Archive for Maggio 2012

IN CHE MANI SIAMO…

Da ciò che si legge sui giornali e si vede nei telegiornali, non sembra poi che dallo scorso anno le cose siano cambiate un granché: Francia e Germania reggevano le sorti dell’Europa prima, Francia e Germania continuano a determinarle oggi. Per quanto Monti sia stato accolto nel consesso internazionale (che del resto aveva frequentato anche in precedenza) con toni entusiasti, all’insegna del ‘finalmente un italiano serio’, poi alla fine le cose sono andate come abbiamo visto: certo Monti incontra e parla al telefono, ma la netta impressione, soprattutto in questi giorni in cui si deve decidere il futuro della Grecia (a proposito: l’uscita dall’Euro sarebbe la fine, perché sarebbe seguita a breve giro di posta da almeno altre tre – quatto nazioni… paradossalmente l’unica nazione che ha dimostrato di sapersi fare i cavoli propri, fregandosene beatamente del resto d’Europa è la Germania, che quindi dovrebbe cacciata dall’Unione a calci), chi è che alla fine ha il ‘pallino’? Germania e Francia, la Merkel e Hollande, una reduce da una batosta storica (e mi chiedo: ma se in Germania campano alla grande, c’è la disoccupazione al minimo, si permettono di stare  a fare i maestrini agli altri un giorno si e l’altro pure, perché poi il partito della Merkel perde?), l’altro appena insediato. Dopo aver visto l’esito delle elezioni francesi, mi sono detto che i nostri ‘cugini’ dovevano averne veramente piene le tasche di Sarkozy, seppur di levarselo dai piedi hanno eletto Hollande. Voglio dire, ma guardatelo: raramente un politico ispira così poco: non è ne un ‘simpaticone’, come Blair, Berlusconi o Sarkozy (e visti questi esempi, Dio ce ne scampi, dai ‘simpaticoni’) né un ‘monolito’ che trasuda rigore e serietà, come poteva essere Mitterand o anche Chirac. Insomma, io ho visto Hollande e m’è venuto in mente Veltroni, con una, enorme differenza: Veltroni sembra che in politica c’è capitato per caso, perché un giorno gli è capitato un pomeriggio libero, senza film da andare a vedere al cinema e allora è entrato in una sede di partito; Hollande mi ricorda uno di quei puntigliosi impiegati di sportello di qualche ufficio pubblico, che ti pianta una grana perché in una pratica manca qualcosa di futile e allora ti fa tornare lì un’altra volta… Insomma: per lo meno Bersani ti dà l’idea di un burocrate, ma di uno di quelli che ti trova un modo per non dover tornare  a fare la fila. Hollande è grigio, anonimo: non so, forse veramente corrisponde a un ‘cittadino medio’, ma insomma, che uno così sia arrivato alla Presidenza francese fa specie. Dall’altra parte, la Merkel, che possiamo derubricare più velocemente, visto che ormai la conosciamo: la Merkel è una di quelle professoresse che se dopo un’interrogazione da otto gli cadi su un dettaglio della domanda finale, è capace di mandarti al posto con un sei. Insopportabile, con st’atteggiamento da ‘so tutto io’, da ‘io sola sono nel giusto, tutti gli altri sbagliano’, l’attitudine da: ‘sono democratica: per me non conta un c***o nessuno (parafrasando Full Metal Jacket)’. Ormai della Merkel non se ne può più: ha mandato la Grecia alla bancarotta quando ancora poteva essere salvata solo per il puntiglio di non metterci un euro; non solo: anche adesso continua pervicacemente con ‘sta panza del ‘rigore’, dopo che si è levata lo sfizio di ‘sistemare’ anche noi italiani. Non c’è fine al peggio e anche adesso guai a cercare soluzioni alternative… Ecco, in che mani siamo… poi certo, c’è il nostro Governo, quello di Monti, Fornero, Passera… degnissime persone (e guai a rimpiangere chi c’era prima), ma è ormai del tutto evidente che le decisioni continuano a essere prese altrove: se prima l’Italia non era considerata, perché un Paese che aveva espresso QUEL Premier e QUEI Ministri, non poteva essere presa sul serio, adesso l’impressione è che l’Italia continui a non essere considerata semplicemente perché  non ha le spalle sufficientemente larghe, e quindi se ne stesse buona… Viene in mente il famoso aneddoto dei cani e del gattino raccontato da Enrico Mattei e ripreso nel film di Francesco Rosi: l’Italia è come quel gattino, che se si avvicina anche solo per prendere gli scarti dei cani che si stanno litigando l’osso, viene scacciata e schiacciata in malo modo.

