Archive for dicembre 2013

IL CASO DI CATERINA SIMONSEN

Viviamo in un mondo in cui a tutti piace tagliare corto e semplificare: vedere tutto in bianco e nero, stabilire confini e limiti in base ai quali poter affermare ‘o con noi o contro di noi’. La complessità è un’esercizio difficile, purtroppo. Il caso di Caterina Simonsen ha offerto un bell’esempio di come troppo spesso si affrontano questioni difficili in modo troppo ‘facile’.  La questione credo sia abbastanza nota. Simonsen, studentessa di veterinaria, ha avuto il coraggio di affermare che se è campata fino a 25 anni portandosi appresso 4 malattie genetiche in contemporanea, è stato anche grazie alla sperimentazione animale. Apriti cielo: scendono in campo gli ‘animalisti’ e giù insulti, contumelie, auguri di morte. Grazia al Cielo poi scendono pure in campo persone dotate di un minimo di raziocinio a suo sostegno. Ora: non mi addentrerò qui nella questione dell’animalismo e di tutto il contorno (vegetarianesimo, veganesimo e via dicendo): si aprirebbe una questione filosofica molto complicata.  Appunto. La complicazione è difficile, la semplificazione è facile.

Caterina Sorensen ci insegna che invece bisogna distinguere, analizzare, pensare e riflettere. Il problema principale di molti ‘animalisti’ è mettere tutto lo stesso piano: la sperimentazione scientifica non è tortura e gli scienziati non sono dei pazzi sadici a cui piace infliggere dolore agli animali. Gli scienziati non sono come quelli che prendono a sassate i cani per divertimento. Caterina Simonsen scandalizza i ‘benpensanti animalisti’, perché – apriti cielo – è una studentessa di veterinaria che afferma che grazie alla sperimentazione animale ha campato fino ad oggi. E’ questo a dare fastidio, il fatto che ci siano persone che operano scelte ‘complesse’ e che non vedono tutto o bianco o nero, che non scelgono la strada della semplificazione fanatica del ‘o con noi o contro di noi’.

Si arriva ad augurare la morte ad un proprio simile solo in virtù di un’opinione diversa riguardo il rapporto tra l’uomo e gli altri animali; tra parentesi: se l’uomo è la ‘specie dominante’ un motivo ci sarà pure… la selezione naturale ci ha messo ‘in cima’, punto.  Aggiungerei pure che tutta sta litania zuccherosa sui ‘poveri animali innocenti’ rispetto all’uomo brutto e cattivo è quanto meno inesatta: andate trai leoni nella savana e vedete quanto sono ‘innocenti’…  La stragrande maggioranza dei farmaci in circolazione è passata attraverso una fase di test in laboratorio sugli animali: se un ‘animalista’ ha un figlio piccolo che si ammala, che fa? Lo lascia crepare pur di non curarlo con farmaci testati sugli animali?

E qui mi fermo, perché la questione è complicata. Io stesso non riesco a prendere posizione: mi reputo un ‘amante degli animali’, ma non un animalISTA (degli -isti diffido a prescindere); mi piacciono gli animali, ma mangio carne,  noto che l’uomo è egli stesso un animale, ma che se l’evoluzione gli ha dato un ruolo preminente, questa deve avere delle conseguenze. Non ritengo che gli altri animali siano ‘innocenti’, anzi: pensate solo a come gli animali innocenti trattino chi di loro ‘non ce la fa’, abbandonandolo al proprio destino, e pensate a come si comportano invece gli esseri umani: per fortuna dai tempi di Sparta abbiamo fatto qualche passo in avanti. Credo che la sperimentazione a scopo cosmetico sia da vietare, come credo sia stato fatto, ma sui farmaci la mia posizione è diversa. L’uomo è un animale ‘superiore’ e ha tutto il diritto di ‘usare’ il resto del mondo per perpetuare la propria specie. Certo se penso alle sofferenze degli animali in laboratorio, mi si stringe il cuore; dico allora: dateci presto un’alternativa; ma se sacrificare un topo equivale a salvare centinaia di bambini umani, ma che devo pensare? E comunque la sperimentazione non è tortura: la tortura è finalizzata al dolore, la sperimentazione ha nel dolore un ‘effetto’ che purtroppo si verifica in vista del raggiungimento di un progresso per la salute degli uomini. L’uomo è un animale, ma è inutile fare finta che sia come gli altri. Detto tutto questo, comprendo e rispetto le posizioni degni anima-ISTI; tuttavia, non posso fare a meno di notare di come tra di loro siano diffusissimi dei fanatici che pensano di essere in possesso della Verità e in virtù di questo ritengano di poter liberamente augurare la morte a chi non la pensa come loro.

