Archive for novembre 2011

Questione di abitudine…

Ok, la considerazione sarà (forse) inutile e fine a sé stessa… ma io a ‘sto WordPress non mi ci riesco ad abituare: certo, è probabile si tratti solo di abitudine: dopo sei anni e passa di scrittura ‘altrove’, cambiare piattaforma è difficile. Non mi ci ritrovo… credo dipenda dal fatto che WordPress lo uso spesso e volentieri per lavoro per cui venire qui a scrivere mi pare pò una ‘replica’. d’altronde, l’ho scelto proprio perché sapevo (più o meno) a cosa andavo incontro… Insomma, poi gran parte dei miei contatti li avevo su Splinder, ora un pò qua, un pò là… E venire qui e scrivere non sembra così immediato come era allora; o forse, semplicemente, il tempo è poco… Mah…

MELANCHOLIA

Ovvero: la fine del mondo secondo Lars Von Trier. Attenzione: non è un film di fantascienza, non è “2012”… alla fine a Von Trier della ‘spettacolarita’ interessa talmente poco che il finale ce lo fa vedere all’inizio.
Dopo una sequenza a cavallo tra ‘balletto’ cosmico e ‘terreno’, con l’alternanza tra la danza dei pianeti e quella, onirica, della protagonista Kirsten Dunst, siamo buttati a capofitto nella prima parte del film, intitolata ‘Justine’, nome del personaggio interpretato dalla stessa Dunst. Troviamo la suddetta il giorno del matrimonio, attesa al banchetto… Un ritardo dovuto a un incidente di percorso ci fa intuire il rapporto da sempre conflittuale con la sorella Claire, interpretata da Charlotte Gainsbourg: la prima apparentemente incurante di tutto, non solo nel giorno del matrimonio, la seconda organizzatrice, con la testa sulle spalle, accompagnata da un marito insofferente (Kiefer Sutherland)… Nel corso della serata capiremo molto del mondo delle sorelle: un padre assolutamente immaturo, che in età avanzata si accompagna a ragazze che potrebbero essere figlie sue (John Hurt), una madre acida e delusa dal matrimonio, che fa atto di presenza non risparmiandosi dallo spargere livore a destra e manca (Charlotte Ramplig), il capo della Dunst (Stellan Skarsgard), accompagnato dal nipote, lì per capire qualche segreto dalla stessa sposa, che fa la pubblicitaria ed ha improvvisi colpi di genio.
La sposa è infelice e capiamo che si è sposata ‘tanto’ per: mentre tutti festeggiano ha la bella idea di fare sesso col nipote del capo, per poi mandare a quel paese il capo stesso e l’intero matrimonio.
Si apre la seconda parte (intitolata ‘Claire’, come l’altr sorella): Justine attraversa una forte depressione (o forse finge) e viene invitata a casa dalla sorella per assistere con la di lei famiglia al passaggio di un enorme pianeta, battezzato Melancholia, vicinissimo alla Terra. Gli scienziati sono convinti che passerà senza fare danni, ma alcuni dissentono… A Sutherland, marito di Claire (la Gainsbroug) fa la parte del ‘scientista’,  assolutamente fedele ai numeri e alla ragione; la Dunst, ripresasi, interpreta l’ineluttabilità, la certezza che tutto finirà male e, a latere, la convinzione che gli uomini sono soli nell’universo e moriranno tutti.
In mezzo Claire, divisa, che non sa più a cosa credere… tra le sorelle c’è il gelo, il personaggio della Dunst algido, quasi alienato dal resto del mondo da una consapevolezza che altri non anno; quello della Gainsbourg incerto tra affetto e aperto odio per la sorella. Troveranno alla fine un punto d’incontro nell’istinto di protezione per il figlio della stessa Claire, in un abbraccio finale prima della distruzione.
Ancora una volta di fronte a Von Trier si resta perplessi, più che in altre occasioni: non siamo di fronte alla assoluta mancanza di volontà di comunicazione di Terrence Malick e del suo “Albero della vita”, ma insomma anche qui è difficile districarsi davanti a un’opera il cui autore nulla concede alla ‘immediatezza’, per dire ciò che vuole nel suo unico modo, noncurante della comprensione o meno dello spettatore… Tutto è lasciato all’empatia, o  se volete alla libertà di ognuno di leggere e ‘interpretare’ in base alla propria sensibilità: il cinema come ‘forma d’arte’ e non di intrattenimento. Bellissime le immagini, intensa la colonna sonora (il preludio del “Tristano e Isotta” di Wagner), bella la fotografia, attori abbastanza in parte, per quanto, specie le protagoniste Dunst e Gainsbourg per quanto alle prese più del solito con un film il cui senso resta alla fine per buona parte nella testa del regista.
Non un film per tutte le occasioni, ma da vedere solo quando si ha tempo e voglia di ‘cinema difficile’.