COME DIMOSTRARE VOLEVASI…

Ho dato uno sguardo al programma di Fazio: tutto ampiamente prevedibile, scontato, banale, noioso. Come avevo previsto, la classica sfilata dei suoi ‘amichetti’, tutta gente vista e stravista nelle sue altre trasmissioni; il giochino della ‘parola’ appariva già trito dopo un paio d’interventi… chissà perché poi in queste occasioni tutti si devono sentire obbligati a diventare la macchietta di sé stessi, offrendo alla trasmissione (e al pubblico) esattamente ciò che ci si aspetta da loro: Avati e i ricordi di gioventù, Petrini e l’apologia del contadino (e però Petrini sta sempre in giro per il mondo… avrà mai preso in mano una zappa?) Rossi che la butta in burletta, Erri de Luca che sale in cattedra,  e via dicendo… Non poteva mancare la Littizzetto, in versione extra-large col suo repertorio stravisto… Saviano, purtroppo, sta anche lui sempre più diventanto la controfigura di sè stesso: ha scelto di giocare ‘facile’, tirando in ballo gli imprenditori suicidi e raccontando la storia della strage di Beslan… viene quasi il sospetto che abbia voluto buttarla sulla lacrima ‘facile’, anche se mi rendo conto di metterla forse in modo troppo duro… Alla fine Fazio (per l’occasione, avrete notato, a indossato l’occhialino, che fa tanto intellettuale) ci ha dato ciò che ci aspettavamo, una tramissione infarcita di retorica, buonismo ‘de sinistra’ e piagnistei. Verdremo le prossime due sere: al momento tutto molto deludente, perché tutto molto ‘previsto’…

QUELLO CHE NON HO

Credo che, come molti altri, stasera darò un’occhiata al programma di Fabio Fazio; ipercritica e prevenuta, come ogni volta in cui mi trovo di fronte a un personaggio che col passare degli anni sopporto sempre meno. Non ho mai amato coloro che, in televisione, pensano di essere incaricati di compiere chissà quale ‘sacra missione’: purtroppo, la stragrande maggioranza di questi è di sinistra; così, non amo Santoro, trovo insopportabile l’ultimo programma della Guzzanti, la Dandini non l’ho mai potuta soffrire, e alla galleria dei ‘santini televisivi’ di Sinistra ci aggiungo volentieri anche Fazio. Non voglio fare di tutta un’erba un fascio ovviamente: Santoro, per quanto insopportabile, è indubbiamente bravo; gli altri, non saprei: mi sembra tutta gente dalle capacità non straordinaria, che nella vita ha avuto l’unico merito di cogliere al volo le occasioni che gli sono capitate. Non ci fosse stato Berlusconi, con ‘editti’, epurazioni e quant’altro, questa gente sarebbe stata riportata, come canta Battiato, a ‘quote più normali’… invece ci ritroviamo issati sul piedistallo personaggi altrimenti ben poco meritevoli. Fazio, dicevo: insopportabile, coi suoi modi melliflui e ipocritamente sempliciotti, le sue uscite pseudopassatiste (io del computer non ci capisco niente), il suo dare del ‘tu’ alternato, a seconda dei casi, alla parte del ‘bravo scolaretto’. Stasera dunque, partirà il nuovo programma, anche questo accompagnato dalla brave polemiche sul ‘Saviano mandato via dalla Rai’ . che certo, è strategicamente una minchiata, ma alla fine il management può decidere di fare ciò che vuole, assumendosene le conseguenze. Quello che mi dà fastidio è che alle spalle vi debba essere una sorta di presunzione secondo cui ci sono persone che devono stare in tv per ‘diritto divino’ vita natural durante: Fazio è uno di questi, tanti, troppi.. La maggior parte, bisogna dire (e questo a prescindere dal tipo di programma e dalla tendenza politica). Il male vero della televisione attuale è il riproporsi ossessivo delle solite facce, e quella di Fazio è una di queste; peraltro, a proposito di ‘facce sempre uguali’, una delle cifre delle sue trasmissioni è proprio quella di riproporre sempre le stesse facce, la stessa ‘compagnia di giro’…  Stasera assisteremo alla sagra del ‘già visto’: nuovi tormentoni (quello delle  ‘parole’, quello delle ‘cose che mancano’, dove come al solito si mescolerà alto e basso, sacro e profano, in un minestrone in cui ‘tutto è guale’, altro filo conduttore del ‘Fazio pensiero’: ricordiamo come in “Anima Mia”, il buon Fazio si mise d’impegno per ‘sdoganare’ il peggior pattume – specie musicale – degli anni ’70). Vedremo, probabilmente, nuovi monologhi di Saviano (bravissimo per carità, che spiega spesso cose interessanti e che nessuno dice, ma che alla fine si avvia a diventare lui stesso ‘personaggio’ televisivo., e poi mi chiedo: il giorno in cui, malauguratamente, scriverà un brutto libro, o un monologo banale, ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di criticarlo?), assisteremo alla solita teoria di ‘amichetti’ di Fazio che presteranno volentieri facce, voci e parole e via così, tutto scontato, tutto già visto… Ma guai a parlarne male, che sennò si passa per fascisti (e questa del non poter parlare male di certi personaggi è un’altra conseguenza dei vent’anni di sovraesposizione mediatica berlusconiana che siamo stati costretti a subire). Per fortuna che (ancora), esiste il telecomando: io rivendico il mio diritto di essere persona intelligente e mediamente acculturata che Fazio sceglie di non seguirlo come se fosse un Messia, senza per questo passare per un eretico traditore della ‘rivoluzione’…

