Vi Skin Sei Grande dolcezza nel nuovo singolo della giovane di Esperia (provincia di Frosinone). Sofia Pelle in arte Vi Skin ci canta di una storia d’amore finita e della necessità di lasciare andare il proprio lui: “Perdere me ti fa ritrovate te…” Nulla di nuovo in tema di sofferenze sentimentali, ma l’interpretazione, cui si aggiunge il video ‘campestre’ ispira comunque una certa tenerezza.
Mezzanotte Mezzanotte (UTC) Ada Music Italy Lui cerca di riconquistare lei dopo il tradimento di una notte: Non evade dai luoghi comuni questo nuovo singolo del bresciano Luca Patti, quasi omonimo del suo alias musicale. La confezione sonora piuttosto gradevole, per quanto l’elettropop compassato con qualche riferimento anni ’80 risulti abbastanza ‘di maniera’.
The Slight P.O.P. ADA Music Italy P.O.P., ovvero: Prima O Poi; il nuovo singolo di Giacomo Parenti alias The Slight è il misto di recriminazioni e speranze di chi si augura di recuperare una relazione complicata; la forma è quella di un canonico pop sintetico.
Le FrasiincompiutediElena Lucida Una tipica ballata indie rock, sull’onda emotiva di una relazione ormai finita (o forse, chissà): il nuovo brano di Raffaele Quarta, alias RafQu, salentino trapiantato a Roma, e del suo progetto LefrasiincompiutediElena, scorre via abbastanza rapidamente, forse anche troppo.
Tesha Mai DistroKid Un tradimento, stavolta non sentimentale, ma di un’amicizia (tra uomini), il che per molti versi è pure peggio. Tema inusuale, tradotto da Tesha (il milanese Emanuele Scardino) a cavallo tra rabbia e disillusione, in una forma cantautorale dai contorni blues Apprezzabile.
AMarti Pietra Martina Alberi “Quel che è fragile può essere pietra”, canta Martina Alberi, dalla provincia di Ferrara, la Scozia come seconda terra d’elezione. Un’ode alla resistenza alle avversità e al trovare dentro di sé la forza superare certe delusioni affettive, ma che, come affermato dalla stessa autrice, si amplia oltre l’ambito affettivo. È un pezzo che ‘respira’, ‘Pietra’: cinque minuti la durata, in un panorama in cui i tempi si vanno progressivamente restringendo per far ‘consumare’ tutto presto e in fretta: finito un pezzo sotto un altro, lezioni per i giovanissimi che in due minuti e mezzo pensano di aver esaurito tutto, quando forse avrebbero tanto altri da dire, se solo si fermassero un attimo a pensare… È un brano che soffia come il vento che si ascolta in apertura, che comincia con un andamento dolente e progressivamente s’illumina, fino a un finale impetuoso in cui al pianoforte si aggiungono le percussioni, una ventata di tramontana per rivelare la propria forza interiore, seguendo un’interpretazione che comincia come un sussurro e poi rinvigorisce e travolge.
GLI ALTRI
Sara Laure Voilà Altofonte Italia / Cosmophonix Artist Development “Eccomi qua, ‘Voilà’: sono così e così mi devi accettare”, sembra dire Sara Laure a un ipotetico spasimante: nei colori accesi della propria vocalità, con la produzione di Alessandro Castagna e Luca Bortoli, la cantante e autrice (qui affiancata da Chiara De Bartolo) veronese, con radici africane da parte di padre, continua nel suo percorso incentrato su autostima e affermazione del proprio valore di ‘persona’ senza rinunciare alla femminilità.
Sestra Clichè Digital Distribution Bundle L’impossibilità di chiudere una storia e ricaderci dentro, con tutte le conseguenze emotive del caso: un amore destinato a tornare in modo talmente puntuale da diventare appunto un ‘Cliché’. A raccontarcela, Arianna Campi da Sondrio, alias Sestra, studi accademici e poil’insegnamento musicale in parallelo all’attività di cantautrice. Per un certo modo disincantato di porsi può ricordare Noemi, in un brano per voce, chitarra e poco altro che pur con un’interpretazione convincente, non ‘sfonda’ più di tanto.
