Archive for marzo 2019

MARELLA MOTTA, “AND EVERYTHING BETWEEN” (ANOTHER MUSIC RECORDS)

Non il primo disco per la biellese Marella Motta, ma dall’esordio sono passati svariati anni, e questo può essere considerato un nuovo inizio.

Soul e r’n’b, ascendenze afro (per retaggio famigliare) e qualche accenno jazz, per dieci pezzi (cantanti in inglese), dotati di una certa gradevolezza pop, privi di eccessivi ammiccamenti, eleganti, ma senza essere freddamente sofisticati.

La scena è naturalmente occupata dalla voce di Marella, tra dolcezza e un filo di malinconia; la accompagnano Jacopo Mazza, che oltre a suonare piano e tastiere si trova anche occupato degli arrangiamenti, ed Emanuele Pella, a batteria e percussioni, per un lavoro dai suoni essenziali (come accennato, con qualche digressione jazz), che evita certe ‘esagerazioni produttive’, non rare per il genere.

Quello che resta, però, è la voce di Marella Motta. Intensa.

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DANIELE BOGON,”17 ENCORES” (NEW MODEL LABEL)

Riedizione ampliata dell’esordio da solista del compositore padovano, dopo precedenti esperienze post-rock, uscito lo scorso anno solo in digitale, a nome Alley.

Stavolta Bogon si presenta col suo nome e arricchisce la versione ‘fisica’ del lavoro con cinque pezzi, quindici il totale.

Siamo dalle parti della musica d’ambiente, delle rarefazioni, dei tappeti sonori e delle suggestioni cinematografiche, costruzione di scenari, immersioni oniriche, melodie spesso appena accennate o comunque evanescenti affidate al pianoforte, o all’intervento di qualche arco, il resto tutto affidato alla costruzione di sfondi e sottofondi attraverso l’ampio uso di synth e il ricorso, non esagerato, all’elettronica.

Il risultato è, come spesso avviene in questi casi, suggestivo: certo è difficile offrire qualcosa di originale a un genere che, con i dovuti distinguo, può farsi risalire a Satie e Debussy, e che forse più di altri vive sull’incontro con la ‘disposizione d’animo’ dell’ascoltatore: musica d’ambiente, ma non di sottofondo, che richiede la disponibilità a farsene avvolgere…

 

 

 

 

 

 

CABOOSE, “HINTERLAND BLUES” (NEW MODEL LABEL)

Esordio sulla lunga distanza (dopo un precedente EP) per gli italo-berlinesi Caboose.

Il titolo dice tutto, o almeno gran parte: il blues al centro, con la sua varietà di umori, ruotati attorno certo a quella tipica malinconia ricorrente, ma sviluppati di volta in volta in modo dolente, o più energico, col passo pesante e il fiato corto con cui si procede nei terreni paludosi o il ritmo incalzante di un treno in corsa.

Non sono più i tempi degli schiavi nelle piantagioni, ma sono tempi di diverse schiavitù e costrizioni, non fisiche (almeno non nel senso originario), ma spesso sociali, a volte ‘morali’; alla tirannia dei campi si sostituisce quella della disoccupazione che costringe spesso le persone a partire; a pratiche di sfruttamento se ne sostituiscono altre, i guadagni volti alla soddisfazione di bisogni ‘indotti’, l’onnipresenza dei social fa sentire fuori posto chi appartiene ad un’altra epoca…

La fuga, allora: reale o solo immaginata, temporanea o senza ritorno (fino all’autodistruzione), forse e soprattutto per conoscere meglio sé stessi…

I Caboose esprimono tutto questo con un disco che, pur fermamente radicato nei suoni di riferimento, cerca continuamente delle variazioni, tra ballate oscure, parentesi country, episodi più ‘virulenti’, l’armonica spesso e volentieri a prendersi la scena, lasciando alle chitarre il compito di dare corpo e solidità.

Non solo per gli amanti del genere.