TYING TIFFANY, “DARK DAYS, WHITE NIGHTS” (TRISOL)

E così Tying Tiffany è giunta, tra alterne vicende, al quarto disco, nel segno della classica ‘evoluzione stilistica’, che nel corso degli anni l’ha portata progressivamente a smussare le più spigolosità più urticanti dei suoi suoni, cercando forse una maggiore ‘riflessività’.

Non che si ‘dorma’, Dark Days, White Nights, intendiamoci, anzi: l’ascoltatore troverà nei dieci brani del disco un bel pò di quelle suggestioni elettro-industriali tipicamente ‘crucche’ che hanno costituito una buona parte del ‘marchio di fabbrica’ della cantante e compositrice padovana, con tanto di parentesi riservate ai ritmi più ‘pompati’ e ‘danzerecci’, ma si avverte – forse – la voglia di cercare altre strade, o almeno altre modalità espressive, prova ne siano l’apertura, affidata a New Colony, una sorta di ‘nenia marziale’, o un pezzo come Universe, forse il migliore dell’intero lotto, caratterizzato da toni oscuri e ritmi lenti.

In “Dark Days Whinte Nights Tying Tiffany appare allargare ulteriormente il proprio spettro sonoro di riferimento, con maggiori dosi di atmosfere gotiche e sonorità new wave, accompagnate da un cantato che affianca, alla consueta vena sguaiata, a tratti quasi irridente, episodi più compassati, tranquilli, venati di dolcezza.

L’esito appare contrastato:  “Dark Nights…” appare classico disco di passaggio, nel quale si cerca qualcosa di ‘diverso’ rispetto al passato, e che finisce un pò per soffrire dei limiti tipici di questa situazione, non  più il lavoro ‘di una volta’, ma non ancora il frutto di una mutazione compiuta: e allora ecco che nei momenti più  accesi si avverte la mancanza di quel ‘quid’ di follia in più, come se fosse venuto meno un pò di divertimento rispetto al passato, mentre le parentesi più rilassate appaiono soffrire di qualche incertezza. Un disco che insomma lascia attendere il suo successore per capire quale strada abbia deciso di prendere l’artista.