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LA PLAYLIST DI DICEMBRE

Vabbé, ormai ‘ste playlist diventano sempre più rare… ma a fine anno ci vuole…

Sonata in B minor K 27 Domenico Scarlatti

Wine with me Raphael

Let’s spank politics Yumma Re

Libertà Lou Tapage

Pelle e peccato Aut In Vertigo

Il paese dorme L’Inferno di Orfeo

We Float PJ Harvey

Lost in space OP8

Changes Black Sabbath

Poundcake Van Halen

L’INFERNO DI ORFEO, “L’IDIOTA” (HERTZ BRIGADE RECORDS)

A oltre due anni di distanza dall’esordio di “Canzoni dalla voliera”, tornano i piemontesi L’ Inferno di Orfeo. Rispetto alla precedente prova, l’impronta stilistica del quartetto sembra essersi più compiutamente focalizzata su un rock di stampo cantautorale, pur senza rinunciare a quel gusto per l’eclettismo che già aveva caratterizzato il primo lavoro sulla lunga distanza.

Suggestioni folk (con tracce di indie) e accenti blues, momenti all’insegna di un’elettricità tagliente, parentesi ‘jazzate’, strizzando magari l’occhio ai colori sgargianti delle fanfare paesante, episodi volti ad una più obliqua crepuscolarità: il panorama sonoro attraversato da L’Inferno di Orfeo è ampio e variegato, pur tenendo ferme le coordinate di partenza; impronta replicata nella scelta degli strumenti, in cui a fianco della classica formazione chitarra – basso – batteria, si inseriscono di volta in volta piano e tastiere, fiati e archi.

“L’Idiota” sotto il profilo testuale è il classico disco dedicato all’osservazione e alla riflessione allegorico-metaforica sul quotidiano e la società, inserendo parentesi di più intimo raccoglimento, in cui i sentimenti prendono il sopravvento.

Il ritorno de L’Inferno di Orfeo ci mostra dunque una band vitale, che ha sfruttato efficacemente il tempo trascorso dall’esordio, compiendo ulteriori passi in avanti in stile e personalità; la strada appare quella giusta, attendiamo il seguito.

BUON NATALE…

…un pò di melassa…

 

e un pò di sana concretezza sheldoniana…

AUT IN VERTIGO, “IN BILICO” (AUTOPRODOTTO)

Disco d’esordio per gli Aut In Vertigo, band attiva fin dal 2004, proveniente dalla provincia Torinese.

Gli undici brani di “In bilico” disegnano un disco all’insegna di un ‘hard rock dei nostri tempi’, affidato alla potenza delle chitarre (sempre in primo piano, ma senza troppe velleità solistiche), nelle quali è spesso avvertibile qualche ascendenza new /wave / post punk e alla vérve interpretativa del cantante.

Qualche vaga contaminazione (blues, o reggae) completa una gamma di riferimenti sonori essenziale ma efficace, in u disco molto ‘tirato’, ma che si concede anche qualche momento di tranquillità.

Gli Aut In Vertigo assemblano un lavoro tutto sommato riuscito, per quanto non dotato certo dei crismi dell’originalità: con una certa capacità di imbastire riff e ritornelli che restano in testa anche dopo aver concluso l’ascolto, danno una forma sonora riuscita a testi (in italiano) che, fin dal titolo, trovano una sorta di filo conduttore nelle incertezze e nella precarietà dell’oggi, tra critica all’esistente e rivoluzioni forse solo immaginate, mentre la salvezza dai dubbi e dalle incognite che circondano il futuro risiede, prevedibilmente, nei buoni sentimenti.