CARNAGE

Due coppie di coniugi si incontrano per risolvere in modo ‘civile’ un banale episodio di vita quotidiana: il figlio degli uni ha picchiato quello degli altri, rompendogli un paio di denti. I genitori della ‘vittima’ sono due rappresentanti della media – borghesia: un’aspirante scrittrice dalle idee ‘liberal’, impegnata in iniziative di solidarietà verso il terzo mondo e il proprietario di un negozio di casalinghi; i genitori del ‘carnefice’ sono due professionisti: un impegnatissimo avvocato, perennemente al cellulare, impegnato al momento nella difesa di una multinazionale del farmaco e una consulente finanziaria.
La discussione si sviluppa inizialmente in modo ‘civile’, appunto, ma non passa molto tempo prima che vengano alla luce le prime crepe, nei modi di pensare, di guardare e ‘giudicare’ l’altro e via via ecco che l’apparenza e le convenzioni lasciano spazio all’essenza vera delle persone: l’iniziale scontro tra coppie si complica e muta in continuazione, si creano schieramenti ‘di genere’ (uomini contro donne), o le coppie finiscono per incrociarsi: il conflitto degenera in una serie di micro-dispute, vengono anna luce malumori a lungo tempo sopiti e conflitti latenti, in una progressiva disgregazione, tra fiotti di vomito e abbondanti dosi di alcohol che finiscono per far cadere qualunque freno inibitore.
Più che un film, un pezzo di teatro, girato interamente all’interno di una stanza: una ‘gabbia’ dalla quale i personaggi non possono uscire, venendo a patti con loro stessi e allo stesso tempo una ‘gabbia’ che costringe i quattro protagonisti a dare fondo alla propria capacità recitativa: non ci sono trucchi, non ci sono vie d’uscita.
“Carnage” film che dunque è solo ed esclusivamente affidato alle doti attoriali degli attori e ciò che più lo rende un film riuscito è probabilmente il mix dei quattro, tutti presi in diversi momenti della loro carriera: Kate Winslet è un’attrice ormai affermata che si sta avviando verso traguardi sempre più alti; Christoph Waltz dopo tanta gavetta si avvia ad affermarsi; Jodie Foster è un’attrice navigata che forse aveva bisogno di un ruolo ‘importante’ per rilanciarsi e infine John C. Reilly, per certi versi il più sorprendente, è attore con un’ormai lunga carriera alle spalle, spesso con ruoli da comprimario, che qui trova finalmente la ‘grande occasione’: il mix, efficacissimo è esplosivo, per un film (tratto dal romanzo “Il dio della carneficina di Yasmina Reza, che partecipa anche alla sceneggiatura) che è trai miglori, se non il migliore, visto quest’anno.
Avevo qualche dubbio, andando a vedere quest’ultimo lavoro di Polanski: l’arte non può essere mai completamente disgiunta dalla vita privata, e il giudizio sulle vicende del regista non può essere che lapidario e questo dispiace un pò: non avesse commesso ciò che ha commesso, di Polanski si potrebbe dire un gran bene senza troppe remore.

