Uno pseudonimo per identificarsi, sei brani – cantati in inglese – per presentarsi: Ell3 viene da Torino e in questo suo primo lavoro riversa i frutti di un’esperienza sonora che ha contraddistinto tutta la sua biografia (nasce e cresce in una famiglia di musicisti), all’insegna della fusione tra il jazz e il soul da un lato, l’elettronica dall’altro.
Accompagnata dalle sapienti mani di Alan Diamond e Davide ‘Enphy’ Cuccu, apprezzate figure della scena torinese, Ell3 dà vita a un lavoro dedicato alla necessità di fingere, di indossare maschere, per rispondere alle convenzioni sociali o rispondere alle necessità imposte da rapporti personali che spesso finiscono per richiedere di mostrarsi per ciò che non si è; si finisce così per allontanarsi dalla propria essenza, finendo magari per rifugiarsi nel sogno, anche se il proprio io finisce per riemergere, magari attraverso la tristezza di uno sguardo (gli occhi come proverbiale ‘specchio dell’anima’) fino a rendere più o meno necessaria una sorta di ‘rinascita’.
Sensibilità jazz e soul unita all’elettronica, dunque: esiti non troppo distanti dal trip hop che di questa fusione fu una delle massime espressioni negli anni ’80, ma con suggestioni che possono ricondurre alla ‘solitudine urbana’ comunicata da certe colonne sonore, che possono ricordare alla lontana Ryuichi Sakamoto.
Ell3 domina naturalmente la scena, un’interpretazione sinuosa, un’intensità forse tenuta un po’ troppo a bada a favore di un’eleganza formale comunque godibile, umore tendente al malinconico.
Si avverte magari la mancanza di un ‘cambio di passo’ in un lavoro che mantiene sostanzialmente inalterato il suo ‘mood’ dall’inizio alla fine, anche se sei brani costituiscono poco più di un assaggio e sarebbe necessaria una prova più ‘corposa’ per farsi un’idea maggiormente compiuta.