CAPTAIN MARVEL

‘Arruolata dai Kree nella loro infinita guerra con gli Skrull, ‘Vers’ arriverà sulla Terra per una missione legata al suo passato, che le restituirà la propria identità – Carol Danvers – e le darà piena coscienza dei propri poteri, da usare col nome di battaglia di Captain Marvel (io ‘sta storia del ‘Captain’ al posto del ‘Capitan’ non l’ho mai digerita, ma vabbé).
Primo film Marvel dedicato ad un’eroina femminile, e per questo subito derubricato come ‘femminista’, anche se non credo basti una protagonista volitiva e che pensa di non dover dimostrare nulla a nessuno a giustificare le lodi o le critiche sollevate su questo aspetto del film: il messaggio è insomma trasversale e non sono certo solo le donne a doversi rialzare dopo ogni caduta o a dover dimostrare qualcosa agli altri se sono sicure di sé stesse.
Sbrigata questa faccenda, resta il film, discreto esempio del genere, una classica storia di (ri)scoperta delle proprie origini, con momenti gloriosi, le immancabili gag (prevedibili per chi già conosceva i fumetti) – stavolta incentrate su un ‘gatto’ decisamente ‘particolare’ – e l’altrettanto immancabile travisamento di un personaggio storico, che ha suscitato l’ira dei lettori storici e le consuete polemiche (a questo punto c’è da pensare che il tutto sia voluto).
A lasciare il segno è però soprattutto la colonna sonora: il film è ambientato nei ’90, e questo ha permesso agli autori di sbizzarrirsi, arrivando a ‘rispolverare’ le Elastica e i No Doubt, senza farci rinunciare ai Nirvana.
Gli attori se la cavano: Brie Larson è credibile, Samuel L. Jackson è un’ottima spalla per tutto il film, Jude Law e Annette Bening svolgono agevolmente il compito, Clark Gregg torna a vestire i panni dell’agente Coulson.
Un film che sembra dare nuova linfa a un universo cinematografico Marvel un po’ in affanno e un ottimo antipasto in attesa del fragoroso “Avengers Endgame” del mese prossimo in cui Captain Marvel sembra destinata a un ruolo di primo piano.

ALESSANDRA FONTANA, “SEMPLICEMENTE” (TIKKA MUSIC / NEW MODEL LABEL)

“Semplicemente”… la manciata di pezzi – dieci – di un’artista che nella musica è immersa da sempre: la danza nell’infanzia, poi il canto ‘di gruppo’ nei cori, l’insegnamento, i palchi calcati ‘in proprio’, cantando cover…

La scrittura, nel frattempo: i pezzi scritti per sé stessa, indagando le proprie emozioni, talvolta forse per darsi coraggio… l’opportunità, infine, di renderne in qualche modo partecipi anche ‘gli altri’.

“Semplicemente” Alessandra Fontana, appunto: che con discrezione, timidezza quasi, anche negli episodi più ‘vivaci’ (parentesi pop / rock, un accenno funk) offre al pubblico le proprie forze e fragilità (con episodi dedicati alla potenza della musica e dell’amore) accompagnandosi con piano e tastiere, un paio di ‘ospiti’ a rinforzare i suoni con chitarra, basso e batteria.

L’impronta resta comunque – e non poteva probabilmente essere altrimenti – marcatamente cantautorale, i suoni spesso essenziali a sottolineare e rafforzare il colore emotivo delle parole.

“Semplicemente”, appunto: un disco diretto e senza filtri, tutto giocato sulla necessità di comunicare.

PLAYLIST 1/ 2019

Periodica selezione di brani tratti ai dischi recensiti sul blog.

 

Fottuti e Felici    Profusione

Rubicon 11302    Baobab Romeo

Gli umori di te    Lo-Fi Poetry

Love is all     Randevu

Tadaouaha     Spiryt

Discanto    Alberto Nemo

Funk Shui    Francesco Mascio

Pricipianti    Umberto T.