UN GOVERNO COI ‘COSIDDETTI’

Leggendo e ascoltando i commenti sulla formazione del nuovo Governo, ieri, mi è venuto da pensare che è proprio vero, che Berlusconi ha ‘cambiato la testa degli italiani’: nasce il Governo Monti, e tutti pensano a Passera…
Mi si passi la battuta, però… capisco benissimo che i ‘poteri’ messi nelle mani del nuovo Ministro dello Sviluppo Economico sono secondi solo a quelli dello stesso Presidente Monti, comprendo anche le perplessita di chi guarda ai ‘trascorsi’ di Passera, ma il Governo non è certamente solo lui.
La novità delle tre donne poste in ruoli – chiave è già stata sottolineata ampiamente, ma guardiamo un pò alle persone: la Cancellieri è indubbiamente una ‘brava’, una che ha lasciato un buon ricordo di sè in qualunque posto sia andata, che ha tirato Bologna fuori dal pantano e che stava facendo la stessa cosa con Parma. Poco o nulla so della Severino, la Fornero la conosco di nome, ma mi pare di aver letto affermazioni piuttosto equilibrate, da parte sua.
Come credo quasi tutti, molti dei Ministri non li conosco, o solo vagamente, di nome, quindi poco posso dire sulle loro capacità, ma l’impressione è che, sul piano generale, questo sia un Governo coi contro…….i. Certo probabilmente i singoli Ministri potranno avere posizioni opinabili, ma c’è un punto sul quale non credo si possa obbiettare: siamo di fronte a persone estremamente competenti e dunque credibili.
A dircela tutta: che differenza col Governo uscente!!!
Prima avevamo Frattini; ora, uno che da anni fa l’Ambasciatore negli U.S.A.; prima, avevamo La Russa (e vivaddio non saremo più costretti ad ascoltare la sua dizione molto approssimativa dell’italiano, fatta di ‘blindadi linge’ e quant’altro), ora abbiamo l’Ammiraglio Di Paola… e questi sono solo i due casi più lampanti.
Avremo finalmente un Ministro dell’Istruzione che, per quanto magari criticabile, non sembrerà uno messo lì ‘tanto per’ come chi l’ha preceduto; abbiamo, dopo anni, vivaddio un Ministero dello Sport… per non parlare dell’autentico calcio in faccia dato alla Lega col Ministero della Coesione Territoriale.
Addirittura, abbiamo un ‘Ministero dell’Integrazione’, assegnato al fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che con i temi dell’integrazione, appunto, ha a che fare da 40 anni e passa.
Non guardiamo, quindi, solo Passera (e comunque, detto tra noi, Passera è uno che sa quel che fa, e da lui mi aspetto iniziative soprattutto nel campo delle nuove tecnologie, come ad esempio la diffusione della ‘banda larga’), guardiamolo tutto intero, questo Governo, e naturalmente aspettiamolo alla prova dei fatti.
Per conto mio, già non dover ascoltare più gli insulti di Brunetta, la saccenza della Gelmini, l’arroganza un filo guerrafondaia di La Russa, la protervia di Calderoli, e la lista potrebbe continuare, basta e avanza… probabilmente, ero talmente assuefatto alla mediocrità che adesso pure ‘sto Governo mi sembra un consesso di genii… staremo a vedere.

BUON LAVORO, PRESIDENTE

NUOVE MODE DEI POLITICI…

…adesso se sò tutti fissati col

‘MA DI CHE COSA STIAMO PARLANDO?”

