È il 1942 quando, in un incidente mai del tutto chiarito, a Buggerru, paesino della costa ovest della Sardegna, un siluro vagante colpisce la banchina del piccolo porto, causando la morte di due bambini; se ne salva un terzo che però porterà per tutta la vita i segni dell’accaduto, sfociando nella follia.
Il ‘Ravot’ del titolo è lui, che Alek Hidell, al secondo Dario Licciardi, partito proprio da quel paesino per intraprendere una carriera da musicista e producer, ha conosciuto direttamente e a cui ha voluto dedicare questo lavoro.
Un concept album di elettronica ‘sperimentale ma non troppo’, che abbraccia una varietà di stili, umori e climi, pur rimanendo sempre sospeso sul filo dell’inquietudine, come se ci fosse sempre qualcosa di oscuro all’orizzonte, anche negli episodi più solari.
I synth la fanno da padrone, con esiti che ondeggiando tra suggestioni dello sperimentalismo anni ’70, momenti di rarefazione e ‘aperture’ che in alcune parentesi, per quanto alla lontana, possono ricordare Vangelis (l’impressione da ‘colonna sonora’ è ricorrente e forse prevedibile, vista la natura di ‘racconto per suoni’ del progetto) in un insieme sonoro in cui ampio spazio hanno i campionamenti, anche vocali.
Si passa da momenti in cui quasi si sfiora il ‘dancefloor’ (anche con quale suggestione africana) a parentesi di più profonda riflessione, e ci si lascia volentieri coinvolgere in questo tentativo di raccontare la vicenda di un ‘sopravvissuto’ e in qualche modo di entrare nel suo mondo interiore, irrimediabilmente sconvolto dalla tragedia.
Primo singolo e video per questa giovane cantante romana, cui qui si affianca la altrettanto giovane attrice e regista Blu Yoshimi (qualcuno la ricorderà, nel ruolo della giovanissima figlia del protagonista di “Caos Calmo”).
Un cantautorato pop autobiografico di gradevole confezione, in cui Sofia (all’anagrafe Baldolini) riporta qualche riferimento dell’elettropop che è stato la sua prima scelta sonora.
Il video è un montaggio di momenti da ‘minimo quotidiano’ dell’artista, alla ricerca di una cifra spontanea e ‘sincera’.
La ‘Paglia nel fuoco’, manco a dirlo, è l’amore, vissuto nelle sue piccole – grandi complicazioni.
I fratelli Verna (separati da 10 anni di età, ma quasi non sembrerebbe), dalla natia Paternò (Catania) hanno già compiuto un discreto percorso, che li ha portati ad esibirsi anche ad Hollywood, oltre che a partecipare a ‘Sanremo Rock’, anche se a dirla tutta, col ‘rock’ sembrano aver veramente a poco a che fare, almeno a giudicare dall’ascolto di questo pezzo.
Accompagnati da Funkyman, (già collaboratore di Fabri Fibra e altri), i Diesis assemblano un pezzo pop destinato evidentemente ai giovanissimi, dominato dall’autotune, con un testo fondato su ‘immagini’ forse un po’ troppo scontate e in cui tutto – dai suoni, all’abbigliamento, alle acconciature – sembra veramente troppo costruito a tavolino, volto a cercare a tutti i costi il riscontro del pubblico di riferimento.
Singolo di debutto per questo trio bolognese, dedito a un efficace r’n’b, in cui domina l’elemento funk, all’insegna di un groove caldo e trascinante.
Il ‘Goblin’ del titolo è quello ci portiamo tutti appresso, un ‘lato’ oscuro che ci fa pendere verso la rabbia, l’irrazionalità, la gelosia: la soluzione, abbastanza prevedibilmente, è quella di cercare di incanalare la propria negatività verso il ‘lato positivo’ della vita. Una parola, certo, ma la musica, specie quando luminosa e solare come in questo caso, può essere d’aiuto.
Adelaide
Nonna Li’
RR Production
Una intensa e delicata dedica, sul filo del sogno e del ricordo, a chi non c’è più: è quella della giovane Adelaide Cuciniello – una manciata di brani all’attivo, già con buoni riscontri, tra cui il premio come Miglior Artista al Festival di Napoli dello scorso anno – alla bisnonna Lidia, una delle tante vittime degli ultimi mesi, in un brano che valica il semplice dato personale per diventare un momento di ricordo di tutti coloro che se ne sono andati.
Il solco è quello della tradizione napoletana, con tanto di mandolino, ma senza mai cadere nella ‘sceneggiata’ e nel ‘folklore’; intensità, ma con modi garbati.