Kannella feat. Shaya Hansen I am free Tipico brano dance che strizza l’occhio al passato meno recente, con un video che ricorda un amore estivo. Catchy e piacione come un pezzo del genere deve essere, discreta l’interpretazione della vocalist soul Shaya Hansen. Tutto appare forse un po’ scontato; molto meno se si pensa che il producer Kannella, ovvero il romano Raffaele Cannella, ha soli 19 anni: già più che una ‘giovane promessa’.
Samuele Esaltato Lupo della Steppa In realtà, ‘Esaltato’ a tratti lo sembra davvero, questo cantautore romano, la cui esperienza teatrale arriva in aiuto nel declamare al mondo la propria diversità. Sembra anche che Samuele Esaltato venga da un altro tempo, magari dagli anni ’70, per i suoni vintage, con tanto di effetto ua-ua che caratterizzano la sua proposta rock – blues. Fuori posto e fuori tempo, insomma e l’analogia col lupo, e la citazione di Hesse appaiono come una conseguenza naturale. Al netto di un atteggiamento tanto diretto da farsi sguaiato e a tratti un po’ naif, una proposta interessante.
Lontano da qui Senza fare rumore Pop – rock sentimentale che parte piano e poi prende l’avvio con un ritornello che coinvolge è il nuovo singolo di questo trio con voce femminile dalla Toscana affiancata da due romani. Si fa piacere.
Esteban Meda Visory Indie Esteban Ganesh Dall’Orto, palermitano di nascita, cresciuto a Milano, un mix di origini cilene e indiane, come il doppio nome suggerisce, presenta nel suo nuovo singolo una dedica alla via dov’è nato e cresciuto, riscoprendo sonorità gradevolmente beat, con tanto di tastiere vintage.
Scritto durante la ‘clausura collettiva’ dello scorso anno, il settimo disco del pianista e compositore veneto Roberto Zanetti è un progetto covato da tempo: una sorta di ‘excursus’ attraverso la storia del jazz, dalla ‘Madre Africa’, appunto, ai giorni nostri, passando per il blues, altro ‘amore’ dell’autore, fino alle espressioni più moderne.
Accompagnato dai fidati sodali Massimo Chiarella (batteria), Luca Pisani (contrabbasso) e Valerio Pontrandolfo (sax tenore), assieme a Nicolò Sordo, che esegue i due brevi recitati in apertura e chiusura, Roberto Zanetti presenta dodici tracce nel corso delle quali la storia del jazz s’incrocia con quella della presa di coscienza e dell’affermazione degli afroamericani e in particolare delle donne, con brani dedicati a chi ha combattuto per i diritti civili come Rosa Parks, ma anche a chi si è affermata attraverso la musica – Nina Simone – nello sport – Wilma Rudolph – o nella scienza, con un brano intitolato a Katherine Johnson, matematica in forza alla NASA per decenni, la cui figura è stata riscoperta e rivalutata solo negli ultimi anni.
Il disco si snoda, estremamente dinamico, all’insegna di una ricorrente brillantezza swing, ma anche con momenti più compassati, mantenendo una vivacità e una ‘comunicativa’ che, evitando i territori più ‘ardui’ del genere, riesce a conservare il contatto con l’ascoltatore, anche all’interno di composizioni che si snodano oltre i 5 – 6 minuti di durata.
È andato a ‘sciacquare i panni’ nel Tennessee (o meglio, in Alabama, come vedremo)di Michele Anelli, per il suo nuovo lavoro, ennesimo capitolo di una carriera trentennale, cominciata coi Groovers e poi proseguita da solista, affiancando e aggiungendo all’attività di cantante, cantautore e chitarrista, l’attività di scrittore, dando più volte vita a progetti e collaborazioni che appunto mescolavano la parola cantata a quella scritta.