La prova dell’esordio può dirsi superata, adesso forse resta da trovare un’impronta stilistica più marcata.

LOU TAPAGE, “FINISTERRE” (LT RECORDS /AUDIOGLOBE)

Quinto lavoro per i Lou Tapage, band di stanza a Cuneo che ha dedicato la propria esperienza artistica alla riscoperta delle sonorità occitane; in “Finisterre” il sestetto compie un ulteriore passo in avanti, azzardato, per certi versi, scegliendo per la prima volta di usare, a fianco di occitano e del francese, l’italiano, con esiti a cavallo tra la grinta dei Modena City Ramblers e la migliore tradizione del cantautorato italiano.

La cifra stilistica che in “Finisterre” finisce però per coinvolgere maggiormente e l’insieme sonoro: l’insieme di antico e moderno tipico del genere, (chitarre, bassi e batterie affiancati a violini, flauti e cornamuse), trova momenti di autentico ‘calor bianco’, in cui la band non si tira indietro e si lancia a briglie sciolte, finendo spesso per flirtare con l’hard-rock, quando addirittura non cospargendo alcuni episodi di spezie metal.

Un insieme sonoro che fa da scenario a storie a cavallo tra sapori antichi e favole moderne, allegorie della morte e sogni di fuga, parentesi di sfrenata vitalità e momenti di quiete.

I Lou Tapage proseguono così il loro viaggio, cominciato ormai oltre tredici anni fa: lo fanno utilizzato pienamente la sgargiante e variegata gamma di colori a loro disposizione, per un disco che riuscirà gradito agli appassionati e potrà rappresentare un più che gradevole diversivo a chi non frequenta abitualmente queste sonorità.

 

RENZI: ED ORA?

Quel che è detto è detto, quel che fatto è fatto… il risultato delle primarie sta tutto nei numeri: 3.000.000 circa di votanti, un plebiscito per Renzi… più che delle analisi sul ‘ciò che è stato’, sono curioso per il ‘ciò che sarà’. Gli analisti sostengono che se Renzi non è stupido, lascerà lavorare Letta, senza rischiare di buttare tutto all’aria… nel suo discorso di ieri, Renzi ha rimarcato ancora una volta l’urgenza della nuova  legge elettorale e di una riforma che semplifichi e renda più agile e meno costosa l’architettura istituzionale italiana. Bene, ma i tempi? Possibile che il solo arrivo di Renzi alla segreteria segni un’accelerazione in tal senso? E se, poniamo, Renzi davvero in uno – due mesi, dovesse raggiungere i due obbiettivi, allora che succederà? Sono abbastanza sicuro che il neo-segretario non abbia intenzione di andare a votare con l’attuale legge elettorale (qualunque essa sia, visto che appurata l’incostituzionalità di quella vigente, non si è ancora capito se, poniamo, ritorni in vigore quella precedente); tuttavia, se Renzi dovesse ottenere in tempi brevi la nuova legge elettorale,  non sono così sicuro che lasci proseguire Letta.

Renzi è ambizioso, e sappiamo bene che ha deciso di fare il segretario solo perché questo è uno step ‘intermedio’ che si è frapposto tra lui e il Governo; altrimenti del PD se ne sarebbe fregato. Ora: attualmente Renzi è il politico più popolare in Italia, a occhio e croce i sondaggi vedranno ad esempio, tornare M5S sotto al 20% proprio per l’effetto – Renzi; la destra è allo sbando, il centro inesistente; Renzi può contare su un vantaggio competitivo allucinante, vantaggio che però è destinato ad assottigliarsi per il solo passare del tempo. Votare nel 2015 per Renzi significherebbe: 1) Esporsi al logoramento del sostegno di un Governo che continuerà  ad operare come ha fatto finora, puntando tutto sul rigore dei conti, con poco o nullo spazio per la riduzione delle tasse; 2) Di conseguenze esporsi alle critiche del MoVimento Cinque Stelle; 3) Permettere al campo del centrodestra di riorganizzarsi.