e se non lo sapete voi…

IERI…

…ero anch’io in Piazza Colonna, ad spettare, assieme a tanta altra gente; scambiandoci commenti e battute, assiepati in capannelli attorno a quelli che avevano la radio del cellulare in viva voce per ascoltare per la seduta parlamentare; magari a correre davanti ai microfoni e alle telecamere dei tanti giornalisti presenti (personalmente mi manca sempre ‘l’urlimo metro’, un pò per mancanza di coraggio, un pò per poca prontezza di spirito… sono tornato a casa con due inquadrature di sfuggita nel Tg3 e nel Tg5 della sera); ad aspettare, l’esito degli eventi e il passaggio di Berlusconi… solo che poi si è fatto tardi, e in quel momento ero già andato via.
C’era una sensazione di attesa, sfociata poi nell’euforia vista ieri sera.
Eppure, eppure oggi è già diverso: nei commenti sulla Rete leggo soprattutto come un senso di insoddisfazione.
Naturalmente, c’è il clima di incertezza che circonda il futuro, più o meno prossimo, sui provvedimenti che prenderà l’imminente Governo Monti (anche se io ci andrei cauto: non è detto che Monti riuscirà ad assolvere alla sua funzione di ‘salvatore della Patria’), però c’è anche altro.
Quasi un’atmosfera da ‘coito interrotto’, perché diciamocela tutta: nessuno pensava che Berlusconi si sarebbe dimesso così. In tanti immaginavano un finale con Berlusconi costretto a dimettersi perché condannato in uno dei tanti processi che lo vedono imputato; altri, più semplicemente, speravano in una sua sconfitta elettorale; più probabilmente, la maggior parte di coloro che auspicavano l’uscita di scena di Berlusconi, immaginavano la sua caduta in occasione di un voto di fiducia parlamentare.
Invece, nulla di tutto questo è successo.
Berlusconi si è dimesso ‘a termine’, senza manco dirlo in Parlamento, nemmeno ieri: avrebbe potuto dire: “come in precedenza annunciato, mi recherò dal Presidente della Repubblica a rassegnare le dimissioni”. Invece, non ha fatto nemmeno questo, e facciamoci attenzione, perché è un dato importante: Berlusconi ha sempre basato la sua forza sull’immagine, e l’immmagine di lui che dice: “vado a dimettermi”, non l’abbiamo.
Berlusconi non è caduto per un voto Parlamentare, né per le elezioni: si è sostanzialmente dimesso costretto da ‘forze esterne’: chiamatele UE, BCE, Francia e Germania, soggetti ‘extranazionali’ come le ‘agenzie di rating’, o entità ‘poco identificabili’ come i cosiddetti ‘mercati’.
In questo c’è qualcosa di tremendamente sbagliato e, al di là di Berlusconi, lo sappiamo tutti: chiamiamolo commissariamento, chiamiamolo come vogliamo, la il fatto è che le dimissioni di Berlusconi sono il frutto dell’azione di elementi esterni, e ciò, intendiamoci, tiene le porte aperte, addirittura spalancate a un suo eventuale ritorno.
A questo punto, le dimissioni di Berlusconi appaiono come il frutto della sua principale colpa: aver permesso che la ‘caduta’ del Capo del Governo italiano sia stato il risultato di influenze esterne e non dei meccanismi politici ed elettorali italiani.
Ha un bel dire Giuliano Ferrara, quando si riempe la bocca accusando la BCE per la sua debolezza e Germania e Francia per aver assunto il ruolo dei ‘bulli’, ma chiediamoci e chiediamogli: cos’ha fatto in questi 17 anni Berlusconi per rafforzare il ruolo della BCE o per fare in modo che l’Italia fosse uno stabile e costante interlocutore nell’ambito di crisi come quella in corso? Qui c’è il nodo, perché è del tutto evidente che se Berlusconi ha fatto poco o nulla in proposito, è perché evidentemente aveva altro da fare…
Quindi oggi ci troviamo in questo limbo: sappiamo cosa abbiamo lasciato, non sappiamo cosa troveremo; probabilmente le facce che vedremo nel nuovo Governo ci saranno in gran parte sconosciute, tutto sommato sarà sufficientemente rasserenante vedere un severo e composto Generale sostituire La Russa, un diplomatico di rango o altrà personalità di elevata caratura al posto di Frattini, un rettore universitario dove prima c’era la Gelmini, e via dicendo; ci potremo accontentare di  non ascoltare più gli insulti gratuiti di Brunetta, di non vedere più l’espressione perennemente incavolata di Sacconi, e via dicendo… Ci potremo accontentare, nell’attesa di capire cosa succederà; tuttavia restiamo sostanzialmente nell’incertezza, con la consapevolezza latente che probabilmente quello in cui Berlusconi è ‘caduto’ (e ribadisco, non è detta l’ultima) è stato il peggiore possibile.