Something Good    Toria

Road of Kicks    Charcoal

Crush on you    Keet & More

Tapis Roulant    Roncea

Eridano    Cranchi

Kinnafunk    Electric Circus

Contorni    Larocca

 

 

FUMETTAZIONI 1/2019

Brevi (più o meno) recensioni di letture disegnate…

 

SILVER SURFER – REQUIEM

Non c’è nulla di meno definitivo della morte dei supereroi: in genere, manca il corpo, e allora scopriamo che il nostro si è rocambolescamente salvato; se il corpo c’è, il più delle volte è un clone, un automa o roba del genere; quando veramente ogni speranza sembra essere perduta, ecco intervenire qualche potere insospettato, o qualche entità superiore…
No, l’unico modo per assistere a una dipartita è trasferirsi in un futuro indefinito, e raccontare una storia che probabilmente non arriverà mai.
Lo hanno fatto, nel 2007, J. Michael Straczynski ed Esad Ribic, narrandoci gli ultimi giorni del ‘surfista d’argento’, il suo commiato dalla Terra, suo pianeta adottivo, e dai suoi eroi, la sua ultima impresa (pacificare due pianeti in guerra da oltre un millennio), il ritorno al pianeta – natale Zenn-La e all’amata Shalla Bal, prima dell’incontro finale con Galactus, colui che gli ha dato i poteri e che in un ultimo gesto di rispetto (affetto?) esaudirà il suo ultimo desiderio, consegnandolo a un tipo speciale di immortalità…
Straczynski gioca facile coi sentimenti, qui poi si parla di un personaggio tra i più tormentati e filosofici della Marvel, coadiuvato da un Esad Ribic più che mai a suo agio nel dipingere le tavole di una storia con poca azione e molte riflessioni.
Voto: 8

 

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

Quello delle parodie è uno dei filoni più gloriosi della Disney, con ormai innumerevoli, e spesso riuscitissime, traposizioni, a partire dal mitologico
“Inferno di Topolino”.
Spesso una ‘prova del nove’ per gli autori, in altre occasioni un’autentica consacrazione (non si assegnano riletture di ‘grandi classici’ a gente inesperta, per maneggiare certo materiale ci vogliono mani – e matite – ferme).
“Orgoglio e Predgiudizio” si candida seriamente a restare negli annali; sicuramente, si farà ricordare a lungo.
Stefano Radice e Teresa Turconi – coppia nel lavoro e nella vita – danno forma a una eccezionale versione ‘paperizzata’ del capolavoro di Jane Austin (per chi vuole recuperarla: è uscita nei numeri 3292 – 2294 di “Topolino”, ma è sicuro che in breve tempo avremo versioni cartonate, ‘de luxe’ e quant’altro), seguendo e adattando il romanzo, ma conservandone lo spirito e – soprattutto – i sentimenti.
I dialoghi e le scene leggere e coinvolgenti della Radice, il tratto – come al solito, delizioso – di Turconi, fanno vivere personaggi destinati a rimanere impressi.
Una parodia che rappresenta il giusto riconoscimento alla coppia e il cui risultato rafforza l’idea che i due abbiano tutte le carte in regola per entrare nel novero dei ‘grandi’.
Voto 8,5

 

CAPTAIN AMERICA – TRUTH

Approfondimenti e retroscena delle origini del Capitano, per una rilettura – uscita nel 2003 – senza eccessivi stravolgimenti.
Steve Rogers non è stato l’unica cavia degli esperimenti per il supersoldato: veniamo a sapere di una squadra di soldati afroamericani potenziati e mandati dietro le linee nemiche, con scarsa preparazione. L’unico superstite, Isaiah, sarà protagonista di un’ultima missione suicida, in un campo di concentramento; ai giorni nostri, Capitan America indagherà sulla vicenda, fino a un finale amaro.
Omaggio al sacrificio dei militari afroamericani per una ‘Patria’ che ai tempi li considerava ancora cittadini di seconda serie o esseri inferiori.
‘Escursione supereroistica’ per Robert Morales (mancato nel 2013) e Kyle Baker, attivi in coppia soprattutto nel settore satirico, il secondo noto
per “Perché io odio Saturno”, che coi suoi disegni ‘deformati’ dà alla storia il suo tratto più caratteristico.
Voto: 7,5