LOSINGTODAY

CLAUDIO MILANO, ERNA FRANSSENS, “ADYTHON” (DEN RECORDS)

Kasyanoova, ovvero: Claudio Milano (recente vincitore, insieme a Luca Passavini, del Premio Demetrio Stratos con il progetto Nichelodeon) ed Erna Franssens (anche conosciuta come Kasjanoova); un trio composto dal sax tenorista Stefano Ferrian e da Attila Fravelli e Alfonso Santimone.

Se possibile, l’ignaro escursionista sonoro si trova davanti ad una montagna ancora più impervia rispetto a quanto ascoltato in Nichelodeon o nel disco dei Radiata 5tet, già recensiti da queste parti e che hanno il proprio trait d’union nella figura di Claudio Milano.

Due le tracce: la prima che sfiora il quarto d’ora di durata, la seconda che sfora i trenta minuti; già con questi puri dati ‘tecnici’ si intuisce di trovarsi di fronte a qualcosa di quantomeno inusuale, per i non avvezzi alla sperimentazione.Le cose si fanno ulteriormente più ardue, quando ci si immerge nei bacini riempiti dai suoni e dalle parole dei partecipanti al progetto.

Claudio Milano interpreta i versi della Frannsens: interpretazione è il termine più adatto, dacchè il ‘cantato’ sfiora sempre la declamazione e si mescola con autentici esercizi vocali tra modulazioni, borbottii, improvvisi scoppi.Il contorno sonoro si muove ai limiti di quanto è definibile come ‘musicale’: nel primo brano in sottofondo è tutto un crepitare di schegge e stridii elettronici; nel secondo a loro si unisce il sax, con esiti pienamente riconducibili alla musica classica contemporanea, piuttosto che alle più ardite sperimentazioni jazz. I testi sfiorano il flusso di coscienza, addentrandosi in territori che potremmo definire quasi da ‘autosuggestione’: non a caso, oltre alla title track, l’altra composizione è stata battezzata L’oracolo di Delfi.

Un lavoro ‘difficile’: o almeno, un lavoro che, per essere compreso a pieno, richiede degli strumenti anche ‘culturali’ (di conoscenza dell’avanguardia) dei quali non tutti sono in possesso; l’alternativa, come al solito in questi casi, è lasciarsi completamente andare, trasportare, ammaliare da un lavoro lontano anni luce dalle esperienze musicali (anche quelle più ‘alternative’) che comunemente si sentono in giro.

LOSINGTODAY

THE RADIATA 5TET, “AURELIA AURITA” (DEN RECORDS)

E’ sempre un pò complicato recensire questo tipo di dischi: si è sempre  combattuti tra la consapevolezza di non avere troppi mezzi a disposizione per poterli ‘inquadrare’ efficacemente, e la volontà comunque di dedicargli qualche riga, perché proprio in quanto prodotti ‘di nicchia’, di ‘arduo ascolto’, etc… difficilmente lavori del genere trovano spazi che non siano quelli canonici dedicati ad un pubblico iperspecializzato.

Come il nome suggerisce, il progetto nasce dalla collaborazione di cinque musicisti: il nucleo originario costituito dal tenor sassofonista Stefano Ferrian e dalla violoncellista argentina Cecilia Quinteros; a loro si sono uniti Claudio Milano e Luca Passavini (che da queste parti abbiamo già incontrato col suo progetto Nichelodeon, che ha fruttato loro tra l’altro il Premio Demetrio Stratos) rispettivamente a voce e contrabbasso e il trombettista Vito Emanuele Galante.

Siamo, come forse si sarà capito, nei vasti territori dell’avanguardia, a cavallo tra jazz e musica classica contemporanea. Le dieci composizioni che formano il disco si snodano come un flusso più o meno unitario: difficile parlare di ‘brani’ e di ‘strutture’ in senso stretto: l’improvvisazione appare rivestire un ruolo chiave in questo scorrere sconnesso e frammentario, tra periodi di relativa quiete e improvvise esplosioni sonore, dove un ensemble musicale dagli umori più che mai ondivaghi si accompagna talvolta a una vocalità anch’essa con accenti strumentali, sulla cui interpretazione quasi ‘declamata’ dei testi appare aleggiare il ‘solito’ Schoenberg.

Voce e strumenti dialogano, a volte quasi mimando un sussurrare sottovoce, in altre parentesi dibattendo vivacemente o addirittura ‘litigando’, dando vita a un insieme sonoro inquietante, dai contorni affascinanti e talvolta – perché no – anche disturbanti (senza che questo rappresenti per forza un difetto).