PIET MONDRIAN: L’ARMONIA PERFETTA

ROMA, COMPLESSO DEL VITTORIANO, FINO AL 29 GENNAIO

Piet Mondrian: nome probabilmente non del tutto ignoto nemmeno a chi non frequenta abitualmente l’arte contemporanea: difficile infatti che nessuno si sia mai imbattuto almeno una volta in qella composizioni costruite su ‘griglie’ e spesso caratterizzate da quadrati e rettangoli colorati a tinta unita… tali magari da ricordare le maioliche per il bagno o la cucina, o la carta da parati.
Non è forse il caso qui di addentrarsi nella solita domanda da un milione di dollari riguardo la reale ‘dimensioni artistica’ di certe opere, tuttavia, è questa è senz’altro la ragione principale per cui l’esposizione in corso al Vittoriano una visita, questa ha probabilmente il pregio di fugare (almeno in parte) il ‘dubbio amletico’.
La mostra non è infatti dedicata al solo periodo del ‘plasticismo’ (così sono state ribattezzate le composizioni a griglia), ma segue tutta l’evoluzione artistica di Mondrian.
Gli amanti dell’arte figurativa ‘tradizionale’ troveranno all’inizio del percorso espositivo varie opere che ritraggono panorami olandesi, caratterizzati da tinte spesso plumbee dove talvolta si aprono improvvisi lampi di colore; ma anche in queste opere del primo Mondrian si intravedono ‘in nuce’ le caratteristiche della sua opera successiva, ad esempio in certe ‘ripetizioni’ (talvolta un filo ossessive) di alberi.
Successivamente Mondrian abbandona la pittura ‘naturalistica’ per abbracciare il simbolismo, ed ecco che volti, oggetti, panorami della vita quotidiana cominciano via via a trasfigurarsi, e pur conservando una certa riconoscibilità ‘strutturale’, cominciano a perdere la fedeltà al vero di forme e colori.
La terza sezione della mostra è dedicata alla fase cubista, che sfocerà in seguito nella pura assenza di forme riconoscibili della realtà, per trovare, con le rette che si incrociano e i ‘quadrati di colore’, una diverso linguaggio per definire l’universale.
Interessante la scelta, di accompagnare quest’ultima sezione a una selezione di composizioni musicali, di jazz e musica contemporanea (si va da Glenn Miller ad Alban Berg, fino a Varése e Nancarrow), rispecchiando in questo modo la passione dell’artista per la musica e creando allo stesso tempo una sorta di ‘area multidisciplinare’ all’interno della mostra.
Un’esposizione naturalmente consigliata agli appassionati di arte contemporanea e non solo, ai curiosi, per certi versi alle famiglie (da non dimenticare il fatto i bambini, sempre più ‘ricettivi’ degli adulti, apprezzano maggiormente l’arte astratta piuttosto che quella ‘classica’). Se poi cercate semplicemente un’idea per tappezzare lo studio, il soggiorno, o la camera da letto, forse vi potrebbe venire qualche idea…

PROVA

Un pò perplesso dalla prospettiva di una prossima chiusura di Splinder, sono sbarcato qui, per ogni evenienza: dopo sei anni di blog è difficile interrompere di punto in bianco e comunque vorrei essere io a decidere il come e il quando; quindi, in attesa di capire cosa succederà ‘dall’altra’ parte, ho pensato di cominciare a vedere come funzionano le cose qui…