Riccardo Romano, palermitano, classe ’85, ha fin qui ottenuto vari e positivi riscontri, tra i quali il ‘Premio De André’ nel 2016.
Accompagnato da un video girato da lui stesso con lo smartphone tra Palermo e Padova, ‘Coniugi Arnolfini’, vestito di un pop elettronico dai modi sofisticati, si concentra su un catalogo di oggetti che vanno a riempire la nuova casa in cui si abita, che quindi diviene il proverbiale luogo dove trovare un’appartenenza e conservare la propria identità in una realtà inizialmente estranea e dove, naturalmente, vivere i propri affetti.
I ‘Coniugi Arnolfini’ del titolo sono quelli dell’omonimo quadro di Van Eyck, che qui diventano un po’ un simbolo dell’emigrazione, in questo caso dell’adattamento a una nuova realtà… il fatto che l’Arnolfini fosse di nobile stirpe e di professione facesse il banchiere, gli rese probabilmente la vita più facile rispetto a tanti altri, ma questo è probabilmente un dettaglio.
Compositore e polistrumentista attivo da anni attraverso svariate collaborazioni, Fernando Tovo è giunto solo lo scorso anno a pubblicare il proprio primo lavoro,
“Due Isole”, seguito a breve distanza da questo progetto, nato come commento sonoro a uno sceneggiato radiofonico dedicato a Edgar Lee Masters e alla sua “Antologia di Spoon River”, trasmesso dal secondo canale della Radio Svizzera Italiana.
Affiancato da Vincenzo Albini al violino e Gian Pietro Bertocchi a pianoforte, tastiere e fisarmonica, Tovo si destreggia tra chitarra, basso e mandolino: un insieme strumentale che produce 15 brani in larga parte all’insegna di una musica popolare che rimanda all’America rurale, alle ‘orchestrine da saloon’ e certo folk irlandese che ne è alle origini; il violino, prevedibilmente, è una presenza ricorrente, a tratti quasi ingombrante, con modi che talvolta appaiono un po’ troppo ‘di maniera’.
Intrigano forse di più gli episodi che si staccano dal filo conduttore, con certi echi morriconiani o vaghe derive lounge.
Arduo affrontare il tema della depressione e del come uscirne in un breve brano musicale: intento lodevole, risultato un po’ ‘sospeso’.
Relativo è Salvatore Gamardella, un ‘classe 2000’ che ha già una bella ‘vita’ alle spalle: il cantautore napoletano, al momento di stanza a Roma per motivi di studio, ha pubblicato un libro a 16 anni prima di dedicarsi alla musica, con un primo album, “Instabile” pubblicato lo scorso anno.
“Promessa”, come detto, parla di depressione: la sensazione di non sentirsi compresi, la rabbia per i ‘tradimenti’ subiti dai presunti ‘amici’, la tentazione di chiudersi nel proprio mondo; ma anche la reazione, il promettere appunto a sé stessi di non farsi abbattere e anzi di abbattere chiunque ci si pari contro lungo la strada. Il tutto espresso in un trap dai toni dimessi, in cui l’autotune stride nella sua artificiosità.
Resta, come detto, qualche dubbio, se più che di depressione, si tratti di una generica ‘rabbia contro il mondo’ e se veramente per uscirne basti appunto promettere a sé stessi di prendere di petto la vita…
Dopo l’EP “Migliorare in peggio” e vari altri progetti, tra i quali una versione della celeberrima aria “Nessun dorma”, tornano con un nuovo singolo i lucchesi B. K.
Il ‘Freddo’ del titolo è quello che tutti o quasi prima o poi sentono dentro in momenti di particolare solitudine, in cui la presenza degli ‘altri’ finisce per sembrare oppressiva e si tende a costruirsi dei ‘muri’ attorno…
Il quartetto toscano svolge il tema attraverso un rock che appare radicato nei ’90, tra il grunge da un lato e un filo di metal (e di Metallica) dall’altro.
Tuttavia il tutto appare un po’ ‘trattenuto’, il piede si alza dall’acceleratore forse per non sconfinare in territori troppo ‘hard’.
Mercvrio
Ormoni
The Bluestone Rercords
Un pugno di singoli all’attivo per Davide Attili, romano, classe ’91, cui si aggiunge ora questo ‘Ormoni’.
Le complicazioni sentimentali, in particolare le difficoltà a superare relazioni ormai concluse, specie in occasione di incontri casuali con ex, al centro di questo pezzo, che alla fine dà un po’ tutta la colpa agli ormoni, rimpiangendo in qualche misura l’infanzia in cui tutto sembrava più semplice, e non a caso il video è un collage di immagini ‘d’epoca’ del cantautore.