Più di questo, sinceramente riesce difficile dire: si può concludere affermando che si tratta di un disco certo indirizzato ai cultori della materia e più ampiamente a coloro che difficilmente si spaventano di fronte a dischi dall’ascolto arduo e a coloro che si lasciano volentieri guidare dalla curiosità dell’inaspettato e dell’inconsueto.

LOSINGTODAY

ROMA, STAGIONE 2011 / 2012

Le pagelle:

STEKELENBURG 7  Una delle immagini simbolo della stagione giallorossa è il povero portiere lasciato in balia degli attaccanti avversari: già per lo stress così accumulato meriterebbe la promozione a pieni voti, ma a parte questo si è (quasi) sempre dimostrato pronto, sicuro, puntuale; certo, anche la sua stagione non è stata esente da sbavature, ma considerando il complesso della squadra è stato trai migliori.

LOBONT 6,5  Alla fine lo si è scoperto come un panchinaro di lusso: chiamato in causa in varie occasioni, col titolare infortunato o squalificato, ha sempre risposto prontamente.

CURCI 6  Infortuni e squalifiche hanno dato modo di farsi vedere anche a lui, ex ‘grande speranza’ persasi in troppi giri su e giù per l’Italia: quando è sceso in campo, ha dimostrato di poter ancora dire la sua

ROSI 5,5  Uno degli esponenti della ‘linea verde’ di Luis Enrique. Buone doti, che si sono scontrate conevidenti limiti di carattere: l’impressione è che gli manchi una buona dose di autostima e fiducia nei propri mezzi; troppo spesso è apparso intimorito davanti agli avversari.

CASSETTI 5  Luis Enrique l’ha ‘ereditato’ dalla precedente gestione, non sapendo bene cosa farsene; poche apparizioni, e senza lasciare il segno.

CICINHO: 5  Quasi da ‘senza voto’: rarissime comparsate, nessuna degna di nota.

KJAER 4,5  La vera delusione dell’annata romanista: arrivato tra squilli di fanfare come il vero ‘colpo’ del campionato, ha mostrato una disarmante fragilità di carattere: dopo i primi, gravi, errori, ha perso ogni fiducia esibendosi in sbagli a ripetizione; si è ripreso solo a stagione praticamente finita, troppo tardi. Forse merita un’altra possibilità.

HEINZE: 7 E’ stata tutto sommato una delle note positive della stagione: certo non si è salvato dal naufragio totale del reparto difensivo giallorosso e col senno di poi si è dimostrato inadatto al gioco di Luis Enrique, ma almeno ci ha messo sempre grinta e personalità, mostrando di supplire con l’agonismo ai propri limiti tecnici.

JUAN: 5,5 Prima di essere messo fuori causa dall’infortunio, ha alternato giocate di livello a prestazioni inguardabili; non gliene si può fare una colpa: l’anagrafe è impietosa, e Juan è stato sempre tutto, tranne che veloce; figuriamoci il risultato, in una squadra che della velocità doveva fare l’arma vincente.

BURDISSO 6 Il grave infortunio che l’ha tolto di mezzo ha segnato l’inizio del crollo del fragile castello difensivo giallorosso: con lui in campo, forse, avremmo visto una storia diversa

JOSE’ ANGEL 5,5 Per lui vale lo stesso discorso di Rosi: enormi potenzialità, tarpate da una personalità ancora acerba.

TADDEI 6,5 Ci ha provato, e a un certo punto ci è anche riuscito: il periodo migliore della Roma, a fine 2011, è coinciso col suo migliore stato di forma; sulla lunga distanza è calato (come la Roma):  i suoi mezzi tecnici non sono un granché, se il fisico lo abbandona (l’età è quella che è), la fine è nota.

GAGO 6,5 Quando la Roma ha giocato bene, c’è sempre stato di mezzo il suo contributo; l’impressione è che però si sia sempre limitato a svolgere (per carità, con puntualità) i compiti assegnatigli dall’allenatore, senza mai dannarsi più di tanto per andare oltre. Come quegli studenti che potrebbero prendere tutti otto, ma per scarsa voglia si limitano a garantirsi la sufficienza.

