscura pausa caffè dell’anima
Austen, Orgoglio e pregiudizio
Austen – Grahame-Smith, Orgoglio e pregiudizio zombie
Auster, Libro delle illusioni
Barbery, L’eleganza del riccio
Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
Attraverso lo specchio
Carver, Vuoi star zitta, per favore?
Collodi, Le avventure di Pinocchio
Dickens, Grandi speranze
Di Majo, Grillo for President
Ford, Rock Springs
Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia
King, Al crepuscolo
The Dome
Notte buia, niente stelle
Thomas, Il giro più pazzo del mondo

QUELLO CHE INVIDIO AGLI AMERICANI

Da un paio di giorni ho ripreso in mano “Rock Springs”, breve raccolta di racconti di Richard Ford. I protagonisti di queste storie, come poi avviene spesso in letteratura, sono sempre colti in situazioni, in momenti particolari delle loro vite, spesso con un biglietto nel portafogli, pronti a partire e a cambiare vita, magari dopo essere stati piantati dal partner, a sua volta partito verso altri lidi. In Ford – ma questa è cosa comune anche ad altri scrittori americani, come ad esempio Carver – questo discorso del ‘prendere e partire’ è sempre affrontato con notevole naturalezza: dopo tutto, una certa attitudine al ‘nomadismo’ è tipica della società americana… Ci si potrebbe dilungare molto in proposito, partendo dal fatto che in fondo gli U.S.A. si sono fondati sull’immigrazione prima e sulle migrazioni interne poi, vedasi tutto il discorso della frontiera.
E’un’attitudine ‘fondante e fondativa’, quella del chiudere capitoli della propria vita, di andarsene e di ricominciare altrove: in tanta letteratura e cinema americano non è raro assistere a queste scene di ‘mercatini’ improvvisati a bordo delle strade in cui chi è in partenza cerca di sbarazzarsi di ciò che non può portarsi appresso, eliminando tutto quanto di inutile ammassato in una fase della propria vita per cominciarne una nuova il più possibile ‘alleggeriti’; così come altra conseguenza è quella della diffusione dei ‘magazzini’, altro topos della letteratura e del cinema statunitense: non si riempe casa di oggetti inutili, si preferisce affittare dei magazzini, che tanto non si sa mai quanto ci si resterà, in quella casa.
Una sorta di ‘attitudine genetica al cambiamento’ che si riflette anche nelle scene cui puntualmente assistiamo quando sugli U.S.A. si abbatte qualche catastrofe naturale: i prefabbricati collassati, ci fanno chiedere: ma dove abitavano? E poi uno ci pensa e si risponde che per loro la ‘casa’ non è un qualcosa di immutabile, non sono le nostre ‘quattro mura’ da abitare a vita, quello di ‘casa’ è un concetto molto più ambio, flessibile, ‘liquido’, si direbbe oggi.
Il discorso del ‘finire’ per cominciare altrove, la ‘terra delle tante possibilità’, dove uno che ‘fallisce’ non viene marchiato a vita, è semplicemente uno ‘che gli è andata male’ e che può sempre cominciare altrove.
Tutto questo lo invidio, agli americani: al confronto noi siamo così attaccati ai luoghi, agli edifici, agli oggetti. C’è meno ‘flessibilità’, meno capacità di vedersi ‘altrove’, meno attitudine al chiudere e riaprire parentesi delle proprie vite, e quando questo succede, si ricomincia puntualmente laddove si era concluso… ovviamente tutto ciò è in parte ‘obbligato’: in Italia l’80 per cento delle famiglie è proprietario della casa dove abito, la casa è spesso considerata un bene-rifugio (lo sa bene Monti, che l’ha tassata all’inverosimile), è tutto un circolo vizioso che nasce dalla mentalità della gente, incapace di vedersi altrove, attaccata pervicacemente ai luoghi di nascita, quando non costretta dalla pura necessità ad emigrare (e anche in quel caso, nasce il ‘mito’ della terra d’origine, mentre negli U.S.A forse ha più forza quello della ‘terra promessa’)…
Eppure, questa attitudine quasi genetica al reinvertarsi, al cambiare aria, è una caratteristica che invidio: il ‘viaggiare leggeri’ lungo la vita, il non farsi tanti problemi a cambiare clima, nazione, usanze… probabilmente è anche ciò che ha portato gli Stati Uniti ad essere la grande Nazione che sono… forse dovremmo prendere esempio…

 

