Continuo a pensare alla dipartita di Dalla, e mi stupisco nel constatare quanti suoi brani in fondo mi piacessero… Nemmeno i più famosi, a dire la verita, come ‘Caruso’, ‘4/3/194’, ‘L’anno che verrà”, etc… Ma ad esempio ‘Felicità’, ‘Le rondini’, ‘L’ultima luna’… Senza contare quel gran disco (l’unico suo che io abbia) che è “Com’è profondo il mare”. Proprio stamattina ragionavo sul fatto che, oltre ad attraversare i generi, Dalla sia stato uno dei pochi ad aver frequentato ‘alto’ e ‘basso’, colto e ‘popolare’: dote non da poco, nell’Italia dell’eterno scontro trai sostenitori della canzone d’autore e gli amanti del ‘pop’… Li mise d’accordo tutti, belli con i brutti, citando proprio ‘Com’è profondo il mare’. Dalla è uno dei pochi artisti ad essere stati ‘popolari’ senza per questo diventare ‘commerciali’ (dove per commerciale intendo qualcosa di fatto a tavolino, di livello preferibilmente basso per intercettare un uditorio il più vasto possibile, e auspicabilmente vendere un boato di copie…). Pensiamo ai suoi due più grandi successi di vendite: ‘Caruso’ e ‘Attenti al lupo’: c’è qualcuno che possa onestamente definirli pezzi disonesti, creati solo per vendere? Il primo è una romanza, un omaggio sincerto al bel canto italico; il secondo, apparentemente una favoletta per bambini, sintetizza il tema vecchio quanto il mondo della ‘fatica di vivere’ (peraltro, in un inciso, affermando: “con l’aiuto del buon Dio”: in questi giorni si è spesso parlato della fede di Dalla, sottolineerei che si è trattato di una fede mai nascosta e sempre esplicitata, ma mai in modo ammiccante, come in quel caso). Dalla è dunque rimasto onesto anche negli episodi più pop, anche in quelle fasi della sua carriera in cui magari avrebbe potuto scrivere delle boiate avendo comunque la sicurezza di vendere milioni di dischi. Un’onestà di fondo sempre mantenuta nei confronti del suo pubblico e di sé stesso…
Poi c’è la riflessione sulla canzone italiana. L’anagrafe è impietosa: gli unici che continuano a sfornare dischi con una certa regolarità sono Conte, Battiato e De Gregori: Guccini ha diradato le sue apparizioni, così come Jannacci; Gino Paoli, esaurita da tempo la vena creativa cantautorale, si dedica al suo amore per il Jazz. Fossati, raro esempio di onestà intellettuale, si è ritirato non appena ha capito di non avere (forse) più nulla da dire in campo musicale. Roberto Vecchioni ha vissuto lo scorso anno la ‘fiammata’ sanremese, ma è preso da tanti altri progetti; Branduardi da anni e anni si dedica alle sue ricerche nel campo della musica medievale; Finardi è un altro che fa dischi con sempre meno regolarità. Non so se ho dimenticato qualcuno, ma l’anagrafe è impietosa: parliamo di artisti che sono tutti alle soglie della sessantina, a volte dei settantanni: artisti dai quali è lecito ‘sperare’ (considero “Elegia” di Conte, uno dei dischi più recenti di Conte, uno dei suoi capolavori), ma dai quali non è più lecito ‘pretendere’. Artisti più giovani, ma nemmeno di tanto, come Fortis o Bennato, hanno fatto perdere le proprie tracce. Dopodiché, il nulla: sappiamo tutti che negli anni ’80, gli anni del ‘riflusso’, la musica d’autore fu accantonata per guardare ad altro. Si potrebbe discutere sul valore ‘autoriale’ di gente come Raf, Carboni o Antonacci, ma il paragone con gli illustri predecessori appare improponibile. Poi, ci sono gli artisti venuti fuori negli ultimi vent’anni: tra questi, gli unici che appaiono realmente reggere il paragone, destinati ad entrare nel novero dei ‘grandi’, mi paiono essere Vinicio Capossela e Samuele Bersani; ci sarebbe la cosiddetta ‘scuola romana’: Silvestri, Fabi, Gazzé: ma questi ultimi, almeno al momento, non hanno raggiunto le ‘vette’ dei primi due. La situazione è sconfortante, sembra mancare una ‘generazione di mezzo’ (con l’eccezione magari di Gian Maria Testa, che però da sempre è rimasto ‘ai margini’, per caso o volontà): si passa da artisti nati negli anni quaranta (a volte negli anni ’30) ad autori nati nei sessanta, e anche tra questi ultimi, non sembrano molti quelli destinati a raccogliere il testimone da chi un giorno o l’altro appenderà gli strumenti e la penna al chiodo. Infine, ci sono i giovani, quelli nati negli anni ’70 e negli ’80: gente dai nomi ‘strani’: il più famoso, e ormai affermato è Caparezza, assieme a lui Dente, The Niro, Le Luci Della Centrale Elettrica, hanno cominciato a far circolare i loro nomi; e sotto alla superficie, altri nomi, come Davide Tosches o Salvo Ruolo, che magari vi diranno poco, ma buttateci un orecchio che meritano. Insomma: forse qualcosa si sta cominciando a muovere e dopo ‘salti generazionali’ e periodi di ‘carestia autoriale’, assistiamo forse a una nuova fioritura per la canzone d’autore italiana: c’è da augurarselo, perché attualmente il panorama non è dei più confortanti: la scomparsa di Dalla è pesata ancora di più, perché dopo quelle di Fabrizio de André e Giorgio Gaber (e non solo loro), si ha l’impressione che il numero si stia assottigliando e che non ci sia tutta questa abbondanza di ‘eredi’ pronti a raccoglierne il testimone… speriamo che nei prossimi anni, il futuro appaia più roseo…
P.S. Lo so, non ho citato, volutamente, i Vasco Rossi, i Baglioni e gli Zero, gli Zucchero, i Ligabue… Nel loro caso ci sarebbe da fare un discorso ancora più lungo… Io ho cercato di parlare di un certo filone ‘canoro’, al quale questi ultimi potrebbero certo essere ricondotti, ma altrettante sarebbero le ragioni per operare delle distinzioni…