PJANIC 7 In prospettiva, potrebbe diventare una delle colonne della Roma: per il momento ha fatto vedere le sue doti, a partire dalla capacità di dettare ritmi e dalla visione di gioco; gli manca, forse, ancora un pò di personalità.

MARQUINHO 7 Arrivato alla chetichella nel mercato invernale, si è inserito fin da subito negli schemi, offrendo concretezza e mostrando anche un discreto senso del gol.

SIMPLICIO 6,5 Trai ‘fondi di magazzino’ della precedente stagione, è l’unico che si è rivelato un ‘usato sicuro’: talvolta non ha magari offerto prestazioni indimenticabili, ma se non altro ha mostrato di sapere ancora trovare la via del gol.

GRECO 5,5 Forse il più valido trai prodotto del vivaio, ha offerto prestazioni di un certo livello solo nella prima parte della stagione, scomparendo sulla distanza.

PERROTTA 5 Altra ‘rimanenza non voluta’ della stagione precedente: Luis Enrique ha provato a inserirlo più di una volta, i risultati non sono stati all’altezza.

DE ROSSI 5,5 Doveva essere la stagione del definitivo passaggio del testimone con Totti; invece, è mancato all’appello: una stagione travagliata, un rendimento altalelante, qualche buona prestazione (ha mostrato grande adattabilità anche al ruolo di difensore centrale), ma troppe partite incolori; ha mostrato grinta, ma poca attitudine al comando: quando la Roma si è trovata in difficoltà, a lui (specie nel periodo in cui Totti è stato infortunato) spettava il compito di dare ‘la scossa’, cosa che non gli è mai riuscita; la telenovela del rinnovo del contratto è stato un ulteriore, evitabile, elemento di disturbo nella stagione. Serve fare un discorso chiaro con la dirigenza: nessuno discute il fatto che De Rossi sia un giocatore di primo livello, ma un De Rossi come quello visto in questa stagione alla Roma non serve un granché.

LAMELA 4,5  Indisicutibili doti tecniche che perse in un mare di arroganza; non parliamo poi dei falli di reazione: il ragazzino non si è fatto mancare nulla: calcetti da fermo, gomitate, sputi; urge seriamente che qualcuno gli insegni qualcosa

BOJAN 5,5 Altro ragazzino buttato allo sbaraglio in una situazione più grande di lui; il suo campionato si è interrotto alla partita di Firenze: il pallone preso con le mani, la sceneggiata della maglia buttata a terra… per riprendersi gli ci sono voluti mesi, e nell’ultima parte della stagione ha dato miglior prova delle sue capacità. Da rivedere.

OSVALDO 5  Eccone un altro: ha dato il suo onesto contributo alla causa, limitato da un infortunio, ma ha troppo spesso dato prova di una presunzione francamente insopportabile, ancora più grave, non trattandosi di un giovanotto di primo pelo.

BORINI 7,5 La più bella sorpresa della stagione, non solo per i risultati sul campo (solo un infortunio è riuscito a interrompere la sua impressionante sequenza di reti), ma anche per la serietà dimostrata: altro che Lamela & Co.

TOTTI 6 Anche lui limitato dagli infortuni, ha dato il suo contributo con la pura, carismatica, presenza in campo, e con i tocchi di classe che gli sono propri; ancora una volta però è mancato quel ‘quid’ in più: c’è da chiedersi ad esempio, se non fosse lui a dover ‘svezzare’ gente come Lamela o Bojan, facendo da esempio. Totti è sempre stato un fuoriclasse, un ‘capitano’ in quanto trascinatore coi suoi ‘fatti’; con le parole (e purtroppo anche con gli atteggiamenti) non è mai stato ugualmente bravo, e in una stagione in cui la Roma è stata priva di una vera e propria ‘guida’ sul campo, questi limiti si sono fatti ancora più evidenti.