 

THE INFINITY CRUSADE
Capitolo conclusivo della trilogia dell’Infinito’, che a inizio anni ’90 fissò un nuovo standard per i ‘mega crossover’ di casa Marvel, tanto riverberarsi ancora oggi, nei colossal cinematografici.
Stavolta la consueta pletora di supereroi si trova di fronte ad una autoproclamatasi ‘Dea’ intenzionata a purificare l’universo dal male attraverso la distruzione totale e che per raggiungere l’obbiettivo fa il lavaggio del cervello a un’ampia schiera di eroi…
Seguono le classiche botte da orbi, in una storia che regge bene fino a metà, prima di perdersi un po’ dovendo mediare tra la necessità di azione – che alla fine non è nemmeno tutto ‘sto che – e le aspirazioni ‘filosofiche’ di Jim Starlin (affiancato ai disegni dal ‘solito’ Ron Lim) che stavolta propone una riflessione sul quanto potrebbe essere accettabile un mondo pacificato attraverso la soppressione del libero arbitrio. La ‘trilogia dell’Infinito’ si chiudeva così con un’occasione persa.
Voto: 6,5

 

EMPIRE

Mark Waid e Barry Kitson firmano questo progetto, nato come pubblicazione indipendente e poi finito sotto l’ombrello della DC.
L”Impero’ del titolo è quello stabilito dal supercattivo Golgoth che, dopo aver fatto piazza pulita dei ‘buoni’ deve ora vincere le ultime sacche di ribellione sulla Terra, avere a che fare con un manipolo di ‘luogotenenti’, legati a lui soprattutto grazie a una sostanza di origine misteriosa e prendersi cura di una figlia poco più che adolescente, tenuta sotto una campana di vetro, lontana dal peggio delle sue nefandezze.
Singoli problemi di poco conto per uno che ha conquistato il Globo, ma che se finiscono per essere collegati tra loro, possono diventare esplosivi…
Premesse interessanti per una storia che però resta in sospeso, con un finale più che mai aperto in attesa che un giorno, chissà, gli autori la riprendano, trovando qualcuno disposto a pubblicargliela.
Voto: 6,5

 

BATMAN – EGO

Bruce Wayne faccia a faccia col suo alterego: le origini, le motivazioni, l’evoluzione di una lotta al crimine che, in fondo è anche una lotta con sé stesso: combattere il male ‘fuori’ per non soccombere ai propri demoni interiori.
Un gioiello batmaniano scritto e disegnato da Darwyn Cooke, andatosene troppo presto.
Voto: 8

 

INVINCIBLE 61

Mark ed Eve continuano con la loro nuova vita su un mondo extraterrestre, con qualche preoccupazione per la loro figlia, la piccola Terra. Tutto molto serie tv americana, pur se con qualche nube all’orizzonte…
Voto 6,5

Conclude la sua corsa Wolf-Man, dopo aver proposto una versione non originalissima della classica lotta tra licantropi e vampiri.
Voto: 6,5

 

SELINA’S BIG SCORE

Smesso il costume di Catwoman, Selina Kyle, assieme a un manipolo di compagni, si lancia nell’impresa ‘della vita’: una classicissima ‘rapina al treno’, complicata dal fatto che il treno appartiene alla malavita e che tutti i soldi che ci sono sopra sono destinati a pagare una grossa partita di droga…
Darwyn Cooke dà vita a un ‘must’ nella bibliografia di Selina / Catwoman, con le consuete atmosfere retrò e la consueta gioia per gli occhi.
Voto: 8

 