STEPHEN KING: NOTTE BUIA, NIENTE STELLE

Nella breve postilla che, come è solito fare, anche in questo caso Stephen King ha inserito in calce a “Notte buia, niente stelle”, illustrandone la genesi, il ‘Re del brivido’ torna su un concetto che ha più volte espresso in passato: a lui non interessano i ‘giganti’, persone straordinarie che si trovano davanti a eventi straordinari: King trova più interessante prendere i suoi personaggi ‘quotidiani’ e sbatterli di prepotenza in situazioni straordinarie: si tratti di un’adolescente che assieme al primi ciclo si vede recapitare poteri telecinetici, o di una madre intrappolata in macchina assieme al figlio in balia di un Sanbernardo rabbioso, per non parlare della comunità di Castle Rock, scossa spesso e volentieri da eventi soprannaturali, o quella di Chester’s Mill, più di recente trovatasi intrappolata da una cupola invisibile, a King interessa portare all’estremo persone apparentemente normali per svelarne forze, debolezze, miserie e trionfi.
E’ ciò che poi in fondo gli riesce meglio (gli appassionati ricorderanno la Castle Rock di “Cose Prezione”, col suo catalogo di invidie, rancori e odii pronti a esplodere come una pentola a pressione) e che è alla base del suo successo; ed è ciò che succede anche nei quattro lunghi racconti che compongono “Notte buia, niente stelle”, in parte legati dal filo conduttore di avere come protagoniste delle donne.
Donne per le quali King non ha mai smesso di mostrare ammirazione: l’elenco di personaggi femminili apparentemente fragili che improvvisamente trovano risorse nascoste dentro di loro è sterminato.
Alla lista si aggiungono stavolta almeno due personaggi: la scrittrice Tessa che, vittima di una tremenda violenza sessuale, si trasforma in una furia vendicatrice; e Darcy che, in seguito a un banale incidente domestico, scopre che il marito si dedica ad un hobby non propriamente ‘rassicurante’. Un’altra donna è una sorta di ‘convitato’ di pietra del racconto che apre il libro: a differenza delle sue ‘compagne di raccolta’, Arlette non riesce a sfuggire alla sanguinosa e fatale trappola tesagli dal marito in collaborazione con un figlio troppo succube; tuttavia ciò non lo impedirà di avere la sua giusta rivalsa anche dall’aldilà.
Il protagonista del rimanente racconto stringe invece un singolare patto col diavolo, causando la rovina del suo ‘migliore amico’.
Non saranno forse trai racconti più memorabili di King, ma le quattro storie che compongono “Notte buia, niente stelle”, sono come al solit coinvolgenti: forse lasciano un certo retrogusto di insoddisfazione, perché almeno un paio avrebbero offerto l’ottima base per più corposi romanzi, ma insomma, la lettura è come al solito ottima e abbondante.

RADIOROCK.TO

DUE PAROLE SUL NOBEL PER LA LETTERATURA…

‘St’anno c’è toccato ‘er cinese’, non trai più sconosciuti, tra l’altro: andò peggio l’anno scorso, quando alla notizia del Nobel andata al poeta svedese Trasntromer, i più reagirono capendo ‘Tranformers’ e chiedendosi se Megatron si fosse dato alla letteratura…  Ormai si è ampiamente capito che l’Accademia di Svezia non ama gli autori conosciuti: anzi, l’essere sconosciuti sembra essere l’unica, vera ‘conditio sine qua non’ necessaria per entrare nell’empireo della letteratura mondiale: nell’ultimo decennio, gli autori veramente ‘famosi’ che hanno vinto il Nobel sono stati tre: Harold Pinter, Doris Lessing e Mario Vargas Llosa; per tutti e tre poi vale il discorso che sono ‘più conosciuti di nome che letti’ (specie Pinter). Il Nobel insomma, non va d’accordo con le vendite.  Intendiamoci, ci mancherebbe pure che il Nobel venisse assegnato a chi vende di più (dio ci scampi da un Eco, un Camilleri o un Saviano premiati col Nobel, che poi chi li sente più, ce li ritroviamo in tv anche a leggere le previsioni del tempo). Però sarebbe bello, ogni tanto, sentire la notizia dell’assegnazione e reagire con un: “ooooh, che bello, lo conosco, ho letto tanto di lui”. Io per dire a casa ho libri di Alice Munro, Don De Lillo, Murakami e Roth, tutta gente in ‘odore di Nobel’ da anni: mi ritengo una persona di media cultura, non uno che va a cercare autori poco conosciuti (tutti i gli scrittori che ho elencato sono facilmente reperibili in edizione economica in Italia);  eppure guarda caso per quegli autori si parla sempre di Nobel, ma il Nobel non arriva mai. Si preferisce darlo all’esponente della letteratura del Paese poco conosciuto, al dissidente, a quello che ha vissuto sulla propria pelle i totalitarismi… tutto giusto per carità, ma resta l’impressione che l’Accademia di Svezia sia allergica alle vendite, tema di ‘sputtanarsi’ (mi si scusi il termine) premiando uno scrittore di grido (anche se quest’anno sembra sia andata discretamente, perché Mo Yan non è proprio un completo sconosciuto). Figuriamoci poi ampliare il discorso: fino a quando, pochi mesi fa, non è passato a miglior vita, ad esempio, io ho sempre sperato che Ray Bradbury potesse vincere il Nobel: non lo dico perché sono un suo appassionato lettore, ma perché obbiettivamente, la qualità della sua scrittura è enorme (nessuno come lui nell’ultimo mezzo secolo credo abbia saputo valorizzare la forma del racconto breve) e poi è trai pochi  (aggiungiamoci Asimov) che ha contribuito a creare un ‘genere’… ma questo è un altro problema: a Stoccolma alla ‘narrativa di genere’ sono allergici: roba da metropolitana, non va bene; il Nobel deve andare ad autori che si leggono di sera nel silenzio… Mettiamoci l’anima in pace, Stephen King il Nobel non lo vincerà mai… per quanto anche lui come livello di scrittura non sia proprio un ‘signor nessuno’. Lo stesso dicasi per il sempre citato Bob Dylan; non ne parliamo: quello scrive canzoni, per carità… Lo stesso dicasi per il fumetto, una forma letteraria capace di raggiungere vette altissime, ma ostinatamente ignorata dall’Accademia. Eppure, uno come Shulz, che coi suoi Penauts riuscì ad indagare l’animo umano come pochi, non è mai nemmeno stato preso in considerazione. Così, rassegnamoci a dover continuare ad accogliere la notizia della vittoria del Nobel per Letteratura con un bel: ” E CHI CAVOLO E’ QUESTO???”.