LUIS ENRIQUE 5,5 Peccato che se ne vada: sia che diventi un ‘mostro sacro’ altrove, che intraprenda una carriera mediocre, ci chiederemo sempre come sarebbe andata con lui sulla panchina della Roma, con una anno di esperienza alle spalle: ho l’atroce dubbio che siamo stati privati del meglio. Nessuno (a parte quei tifosi rimpinzati di scemenze dagli scribacchini locali o da quei brutti personaggi che berciano dall’etere) si aspettava miracoli; tuttavia l’allenatore sembra aver fallito nel riuscire a raddrizzare stagione e singole partire in corso d’opera; è mancato anche nella psicologia, nel prendere per pano quella covata di pulcini, di ragazzini intimoriti, o viziati per fargli superare le loro paure, o correggere le loro tare caratteriali; gli infortuni, anche gravi a catena, hanno destato qualche dubbio sulla qualità dello staff. Certo, se se ne è voluto andare, significa che evidentemente era cosciente di non avere più nulla da offrire… Però.

LA SOCIETA’ 5 L’impressione è che non bastino Baldini e Sabatini, che qualcuno dei ‘capoccia’ americani debba restare a Roma con maggiore costanza; il brutto è che la Roma non ha nemmeno ‘un’ proprietario, quindi non si capisce chi sia poi il referente principale. L’accoppiata Baldini – Sabatini ha svolto il proprio ‘mestiere’, è riuscita a mettere al sicuro Luis Enrique per gran parte della stagione, ma poi sul finale si è fatta probabilmente rodere dal tarlo del dubbio, e quando l’allenatore ha deciso di andare via, non si è sprecata più di tanto per trattenerlo. A tutto questo si aggiungono valutazioni sbagliate in sede di mercato (a cominciare dal mancato acquisto di qualche difensore in sede di mercato invernale). Anche la società, insomma, deve completare il rodaggio. Il futuro non induce all’ottimismo: certo Montella (se sarà lui il nuovo allenatore) ha dalla sua quanto meno la maggiore esperienza del calcio italiano, ma l’impressione è che i tifosi della Roma siano attesi da una nuova annata di transizione, con più delusioni che gioie. Se non altro, quest’anno non faremo figuracce nelle improbabili eliminatorie delle coppe europee.