Pop-rock gradevole nella forma anche se abbastanza ‘consueto’.
Disco d’esordio per il giovane cantautore romano Jacopo Sanna.
“Metri e marciapiedi” ne ha percorsi già parecchi, nonostante la giovane età: da Roma ad Amsterdam, passando per Copenhagen e Lussemburgo (anche per motivi di studio, non strettamente connessi alla musica), l’esperienza di “The Voice of Italy” ad aggiungersi a un bagaglio che poi è aumentato di spessore calcando i palchi del nord Europa.
Il primo traguardo sono quindi questi 10 brani, sospesi tra certo cantautorato italiano, più o meno recente (a tratti possono venire in mente Tiziano Ferro o i Negramaro, qualcosa di Mango, alla lontana e con tutte le distinzioni del caso) e il pop venato di elettronica dei Paesi del nord (senza derive eccessive).
L’esito appare tuttavia un po’ incerto: si affastellano pensieri e considerazioni, che spesso sembrano un po’ ‘giustapposti’, mentre il lavoro, specie nella seconda parte, prende una decisa ‘piega sentimentale’, nel contempo appiattendosi un po’.
Si lasciano ricordare ‘Il 24 sera’, dalle tinte vagamente hip hop e la più ritmata ‘Parallelamente’.
Il piano di Emanuele Via e il sax di Danilo Guido per questo intenso strumentale, che accompagna ed è accompagnato dal video curato dal torinese Giorgio Bianco e da Denis Mancuso, calabrese di Acri; proprio le strade del borgo in provincia di Cosenza fanno da sfondo alle note: strade vuote e silenziose, le botteghe degli artigiani, i mestieri che vanno scomparendo. Una riflessione in musica su una ‘Afonia’ che non è solo l’incubo di chi usa la voce per esprimere la propria arte, ma è anche il silenzio che cala sui rumori prodotti da mestieri antichi in via di estinzione o nelle strade dei tanti piccoli borghi progressivamente abbandonati. Il ‘convitato di pietra’ è ovviamente la situazione che stiamo vivendo, in cui il ‘silenzio’ è imposto dalle circorstanze (o magari da normative più o meno ‘miopi’): l’attore che si esprime solo, privo della parola, ma ancora di più l’immagine, per certi versi struggente, di una ballerina che si esibisce in un teatro antico davanti a spalti deserti, valgono più delle mille parole che in questo video cedono il passo alla sola musica.
Ricci & Dylan Saturno e il tuo nome Believe Music / Visory Records
Reduci entrambi da edizioni più o meno recenti di “X-Factor”, Ruggero Ricci e Dylan (Luppi) uniscono le forze per questo brano che riflette sui sentimenti, le relazioni e i modi di viverli. Non solo Saturno, in un brano che tira in ballo il Sole, la Luna, la gravità e i palloni aerospaziali, in una metafora utilizza le dimensioni cosmiche per descrivere le complicazioni dei rapporti tra esseri umani su questo piccolo pianeta. La cifra stilistica, tra reminiscenze soul e r’n’b, è un po’ quella tipica dei ‘talent’, in un filone che ha trovato in Marco Mengoni l’esponente più rappresentativo. Ascolto magari gradevole: il limite forse non è tanto nella scrittura, quanto in una produzione che finisce per dare l’idea di pezzi che siano un po’ fatti con lo ‘stampino’.
Nuovo singolo, il secondo dopo ‘Solo un filtro’, per questo giovane cantautore (lui stesso cerca di dare il giusto peso al termine) di Tempio Pausania (Sassari). Titolo abbastanza indicativo di un brano che invita a vivere la vita con la leggerezza e il ‘brivido’ che precede un bacio, forse a esprimere la necessità di momenti di vera ‘libertà’ in un periodo che per tanti motivi non invita certo alla leggerezza. Brano tipicamente ‘pop’ che non chiede e non pretende nulla più che, appunto, un ascolto leggero e senza troppe ‘disamine’.
Davide Malafede Fotografia The Bluestone Records / Believe Digital
Romano, classe ’92, Davide Malafede esordisce con questo singolo, che parte dal passato, riflette sul presente, esorta a guardare al futuro. Una fotografia un po’ malmessa, ‘ciancicata’ diremmo qui a Roma, magari perché conservata in un portafogli, testimonianza di un passato felice in compagnia degli amici. Si parte da qui, dall’immagine di accompagnamento, per un pezzo che si sofferma sugli anni che passano, sulle difficoltà di una vita che regala poco, specie a chi nasce privo di ‘privilegi’ e deve conquistarsi tutto, sul percorso fatto e su quello ancora da fare. Letta così ci si potrebbe aspettare anche un brano ‘tosto’, ‘incavolato’, invece Malafede sceglie la strada della pacatezza, quasi che superata ogni recriminazione, si prendesse semplicemente atto di tutto: di un passato ‘a ostacoli’, di un presente ancora ‘non stabile’, di un futuro incerto per la maggior parte delle persone, che va comunque affrontato, ognuno a suo modo.