SUB MARINER: THE DEPTHS
La spedizione di uno ‘svelatore di bufale’ alla ricerca della precedente missione di un esploratore partito alla ricerca della perduta Atlantide, misteriosamente dispersa, è gravata da plumbei presagi, legati a una figura mitologica, quella di Namor, protettore della città perduta… La discesa nelle profondità marine si trasformerà in un viaggio negli abissi della follia, con un crescente climax di orrore che sfocerà nell’autentica epifania del Sub Mariner…
Peter Milligan scrive la storia di un gruppo di uomini in un mondo di mostri e creature semidivine, in cui anche la più fredda razionalità deve cedere il passo di fronte a una realtà in cui il soprannaturale acquisisce sostanza fisica… insieme a lui, Esad Ribic coi suoi corpi che sembrano scolpiti nel marmo, uno dei maggiori talenti attualmente in circolazione, per una storia che riecheggia i più classici romanzi d’avventura, con l’aggiunta di un tocco lovecraftiano.
Voto: 7,5

 

SAVIOR 28
Dopo decenni passati tra supercriminali e minacce aliene, aver visto nemici e amori scomparire, posto davanti al proprio più grande fallimento – il mancato intervento l’11 settembre 2001 – il supereroe Savior28 diventa un’icona del pacifismo mondiale.
Quando però si smette di menare le mani e si cerca di intervenire sugli equilibri della politica mondiale, è ovvio che qualcuno non gradisca…
J. M. De Matteis, maestro forse non troppo riconosciuto del fumetto supereroistico e non solo, scrive una storia che potrebbe essere la base di un film di Oliver Stone; interessante, anche se l’impressione è che De Matteis avrebbe avuto bisogno di più spazio, al di là di questi cinque numeri; i disegni, non eccezionali, di Mike Cavallaro, non aiutano.
Voto: 6,5

 

THE WALKING DEAD 57

L’addio più difficile dall’inizio della serie, con tanto di ‘saluto’ dello stesso autore; se ne va uno dei pilastri della serie, e sarà difficile che tutto continui a scorrere come prima; nuovi equilibri in vista, nuovi ‘rapporti di forza’ e, di certo, nuove minacce sulla strada del ritorno alla ‘vita civile’.
Voto: 7,5

 

BATMAN – HUSH
Jeph Loeb negli ultimi vent’anni ha runnovato la tradizione dei ‘supereroi senza macchia’, facendo risplendere la loro aura di ‘miti contemporanei’; Jim Lee è stato, negli anni ’90, uno dei ‘rivoluzionari’ del disegno e portabandiera della creatività degli autori. Insieme, nei primi 2000, hanno dato vita a questa scorribanda a perdifiato nel mito batmaniano, in cui il Cavaliere Oscuro affronta un nemico misterioso che usa nemici e amici come pedine di una partita a scacchi.
Quasi un pretesto per tirare una linea, e far confrontare Batman con tutte, o quasi, le persone e i personaggi incontrati lungo la strada, con un occhio particolare per Catwoman, il rapporto con la quale qui raggiunge un punto di non ritorno, portando alla luce ciò che fino a quel momento.
Una saga entrata a far parte di diritto delle letture imprescindibili per ogni fan del Cavaliere Oscuro.
Voto: 8

 

DARK KNIGHT RETURNS – THE LAST CRUSADE

Sorta di prologo al ‘mitologico’ “Ritorno del Cavaliere Oscuro”, con un Batman che comincia a sentire il peso dell’età e un Robin preda del ‘sacro furore’ della gioventù che si appresta, forse, a prenderne il posto… ma il Joker è in agguato…
Brian Azzarello sviluppa le idee e la versione dei personaggi data da Frank Miller affiancato da un John Romita Jr. qui in una delle poche prove convincenti degli ultimi tempi.
Tutto però si esaurisce troppo presto, con uno sviluppo che da metà storia in poi si fa decisamente frettoloso.
Voto: 6