AVENGERS

Quando Loki – dio nordico della menzogna e dell’inganno e fratellastro di Thor – si impadronisce di un artefatto cosmico che gli permette di aprire un portale spaziale invadendo la Terra con un esercito di alieni, è il momento in cui ‘gli eroi più potenti della Terra’ devono unire le forze per contrastare la minaccia. Nick Fury, capo della superagenzia di spionaggio SHIELD raccoglie così Iron Man, Thor, Hulk, Capitan America, la Vedova Nera e, in seguito, Occhio di Falco per far fronte al pericolo. Un tale gruppo di ‘forti personalità’ avrà prevedibilmente molte difficoltà ad operare assieme, tra sfiducia e sospetti reciproci, ma alla fine, appianate le divergenze  e messe da parte le differenze caratteriali, riusciranno a fare fronte comune contro il pericolo incombente…
Un film atteso, attesissimo dagli appassionati: sognato dagli iinizi degli anni 2000, quando  l’Uomo Ragnò sbarco finalmente sul grande schermo; ambito da quando, col primo film dedicato da Iron Man, si capì che la Marvel aveva tutta l’intenzione di portare progressivamente sullo schermo i vari ‘pesi massimi’, prima singolarmente e poi tutti insieme.
Come in ogni occasione del genere, l’attesa spasmodica poteva generare un filo di delusione: così, fortunatamente non è stato.
Avengers è un film pieno, dalla spettacolarità mastodontica e fantasmagorica. Chi andando al cinema si aspetta, anche da un film supereroistico, un minimo di ‘riflessione’, può tranquillamente rimanere a casa, risparmiando tempo e soldi: qui non c’è la riflessione sulla ‘diversità’ degli X-Men, non si ragiona sui problemi dell’adolescenza come nell’Uomo Ragno, non si riflette sul labile confine tra bene e male come in Batman o sul ‘lato oscuro’ come in Hulk.
Avengers è una baraonda, una corsa a perdifiato: o meglio, parte a passo di maratona, prosegue marciando spedita e si conclude con gli ultimi quaranta a ritmo da cento metri piani; proprio questo finale, roboante e maestoso, vale probabilmente tutto il prezzo del biglietto, regalando un  film memorabile non solo per gli appassionati di fumetti, ma anche per coloro che vanno al cinema per divertirsi, meravigliarsi, venire rapiti dalla ‘grandeur’ immaginifica delle scene di combattimento di questi eroi, ‘super’ per retaggio divino, esperimenti scientifici o semplicemente per essere uomini e donne normali con intelligenza o abilità fuori dal comune.
A dirigere l’orchestra è Joss Whedon, uno che ha cominciato coi telefilm di Buffy e ha proseguito scrivendo proprio fumetti di supereroi per la Marvel (in quel caso, gli X-Men). I solisti, che vanno a comporre questa ‘band ultrapotenziata’ sono Robert Downey Jr., ormai ‘consumato’ interprete di Iron Man (che gigioneggia un filo, specie nella parte iniziale-centrale del film forse un pò troppo infarcita di battutine); Mark Ruffalo, che intepretando Bruce Banner (il suo alterego Hulk affidato alle magie della CGI) riesce nell’impresa di non far rimpiangere Edward Norton, che aveva interpretato alla perfezione il personaggio nel precedente film a lui dedicato; Chris Evans, non strabiliante, ma comunque efficace nel suo intepretare un Capitan America che, risvegliatosi dopo 70 anni di ibernazione, è un uomo degli anni ’40 che deve scendere a patti con l’oggi; Chris Hemsworth, più sciolto, espressivo e meno legnoso rispetto al lungometraggio dedicato a Thor; Scarlett Johansson, un’algida superspia russa con delle fragilità nascoste; Jeremy Renner, dignitoso interprete dell’infallibile arciere Occhio di Falco e last but not least, Thom Hiddleston nel ruolo del cattivissimo Loki, ancora una volta perfetto nella caratterizzazione di un supercattivo che sistematicamente diviene vittima delle sue insicurezze.
Tra scontri trai supereroi prima e tra loro e gli invasori dopo, con almeno un paio di scene memorabili pronte a strappare l’applauso, Avengers è un ‘giocattolone’ i cui meccanismi funzionano alla perfezione, pronto ad avvolgere e affascinare tutti coloro che siano un minimo disposti a farsi ammaliare dalla ‘sospensione dell’incredulità’. Un film da non perdere per gli amanti dei fumetti e del cinema ‘di genere’… tutti gli altri, beh… forse un’occhiata gliela potrebbero comunque riservare.

RADIOROCK.TO

LA PLAYLIST DI APRILE

Sinfonia n°5 – I Movimento     Gianfrancesco Malipiero
There’s a fire in the house   Steve Vai
Screams           Blue Oyster Cult
Mary Ann’s Dreams Factory   The Strange Flowers
Why didn’t you?   Werner
Al sole di giugno  Atterraggio Alieno
Tygers of Wrath   Erin & The Project
I don’t love my dog anymore  Buildings
Grave sweet grave  Metibla
Urla urla           Il Maniscalco Maldestro
To fathers cabin   Amorphis
Equilateral: Triple Concerto
for Piano Trio and Orchestra – III: Serpentine   Jeffrey Ryan

TENEMENT, “NAPALM DREAM” (HANG UP RECORDS)

Dopo una manciata di singoli ed EP, arriva il momento del primo lavoro sulla lunga distanza per questo duo proveniente da Appleton, nel Wisconsin. Siamo nell’ormai classico filone delle sonorità ronzanti, stridenti e rumorose di inizio anni ’90.

Tredici brani, poco più di mezz’ora la durata: questo già la dice lunga sulla natura dei pezzi presenti, compatti ed essenziali, caratterizzati da una certa sensibilità pop che lentamente emerge dal mare magnum di chitarre fischianti, ritmi caracollanti, vocalità incurante di qualsiasi riferimento al ‘bel canto’, pronta qua e là ad autentici scoppi d’ira rispetto al filo conduttore di una sguaiatezza a tratti giocosa nel suo plateale voler ‘far casino’.

Tra Dinosaur Jr e Pavement, con un attitudine da ‘college radio’, i Tenement riescono a farsi piacere, in quelle che ormai sembrano quasi sonorità ‘vintage’ (bene o male quella ventina d’anni è ormai passata), donando all’ascoltatore una mezz’oretta di disincantato frastuono…

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY