No, vabbè: non ci ho creduto nemmeno io, quando mi sono arrivate due segnalazioni su due artiste praticamente omonime…
Comunque, questa, di Sara Jones, è romana e ancora agli inizi; qui la vediamo alle prese con un noto farmaco che più che per lo stomaco si vorrebbe usare per un cuore ‘col riflusso’, salvo concludere che il cuore tutto sommato è meglio tenerselo così com’è.
Un cantautorato pop abbastanza consueto, ma sostenuto comunque da un’interpretazione discreta.
Milanesi di origine kosovara, i due fratelli che danno vita ai Nova King offrono il classico ritratto del ragazzo di strada indurito da una vita non facile e poco incline ai sentimenti con la propria compagna.
Il campionario a cavallo tra trap e rap è più o meno ompleto, a cominciare dall’autotune, catene e orologi inclusi, ostentati in copertina.
Unica variazione sul tema, l’introduzione di un violino sul finale, forse a conservare un legame con le proprie origini.
Stavolta Il Re Tarantola si sofferma sull’aver passato ampiamente la trentina, continuando a vivere con poche certezze e molto cazzeggio, mentre intorno c’è chi è già ‘arrivato’.
Il ‘Colesterolo’ del titolo c’entra poco (nominato di sfuggita), in questo brano in cui l’attitudine punk del nostro è filtrata attraverso tastiere vintage con effetti molto pop anni ’80.
Come il titolo suggerisce, una lettera di scuse, probabilmente a un ‘lui’ (o ‘lei’) immaginario, o forse un po’ a sé stessa, probabilmente per non saper gestire i momenti complicati di ogni relazione.
Il nuovo singolo di Sara J Jones non riesce a spiccare il volo più di tanto: un’interpretazione con qualche tratto rap comunque efficace, un contorno synth pop anche troppo ‘canonico’.
Un messaggio per una storia giunta al capolinea, la necessità di voltare definitivamente pagina.
Un’elettronica speziata di etnico con vocalità che profumano della sponda sud del Mediterraneo, nella nuova proposta di questa cantautrice e produttrice napoletana, trapiantata a Roma.
Pugliese di Monopoli, Lory Coletti omaggia col proprio alias l’omonima scrittrice che, nella prima metà del ‘900, sfidò consuetudini e modi di pensare, in un’epoca in cui l’affermazione femminile era ancora una rarità.
Un invito, dai toni vagamente ironici, ad uscire dai propri ‘recinti’, a ‘guardare oltre’, a come sta andando il mondo, per un brano nato contro la xenofobia, ma il cui senso di è poi ampliato fino a riguardare l’intero atteggiamento nei confronti della vita.
Un cantato dai contorni jazz, accompagnato da sonorità pop – chitarra, un pizzico di elettronica – che certo rendono il tutto più accattivante, che finiscono per annacquare un po’ l’impronta vocale.
Un inno alla semplicità della bellezza femminile, un incoraggiamento a valutare sé stesse, un pezzo contro il bodyshaming.
Mauro Spinazzola, tarantino di nascita, padovano d’adozione, un EP e vari singoli all’attivo sforna un brano che mescola pop e hip hop, con un contorno sonoro che può ricordare il Ligabue più commerciale.
Il singolo contribuirà a finanziare l’Associazione di Volontariato “Il Bucaneve”.
L’intento è lodevole, ma l’esito resta un po’ lì, senza convincere più di tanto.
Secondo singolo per la giovane (classe 2000) Alba Giaquinto; napoletana di nascita, romana di adozione, si divide tra il suono e l’immagine, canzoni e recitazione.
Qui si affrontano le conseguenze della fine di una storia e di un abbandono, tra recriminazioni e voglia di ricominciare pensando a sé stesse.
La produzione di Aureliano Trotta conferisce al brano una veste di synth pop con sapori vagamente anni ’80
Per quanto sostenuto dalla delicatezza dell’interpretazione, il pezzo si perde un po’ nell’anonimato.
Mr Papel
Ricordi che non ho
PaKo Music Records/Believe Digital
Romano di nascita, giramondo per vocazione, Marco Melania vanta un passato di tutto rispetto nei Papel, coi quali ha suonato anche in apertura a gruppi di grosso calibro, c’è Cure o Sigur Ros.
Ora l’esordio da solista, con un progetto quasi omonimo del precedente, a sottolinearne la continuità.
La dedica alla solita ex, protagonista di una storia finita forse troppo in fretta, tanto da lasciare la nostalgia per ricordi che nemmeno ci sono.
Un pop rock incisivo, che nella ricchezza dell’ arrangiamento rievoca – molto alla lontana -band come Arcade Fire.
L’esperienza ovviamente si sente, ma forse si strizza un po’ troppo l’occhio al ‘facile ascolto’.
Valy
Arcobaleni
Zante Label / NEEDA / Altafonte Italia
Valentina Rizzi, o meglio, stavolta, Valy.
Già corista di Mondomarcio, che l’ha affiancata nel precedente singolo ‘Nella mia tempesta’, torna con un singolo dedicato alla rinascita (scritto quando ancora erano in essere le restrizioni alle attività quotidiane) e alla realizzazione personale.
