Archive for giugno 2019

ANDREA LORENZONI, “SENZA FIORI” (DIMORA RECORDS / NEW MODEL LABEL)

Secondo disco per il bolognese Andrea Lorenzoni, poeta oltre che cantante con un paio di pubblicazioni all’attivo.

A colpire, stupire per certi versi, è la varietà di un disco capace di cambiare ‘pelle’ in ognuno dei dieci pezzi: tra cantautorato, parentesi elettroniche che riecheggiano certo pop anni ’80, o all’insegna di maggiori dilatazioni, fino a sventagliate apertamente rock, con accenni grunge e qualche vaga allusione metal.

Il rischio di cadere nella ‘trappola’ di una serie di esercizi di stile finire a sé stessi è abilmente evitato, anche grazie a una sequenza che non rende troppo drastico il salto tra un’atmosfera e un’altra.

Testi spesso vagamente ermetici, giustapposizioni di pensieri, soliloqui, riflessioni su di sé, gli immancabili ‘sentimenti’ che però per una volta non sono dominanti.

“Senza fiori” è un disco di cantautorato atipico, in cui la musica è tutt’altro che secondaria rispetto alle parole, un lavoro che si stacca per suoni e temi dall’andazzo generale di troppa musica corrente italiana, ‘indie’ o meno.

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GIANNI VENTURI, “MANTRA INFORMATICO” (MP & RECORDS)

Scrittore, poeta, musicista; Gianni Venturi è uno di quegli artisti poco identificabili, volti più di altri a proporre le proprie scelte senza compromessi o percorsi ‘facili’.

“Mantra Informatico” non è un disco agevole e forse non poteva essere altrimenti, dominato più di altri da un’urgenza espressiva senza priva di filtri.

La voce stentorea di Venturi domina i 13 pezzi presenti, accompagnata da suoni elettronici e da un basso che pulsano con esiti quasi ipnotici: il ‘Mantra’ del titolo non è casuale…

Un lavoro plumbeo, oscuro, che guarda senza sconti a una realtà in cui i rapporti tra gli uomini e tra questi e la natura si vanno progressivamente deteriorando, all’insegna della solitudine; e della propria solitudine parla anche lo stesso autore, a tratti rievocando la propria vicenda biografica, con frequenti riferimenti alla figura materna.

Non un disco per tutti, o almeno: per tutti coloro che non si ritraggono di fronte a chi si presenta così com’è, senza concessioni.

PORTOBELLO, “BUONA FORTUNA” (luovo / iCompany / ARTIST FIRST / LIBELLULA MUSIC)

Disco d’esordio per questa band romana, nata come progetto solista del cantante Damiano Morlupi e allargatosi progressivamente fino a contare sei elementi.

“Buona fortuna” appare un auspicio, un modo di lanciare uno sguardo tutto sommato ottimista al futuro, nonostante tutto.

I nove pezzi presenti riportano il consueto campionario d’incertezze di giovani uomini alle soglie della maturità, con uno sguardo nostalgico a un passato rappresentato dai classici amori estivi.

I sentimenti e le connesse gioie, difficoltà e patimenti assortiti sono il filo conduttore di un lavoro all’insegna di un pop / rock condito con una buona dose di elettronica dai riflessi vintage, anni ’80 e dintorni.

Qua e là emergono anche spunti interessanti, forse fin troppo ‘controllati’, tenuti a freno dalla tendenza a dare al tutto una forma fin troppo ‘gradevole’. I Portobello come detto sono in sei, ma le potenzialità di un impianto così ampio vengono in un certo senso ‘annacquate’ dalla scelta di affidare gran parte della grana emotiva dei pezzi all’interpretazione vocale; la scrittura, abbastanza ‘comune’, non aiuta… Certo, l’esito è comunque ‘fresco’, più di un brano può avere qualche potenzialità radiofonica, tuttavia sarebbe stato più interessante ascoltare uno sviluppo di certe idee che restano a livello embrionale, forse limitate dalla voglia di ‘farsi piacere’.

THE SPELL OF DUCKS, “SOUP” EP (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA MUSIC)

Un paio di singoli all’attivo, assieme a varie apparizioni, anche televisive – MTV, Italia’s Got Talent – i The Spell Of Ducks mettono su disco altrimenti sei brani, all’insegna di un folk – rock che guarda oltreoceano.

Il gruppo del resto è strutturato come una sorta di banda da sagra di Paese: sei componenti, strumentazione che comprende banjo e archi, siamo insomma dalle parti di quelle ‘fiere della Contea’ ritratte da innumerevoli film e serie tv.

Il mood tuttavia non è poi così festoso: non mancano i momenti di allegria, ma prevalgono la riflessione, il senso di raccoglimento dato dalla dimensione acustica, con momenti d’intensità quasi dolente.

La formazione torinese offre una buona assaggio delle proprie capacità, in attesa forse di un lavoro piuttosto corposo.

PAOLA RUSSO, “NON È COLPA MIA”

La siciliana Paola Russo, classe 1983, ha cominciato a fare musica da quando aveva 14 anni, in quello che per lei, psicoterapeuta mancata forse proprio a causa della, o grazie alla, musica, è stato un percorso che le ha consentito di vivere meglio un rapporto col mondo che, per vari motivi, si intuisce non essere stato facile.

Il successo con una cover band, l’esperienza come corista di Giorgia e l’anno scorso, la pubblicazione del singolo e del video che danno oggi il titolo all’esordio sulla lunga distanza.

Nove pezzi (tra cui uno strumentale e un omaggio a Paola Turci, riproponendo ‘Ti amerò lo stesso’) in cui si respira, forte, un’atmosfera vintage, da anni ’80, frutto soprattutto dell’uso di elettronica e sintetizzatori assortiti, a fare da accompagnamento sonoro a testi che dicono e non dicono, magari non ellittici, ma certo obliqui, sghembi, che sfiorano talvolta il flusso di coscienza, per parlare di sentimenti (soprattutto), ma anche del sé e dei rapporti con gli altri… oasi di pace in mezzo al traffico cittadino inopinatamente interrotte da tamponamenti, a cui l’unico modo per reagire è un catartico e liberatorio ‘dito medio’: ‘Enaffio’ in fondo sembra riassumere un po’ il senso ricorrente del lavoro: la necessità di spazi di ‘sogno’ e immaginazione che si scontra costantemente con l’irrompere della realtà…

Un lavoro intrigante, che per certi versi affascina, per la sua atmosfera sospesa, vagamente malinconica, come quella di una spiaggia alla fine dell’estate, capace di mostrare qualcosa in più ad ogni ascolto.

ROVERE, “DISPONIBILE ANCHE IN MOGANO” (SONY MUSIC / LIBELLULA MUSIC)

Beata gioventù… Le ‘nuove leve’ del pop / rock italico si fanno largo: scelgono nomi curiosi, come Lo Stato Sociale o geniali, come Pinguini Tattici Nucleari e nella loro ingenuità e con un pizzico di paraculaggine si definiscono ‘indie’, termine che ormai ha perso tutto o quasi il proprio senso originario di autonomia, distanza e spesso aperto conflitto col ‘mainstream’.

I bolognesi Rovere si presentano parodiando fin dal titolo una nota catena di megastore del mobile, con tanto di libretto d’istruzioni e caratteri nordeuropei.

I dieci brani presenti narrano i consueti travagli della gioventù, che ruotano come al solito attorno a traversie amorose e in misura minore alla ricerca del proprio posto nel mondo.

I suoni, come detto, sono all’insegna di un pop rock in cui si può trovare un po’ di tutto, in cui qua e là emerge anche qualche spunto interessante, echi lontani di certo pop elettronico scandinavo (vedi alla voce: Royksopp), ma tutto appare ancora piuttosto acerbo e fin troppo attento a smussare ogni spigolo possibile, per un lavoro che alla fine sembra voler ‘piacere’ troppo, risultando sostanzialmente innocuo, facendo certo battere il piede qua e là, e mostrando comunque una certa capacità di dare vita a pezzi discretamente accattivanti.

Come altri loro colleghi – non a caso, al disco ha collaborato Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari – i Rovere sono una band squisitamente ‘generazionale’, sono ‘giovani per i giovani’, che almeno a differenza di ‘altri’ non pensano che per essere ‘rivoluzionari’ basti inserire un ‘ca**o’ogni tre parole… salvo poi andare a fare i ‘giudici‘nei ‘talent’.

Certo, a pensare che venticinque anni fa si andava avanti a forza di Marlene Kuntz e soci, qui sembra piuttosto di essere dalle parti degli 883…R

BOB AND THE APPLE, “WANDERLUST I – II’ (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA MUSIC)

Secondo lavoro per i Bob and The Apple, attivi dal 2010. L’unione di due EP, scritti e registrati tra il Trentino – origine del quintetto – e mezza Europa, da Parigi a Londra, passando per Berlino, affidandosi alla produzione di Ricky Damian, ingegnere del suono che ha collaborato, tra gli altri, con Adele, Dua Lipa, Lady Gaga.

Premesse del genere non potevano che dare vita a un lavoro che non può che definirsi ‘internazionale’.

Otto pezzi, cantati in inglese: una prima metà più elettrica, la seconda in cui certe suggestioni elettroniche prendono il sopravvento, pur senza eccessi. Ricordano tanto, senza ricondurre specificamente a nulla: si possono citare per certi versi i ‘soliti’ Radiohead, ma per una certo tentativo di cercare qualche complicazione in più, sul tutto sembrano aleggiare i Talk Talk, tra un pop rock ‘sentimentale’ e qualche sperimentazione (fiati, rarefazioni), raccontando di travagli generazionali, distanze,difficoltà di comunicazione…

Un disco dotato di un proprio spessore, che offre l’idea dei Bob And The Apple come una band ‘rodata’, con idee (abbastanza) interessanti.