Domanda: gli conviene tutto questo? La risposta non può che essere negativa, e allora io ho tanto l’impressione che non appena Renzi porterà a casa la legge elettorale, cercherà il ‘casus belli’ per far cadere il Governo, magari prendendo a pretesto la politica fiscale o altro; di tempo ce n’è obbiettivamente poco, ma ce n’è… e davvero pensate che Renzi non sia intrigato dall’idea di presentarsi in Europa come il nuovo Capo del Governo in occasione del semestre di Presidente italiana UE? Lo ribadisco, l’uomo è ambizioso, e a restare per oltre un anno ad occuparsi delle beghe di partito, proprio non ce lo vedo.

PRIMARIE PD: IL MIO VOTO PER CIVATI

Ammetto di essere stato un po’ incerto fino all’ultimo momento, sul se votare o meno a queste primarie: il fatto è che ritengo del tutto sbagliato affidare l’elezione del segretario di un partito a ‘cani e porci’. L’elezione di chi deve guidare un partito non può essere affidata a chiunque, incluso il primo che passa e che magari la domenica pomeriggio non ha nulla di meglio da fare e si ritrova due euro in tasca; l’elezione del segretario di un partito, almeno nel caso di un partito come il PD, che vuole continuare ad essere un partito tradizionale, dovrebbe essere riservata agli iscritti e ai militanti, quelli per intenderci che dedicano alla causa tempo, fatica e soldi; aprirla a tutti, inclusi quelli che il resto dell’anno se ne fregano, mi pare un’enorme mancanza di rispetto nei confronti di chi ‘si fa il mazzo’.

Tuttavia, mi sono detto: se al PD hanno deciso che le ‘regole del gioco’ devono essere queste, chi sono io per criticare? Oltretutto ho una sezione sotto casa e versare due euro non è certo un problema, quindi andiamo.

Ho deciso, con pochi dubbi, di votare per Civati; l’ultima volta, a fine 2011, avrei votato Renzi, ma nel frattempo sono successe e cambiate tante cose, lo stesso Renzi, che prima mi convinceva molto di più, adesso mi pare molto meno attraente.

Voterò Civati per poche, essenziali, ragioni:

1) Civati è l’unico che non abbia paura della parola ‘sinistra’: è vero, tutti e tre i candidati la nominano a vario titolo, ma per Renzi  sembra essere più che altro un ‘brand’, un ‘marchio’: diciamo ‘sinistra’ e poi ci mettiamo dentro tutto quello che vogliamo; Cuperlo la nomina, ma la mette al centro di un discorso  che ha molto a che fare con la filosofia e ben poco con la realtà. Civati parla di ‘sinistra’ e accompagna il concetto, per dirne una, citando il rapporto con Sel: non perché con Sel – esperienza nei fatti fallimentare – si debba per forza fare qualcosa, ma perché quanto meno bisogna porsi il problema di come comportarsi nei confronti di chi in Italia vota ancora a sinistra o che non ha votato per la mancanza di alternative plausibili da quelle parti.

2) Civati è l’unico che di fronte a certe questioni, la cui risoluzione è dirimente se il PD vuole definirsi un partito serio, non nasconde la testa sotto la sabbia; ne cito solo due: la prima, è quella dei famosi 101 impallinatori di Prodi. Fateci caso, nel PD non se ne è più parlato: anzi, se qualcuno fa tanto di ritirare fuori la questione le reazioni sono spazientite, nervose, “ancora con quella storia”… è il simbolo del PD da quando è nato: non si affrontano i problemi, si nasconde la polvere  sotto il tappeto: passata la festa, gabbato lu santo, almeno fino alla prossima volta. Credo invece che all’indomani di quella pagliacciata oscena si sarebbero dovuti cercare i famosi 101, prenderli e sbatterli fuori a calci nel c**o dal PD. Punto. Tutto il resto è fuffa. La seconda questione è quella del Governo in carica: Civati è l’unico che dica chiaramente che il PD al Governo con la destra non deve starci; bisogna fare la nuova legge elettorale, e poi di corsa alle urne; sullo stesso tema, Renzi e Cuperlo sono quanto meno ambigui: Renzi la butta sul ‘il Governo se vuole durare, faccia quello che bisogna fare’, concetto a dire il vero generico e lacunoso; Cuperlo è ancora peggio: l’immagine della rassegnazione: “signora mia, bisogna starci”… a sentire Cuperlo sembra quasi che il PD al Governo col PDL ci sia capitato per caso.

3) Civati è l’unico che si pone veramente il problema del rapporto con chi ha votato M5S, e qui il mio discorso si fa molto più di parte. Ora: gli elettori del MoVimento Cinque Stelle in genere sono giudicati come dei gonzi, dei co***oni che ‘si sono fatti fregare’; di conseguenza vengono giudicati alternativamente o come pecore da ricondurre all’ovile (Renzi), o come dei deficienti che vanno ignorati (ciò che sembra pensare Cuperlo, dal quale sulla questione non ho sentito pronunciare mezza parola). L’atteggiamento di Civati mi pare leggermente diverso: ora, io non sono nella sua testa, possibile benissimo che anche lui ritenga chi ha votato M5S un emerito co***one: mi pare però che nel PD sia l’unico che ha comunque mostrato un certo rispetto per la scelta, l’unico a non aver mai insultato Grillo e i suoi, o ad averli trattati con la classica spocchia pseudointellettuale tipica della ‘sinistra storica’ (vedi L’Unità, Gruber, RaiTre e compagnia bella), ma ad aver affermato che con Grillo i suoi ci si debba confrontare, perché i problemi che pongono con la sinistra hanno molto a che fare… atteggiamento che tra l’altro da anni è portato avanti anche dalla brava Debora Serracchiani, guarda caso uno dei pochi esempi di sinistra vincente negli ultimi anni… Serracchiani si è schierata con Renzi, vedremo se riuscirà a portare avanti lo stesso atteggiamento.

Più in generale, Civati mi convince, perché come ha sottolineato lui stesso, combina la novità con l’essere di sinistra. Renzi si presenta come il nuovo, ma è ‘nuovo’ che col passare del tempo sembra sempre più fine a sé stesso, costretto a mantenersi su affermazioni generiche – “bisogna fare quello che bisogna fare e non bisogna fare quello non va fatto” – per piacere a tutti. Cuperlo si presenta come la ‘vera sinistra’, ma è del tutto evidente che rappresenta l’evoluzione del filone dei D’Alema, dei Veltroni e dei Bersani, che ha portato la sinistra italiana allo sfascio: grazie, abbiamo già dato. Se vogliamo, c’è anche un motivo di immagine: Renzi si era presentato come una sorta di ‘ibrido’ tra ‘Pinocchio e il Grillo parlante’: capace di gridare che ‘il Re è nudo’ nei confronti dell’inettitudine del PD… Col tempo, quest’immagine si è affievolita, di pari passo col progressivo imbolsimento e ‘inquartamento’ del sindaco di Firenze, sempre più ‘in carne’: col passare dei mesi, Renzi ha puntato a imbarcare chiunque, nei fatti con un’operazione per certi versi analoga a quella di Veltroni, che ha svuotato progressivamente di contenuti la sua proposta. Cuperlo, non ne parliamo: l’occhi ceruleo che spicca su un volto pallido, ai confini dell’emaciato, l’aspetto perennemente malaticcio di chi non ha visto un palestra manco col binocolo. Civati sembra il meno peggio: certo la barbetta spesso incolta e il capello lasciato scomposto ‘ad arte’, sanno molto di ‘intellettuale da centro sociale’, ma insomma, mi ispira più fiducia il suo aspetto di quello ‘pericolante’ di Cuperlo o di quello fin troppo ‘in salute’ di Renzi… ;-)Per questo, voterò Civati, scelta probabilmente perdente in partenza, ma almeno potrò dire di aver fatto in coscienza ciò che ho ritenuto meglio per il PD.

YUMMA RE, “SING SING” (MONOCHROME RECORS, / TIPPIN THE VELVET / AUDIOGLOBE)

Nati nel 1996, tra alterne vicende, la classica gavetta dal vivo e varie collaborazioni, anche cinematografiche, gli Yumma Re giungono oggi a dare un seguito anche alla loro discografia, ferma finora all’esordio, “Eden”, targato 2008.

Dieci brani all’insegna di un connubio tra elettricità ed elettronica: tema non nuovo, ma svolto con una certa personalità; si va da suggestioni che – specie nei momenti più calmi – evocano i Depeche Mode (magari quelli a cavallo tra anni ’90 e 2000), anche per merito del cantato di Luigi Nobile (con un occasionale accompagnamento femminile) a momenti all’insegna di rarefazione che riconducono alla felice stagione del trip – hop; per altro verso, dal lato più ruvido della faccenda, il quintetto si mostra capace di rievocare le sferzate urticanti del post punk. Un terzo filone del disco è quello di brani più intimi e dal tono crepuscolare, caratterizzati da sonorità più scarne. Dominano chitarre elettriche, tastiere, piano synth, con la classica sezione ritmica di complemento, qualche fiato a fare capolino.

Un insieme di soluzioni sonore messo al servizio di testi che, prendendo le mosse dal semplice dato autobiografico (il titolo del disco proviene dal nome del palazzo in cui i tre fratelli nobile, nucleo storico della band, sono cresciuti), getta lo sguardo sul mondo che gira intorno, quello più vicino, prendendo di mira la classe politica, lo stato della cultura e della società in genere, e quello più lontano, con una dedica speciale al Sudamerica.

In mezzo, ampio spazio è comunque lasciato al proprio mondo interiore, con omaggi a Billie Holiday e citazioni della Norma di Bellini.

Nonostante i riferimenti sonori espliciti, la formula non originalissima e momenti in cui il ‘già sentito’ fa più volte capolino, gli Yumma Re, riescono comunque ad evitare che lungo l’ascolto di “Sing Sing” si faccia largo la noia, supplendo a questi punti deboli con un’adeguata dose di personalità e capacità esecutiva.

R.I.P. NELSON MANDELA (1928 – 2013)

Quando muore un ‘gigante’ del genere di parole da dire ne restano già poche: il grosso del ‘lavoro’ lo hanno già svolto le redazioni dei giornali, pochi clic nella cartella dei ‘coccodrilli’ tenuti pronti all’uso… Si corre il rischio di essere banali e comunque, banalmente, chi è vissuto in un Paese ‘civile’ (per quanto disastrato) come l’Italia non può nemmeno lontanamente capire cosa sia stato il Sudafrica dell’Apartheid e chi sia stato Mandela… Quando Mandela venne scarcerato, a farmi impressione fu la sua assoluta ‘normalità’: un signore che aveva già superato la mezza età, coi capelli brizzolati, che camminava lentamente tra due ali di folla tenuta a stento a freno dai responsabili della sicurezza… Non aveva, per dire, l’aria ‘ascetica’ di un Gandhi (almeno con l’immagine che ne ho io, vista tante volte nei documentari), tanto meno le pose e i gesti ‘plateali’ di un Castro… e forse la vicenda di Mandela ci dice proprio che in fondo chiunque è in grado di abbracciare un ideale, fino ad accettarne tutte le conseguenze. I sudafricani a ragione non stanno piangendo Mandela, ne stanno celebrando con canti e balli l’opera e la vita; una vita che per una volta non è scontato definire straordinaria, una vita lunga in qui Mandela ha combattuto, sofferto, pagato per ciò in cui credeva ma durante la quale  – ed è privilegio di pochi – ha potuto vedere vinta la lunga battaglia, provare l’immensa soddisfazione di poter dire ‘ce l’abbiamo fatta’. Mandela entrerà così nel ristretto novero di coloro destinati ad essere ricordati – in positivo – per le opere, le parole, il bene fatto: è questo è forse il miglior riconoscimento alla sua lunga e straordinaria vita.