Variopinto e acceso come suggerisce il titolo: la vocalist si divide tra inclinazioni soul e tentativi rap, mentre sul finale entra in scena una chitarra elettrica dalla grana rock.
Forse un po’ troppa grana al fuoco, ma l’umore solare riesce a coinvolgere.
Critica sociale ai soldi come unico pensiero di alcuni nel nuovo brano del trio proveniente dalla zona del Lago di Garda.
Una confezione gradevole, a base di sonorità anni ’70, tra funk, arrangiamenti di fiati e qualche vago riferimento alla ‘disco’, per un pezzo che si limita a criticare chi pensa solo al denaro.
Tema e suoni non nuovi e tutto assume l’aspetto di un compito senza grossi errori ‘formali’, ma che resta un po’ lì, senza coinvolgere fino in fondo.
Sorvolando sulla facile battuta sull’autore, che ‘Carnevale’ lo fa sul serio, di cognome (Emanuele è il nome), e il periodo appena concluso, vale la pena di sottolineare come questo pezzo, che arriva dopo vari singoli e un EP, abbia dei suoi motivi d’interesse.
La storia di un amore finito e il classico mix di malinconia e ricordi, si accompagna a una scrittura certo immediata, ma che cerca di andare un filo oltre lo scontato, mentre in sottofondo chitarre dall’ispirazione new wave danno al tutto un respiro pop non eccessivamente commerciale.
L’attesa della telefonata di una ex, forse destinata a non arrivare mai.
Un cantautorato dai riflessi rock, con echi del ‘Vasco nazionale’, ma volendo anche di un Grignani, nella nuova proposta di Daniele Ciavarro, romano trapiantato a Siracusa, che non ha perso certe inflessioni capitoline.
Omaggia Nina Simone col suo alias, ma guarda agli anni ’80, la milanese Valeria Napolitano che dedica il proprio esordio alla libertà, che è prima di tutto libertà dalle proprie paure.
A produrle il brano, il sapiente artigianato di Giorgio Canali, le cui mani imbracciano la chitarra, con effetti a cavallo tra post punk e dream pop, coi Cure a fare capolino dietro la porta.
Palermitano di nascita, milanese d’adozione, origini mezze cilene e mezze indiane, Esteban Ganesh Dall’Orto su cimenta stavolta in un brano scritto a quattro mani con Andrea Dodicianni che rappresenta un po’ una celebrazione dell’amicizia tra i due, sullo sfondo delle vicende personali di ognuno e di una Milano con la quale si vive il classico rapporto amore – odio, nella forma di un pop senza scosse.
Viene da una storia lunga e densa, Giovanni Battaglino: divisa tra la musica ‘colta’, lirica e sinfonica, e quella ‘popolare’, cantautorale, dapprima come componente di gruppi e poi come solista.
Al secondo disco ‘da solo’, Battaglino fa ‘il punto della situazione’, mette insieme spunti e idee raccolti negli ultimi anni, chiama un gruppo di sodali ad affiancarlo in diversi dei dieci pezzi presenti.
Un lavoro non esclusivamente autobiografico, che si allarga a raccontare storie, un paio di brani in con protagoniste femminili, un episodio dedicato alla condizione degli ipovedenti.
Occasioni, sentimentali e ‘di vita’ perse e colte, di rimpianti, di guerra, di contatto con la propria spiritualità.
Il nucleo sonoro, voce e piano, con archi e fiati, va a disegnare un pop ‘di classe’, a tratti un po’ manieristico, se vogliamo; più convincente l’esito quando si abbracciano territori vagamente jazz, in un isolato episodio volto alla Bossa Nova o nei pezzi cui si imbracciano le chitarre.
Dopo i due singoli pubblicati nei mesi scorsi, è la volta dell’EP d’esordio per le tre ragazze del trio capitolino delle Wasabi.
Un pop acceso dall’energia delle chitarre e condito di un’elettronica dai toni vagamente crepuscolari fa da cornice sonora a testi che descrivono sbalzi umorali all’insegna di un ‘male di vivere’ che non cede mai al ‘pessimismo cosmico’.
Forse un’attenzione eccessiva alla ‘bella forma’, specie nel cantato, apprezzabile ma un po’ ‘trattenuto’, priva il tutto di un filo di ‘naturalezza’: qualche imperfezione in più non avrebbe guastato.
Revman, poliziotto – rapper che mette il ‘cantar parlando’ al servizio di temi sociali, torna con un brano scritto e inciso con gli alunni delle classi quinte dell’Istituto Elisa Barozzi Beltrami del paese dell’hinterland milanese.
Nato dal ‘Laboratorio Rap’ organizzato con la Onlus FARE X BENE, il pezzo si articola su concetti semplici e diretti soprattutto contro il bullismo e le offese personali, fenomeni ben conosciuti dai ragazzini in età scolare.
Un contorno sonoro da rap vecchio stile per un’iniziativa lodevole.
I bulletti della scuola che mi volevano picchiare li odio ancora tutti
Il Piccio Records / La Stalla Domestica
Un pezzo di mezzo punk rock, con un cantato quasi rappato è il nuovo singolo de Il Re Tarantola, alias Manuel Bonzi da Bienno (Valcamonica); due – tre concetti buttati lì e affiancati in modo nonsense, col solito stile (auto)ironico all’insegna, più o meno, del cazzeggio.