RONCEA, “PRESENTE” (DISCHI SOTTERRANEI / LIBELLULA MUSIC)

È un disco importante, per l’italo-francese Nicolas J. Roncea, il suo quarto; importanza non esaurita dalla sola scelta di esprimersi, per la prima volta, in italiano, ma che ha più a che fare con la volontà di ‘vuotare il sacco’, mostrandosi ‘come si è ‘, con tutto il proprio campionario di emozioni, senso di inadeguatezza, paure, perdite amorose di fronte alle quali è difficile rassegnarsi, modo di approcciare la vita… senza che tutto questo voglia dire che il disco sia improntato su toni plumbei: è più che altro una sorta seduta di ‘autoanalisi’, una fotografia del proprio ‘presente emotivo’, come suggerisce anche il titolo.

I suoni sono all’insegna di un indie rock fatto di ‘abrasioni controllate’, momento semiacustici, ‘tentazioni pop’, la vena cantautorale che nonostante l’evidenza data alle Parole cerca di non private di senso la parte sonora della questione.

Assieme a tre compagni di strada – Simone Pozzi a batteria e percussioni, Manuel Volpe su basso, synth e chitarre, Giulia Provenzano alle tastiere, oltre che con la sua vocalità eterea – Nicolas J. Roncea dà vita a un disco giocato soprattutto emotività, riuscendo così a stabilire un contatto con l’ascoltatore.

RANDEVU, “RANDEVU” (BASSA FEDELTA’ / LIBELLULA MUSIC)

Il nome del gruppo e del disco danno già l’idea dell’incontro: che la vita sia l’arte dell’incontro l’avevano detto del resti già Endrigo, Ungaretti e De Moraes una cinquantina di anni fa… qui, l’incontro avviene tra due musicisti di stanza a Roma, con una collaborazione già avviata, e una cantante franco-nepalese: nascono i Randevu e questo è il loro esordio.

Il respiro è internazionale, per nove pezzi masterizzati in quel degli Abbey Road Studios di Londra e soprattutto cantati in inglese e francese.

La proposta è quella di un pop ‘ricercato’, tendente all’acustico, a ricordare in ugual misura esperienze d’oltralpe e d’oltremanica, con derive rock appena accennate. Le tematiche sentimentali hanno la prevalenza, ma c’è spazio anche per una riflessione sulla ricerca di sé stessi o di un contatto ritrovato con la natura, in un lavoro che può contare su alcuni ospiti, sia nei suoni (la sezione ritmica è ‘esterna’) che nelle parole, con un paio di contributi, cui si aggiunge la traduzione in musica di un testo di John Donne.

Gradevole l’esito (e poi a dircela tutta il cantato femminile in francese ha sempre un suo perché…), per un lavoro adatto alla primavera in arrivo.

KEET & MORE, “OVERALLS” (AUTOPRODOTTO / ALOHA DISCHI / LIBELLULA MUSIC)

Dopo essersi fatti le ossa nel circuito dei (pochi) locali capitolini che ancora danno spazio al ‘rock emergente’e aver pubblicato un primo singolo, i Keet & More giungono al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza.

Un salto nell’America profonda, quella delle grandi pianure, degli spazi aperti assolati, delle paludi, tra blue-grass, country e folk, ballate un filo oscure e cori da saloon, suggestioni western e southern rock.

L’aggettivo più calzante è ‘solare’, per undici brani con cui dichiaratamente non si vogliono mandare messaggi o riflettere sui ‘massimi sistemi’, ma che sono ‘solo’ la prova di un trio di amici che si divertono a fare musica assieme, prendendo spunto dal quotidiano e lasciando intatta una sana attitudine ‘cazzeggiona’ con cui maneggiare gli strumenti, tra cui, e non poteva essere altrimenti, armonica, banjo, violini e steel guitar.

Si batte il piede, si scuote la capoccia e tanto basta, perché ogni tanto c’è anche bisogno anche di dischi come questo.