Terza singola uscita per la sedicenne Ninfea, al secolo Asia Strangis, nata a Lamezia Terme, ma cresciuta fin da piccola in Trentino. Il brano nasce come reazione e volontà di raccontare le reazione dei coetanei di Asia a questo difficile periodo, in cui le privazioni del contatto umano e della socialità si fanno sentire soprattutto sui più giovani. Si apre con l’immagine di uno stare “A braccia conserte in una piazza dove tutto è una minaccia” e si chiude con un reiterato “Aiutami, aiutami, aiutami”. La voce è grintosa e ‘di carattere’ anche se inevitabilmente acerba e ancora con qualche accento infantile, il brano è movimentato e orecchiabile, ma tutto questo non nasconde il suo essere, forse e soprattutto, una richiesta di aiuto. L’interlocutore è indefinito, ma alcuni passaggi – “Vorrei possedere i tuoi valori” – suggeriscono qualcuno più ‘maturo’, si parla dei propri rimpianti e di una condizione in cui “Non ci sentiamo mai abbastanza / anche quando poi ci basta / Perché sentirsi così grandi / È un’emozione da giganti”: le classiche ‘emozioni forti’ della gioventù, la crescita e alla fine la necessità (che magari spesso resta inespressa) di avere un sostegno, davanti a un mondo che già per un adolescente è complicato, figuriamoci poi in questa situazione. Restano certo impresse una voce e una verve interpretativa promettenti, ma ancora di più la richiesta d’aiuto che, pur non espressa in modo dolente, è difficile da ignorare, anche da chi non ha figli, nel suo essere specchio di ciò che i più giovani hanno vissuto in più di un anno di limitazioni.
Chris Yan (alias Christian Mastroianni, da Tivoli), compositore, polistrumentista, manipolatore di suoni, preannuncia il suo prossimo disco, Blasè, con un un singolo dedicato al pittore svizzero Arnold Böcklin, introdotto da alcune riflessioni del filosofo George Simmel.
Suoni, ma non solo: il brano, un lento, dilatato fluire di tappeti sonori estremamente
evocativi, accompagna un video suggestivo, una ripresa in ‘time lapse’ delle rovine della Torre di Castelnuovo (Meldola, provincia di Forlì – Cesena) teatro, secondo la tradizione delle vicende di Paolo e Francesca.
Il risultato, come detto, è fortemente evocativo: la Torre inquadrata nel video, ‘toccata’ solo dalle variazioni di luce date dallo scorrere del tempo, si trasfigura presto in una sorta di atavico monolite con echi kubrickiani, coi suoni a sostenere questa idea quasi ancestrale, rafforzata dalla totale assenza di un elemento umano che pure è l’artefice e dei suoni e delle immagini.
Nuovo brano, il quarto, per questa giovane cantautrice della provincia di Frosinone, all’anagrafe Sofia Pelle, con la collaborazione di Frank Meta.
I sentimenti sono complicati, perché forse prima che gli altri, bisogna amare almeno un po’ anche sé stessi, quel tanto che permetta di superare timidezze e insicurezze.
Concetto che vale un po’ per tutti gli aspetti della vita che prevedono un confronto con l’altro o gli altri, la giovane Sofia sa di cosa parla, visto che la sua carriera ha rischiato di non partire per la sua timidezza nel presentare i suoi brani in pubblico; qui, la questione è trattata rispetto all’amore e ai sentimenti.
La scrittura è certo forse un po’ acerba, ma Vi Skin ha tutto il tempo per maturare, la voce c’è già, ed evoca a tratti la Pausini degli inizi.
Katarina Poklepovic da Spalato, Michele Quadri da Bologna: insieme hanno dato vita al progetto So Beast, che vede la pubblicazione di questo singolo, anticipazione di un EP di prossima uscita.
Elettronica campionata con effetti variegati, la voce di Katarina quasi a ‘declamare’, il ‘Pugno’ del titolo non tanto un atto di ‘violenza’, quanto forse l’espressione della necessità di un contatto umano, ‘fisico’, in tempi in cui questo è per molti versi precluso.
Intorno, una selva di beat, campionamenti, scricchiolii e crepitii assorbiti, con un effetto a tratti disorientante.
Per chi vuole provare a percorrere i sentieri di una musica poco ‘battuta’.