Tutti, più o meno, abbiamo una sorta di ‘pantheon’, costruito tra l’adolescenza e i vent’anni, fatto di volti e parole: personaggi che tornano poi ogni tanto per gli anni e i decenni a seguire nelle battute, nei ricordi, nelle imitazioni.
Chi è stato giovane e giovanissimo a Roma negli anni ’90, soprattutto chi ascoltava metal, prima o poi si sarebbe imbattuto, sulla rete locale TVA 40, in “Ottava Nota”, trasmissione di novità discografiche condotta da un singolare personaggio il quale, come si dice ‘non la mandava a dire’, demolendo – talvolta letteralmente – il disco di turno, elevando, all’opposto, il tal chitarrista al rango di ‘mostro’, addentrandosi in interminabili disquisizioni su formazioni, biogafie, etc…
Già all’epoca il personaggio non era del tutto sconosciuto: qualcuno ne poteva ricordare gli sparuti trascorsi come musicista o le apparizioni nei programmi di Arbore; Verdone, che è un formidabile osservatore, capì prima di tanti le potenzialità del personaggio e lo portò sul set di “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”.
Con Richard Benson, insomma, siamo cresciuti, anche assistendo, purtroppo, a un declino passato attraverso un grave incidente dai contorni mai chiariti, spettacoli dal vivo in cui il nostro si prestava al ludibrio generale, apparizioni televisive volte solo ad esaltarne gli aspetti più oltre le righe, fino alle tristi comparsate in un noto programma del pomeriggio.
Dispiace perché sembrava che negli ultimi tempi Richard Benson stesse tornando un po’ alle origini: l’aspetto sembrava migliorato, c’era, sembra, finalmente un disco ‘serio’ in fase di progettazione.
Avrebbe meritato altro percorso: non so quanto scientemente l’abbia voluto lui e quanto, purtroppo, il ‘sistema’ abbia cercato solo le urla, senza andare oltre: la cultura musicale era indiscutibile, ma il metal, il progressive e in generale la musica pop – rock suonata da chi sa suonare raramente viene considerata.
Resta quel filo di amarezza e tristezza per un pezzetto dei propri vent’anni che se n’è andato.