Solo musica e parole invece stavolta per questo “Sotto il cielo di Memphis”, nato appunto in occasione di un viaggio negli States, culminato con una sosta presso Fame Recording Studios di Muscle Shoals, Alabama, dove è stata avviata la produzione del disco.
Otto tracce la base di partenza, ma alcune versioni del disco offrono varie aggiunte, fino ad arrivare a quindici brani.
L’impressione è quella di un viaggio nel tempo: un lavoro che per suoni (a partire dal frequente uso di tastiere vintage) modi, umori, atmosfere, sembra uscito dritto dagli anni ’70.
Le suggestioni sono varie: domina un vissuto personale che può ricordare vagamente un De Gregori (certo con esiti molto meno ‘ellittici’) c’è, volendo, una spruzzata di certo ‘prog’ cantautorale (vedi alla voce Le Orme) e c’è, anche e soprattutto, l’ombra lunga della ‘premiata ditta’ Mogol – Battisti, con i riferimenti da ‘minimo quotidiano’ e un cantato costantemente velato di malinconia e disillusione.
È un lavoro pieno di riflessioni dai toni appunto malinconici, disincantati, spesso in forma di ballate, dai toni in chiaroscuro.
Manca forse, qualche brano ‘killer’: ci si aspetta che prima o poi si dia ‘fuoco alle polveri’, magari accendendo le chitarre, alzando il volume, lasciando un po’ sciolte le briglie e invece tutto resta in penombra, in una dimensione dai tratti evanescenti e talvolta onirici e con toni che spesso fin troppo dimessi.
L’impressione finale è che insomma il lavoro tragga gran parte della sua linfa, più che dagli assolati panorami del Tennessee e dell’Alabama, dalle brume del Lago Maggiore su cui si affaccia Stresa, città di origine del cantautore.
Secondo disco sulla lunga distanza per questo trio di stanza a Bologna, dedito a un garage blues ‘sporco’ e d’impatto.
Otto brani, ‘costruiti’ in Italia e ‘rifiniti’ oltreoceano, con il contributo di J. D. Foster, uno che ha collaborato, tra gli altri, con Marc Ribot, Lucinda Williamse Vinicio Capossela, all’insegna di chitarre graffianti e sabbiose e un cantato disincantato, a tratti dolente.
I ‘sortilegi e la magia’ (tipici ‘topoi’ del blues) di ‘Spells & magic’ aprono un lavoro che ondeggia tra sprazzi onirici e parentesi utopistiche, ma trova spazio anche per l’osservazione della realtà, con ‘Winanta’, brano ispirato alla vicenda dell’attivista Omar Radi che vede la prartecipazione dello stesso, con lo pseudonimo di Afnorock.
Non mancano ovviamente episodi dedicati alla ‘vita sregolata’ del bluesman, ma anche alla musica come ‘sostanza’ molto più efficace di tanto altro… e che non produce gli stessi danni.
Un lavoro denso, graffiante, ruvido, che certo conserva la malinconia di fondo del blues, ma ne mostra anche la capacità di diventare ‘rovente’.
Trent’anni di esperienza alle spalle, passati a suonare in giro per il mondo (anche in location non ‘scontate’, come l’Indonesia), Max Aloisi ha spesso trovato nel trio la forma più adatta a esprimere le proprie idee sonore, come già avvenuto nell’esordio, “Blues Machine”, uscito ormai parecchi anni fa.
Oggi, ecco arrivare il secondo capitolo, che vede Aloisi affiancato dal sodale di lungo corso Alex Paci e dal batterista Lou Thor.
Nove pezzi all’insegna di un rock blues che alterna momenti dai colori sgargianti e l’energia quasi prorompente a parentesi dalla vena psichedelica, i cui argomenti, da riflessioni sulla solitudine personale a sguardi su un mondo che sembra prendere una china sempre più folle, sono più che mai in linea coi tempi attuali, per quanto siano stati scritti prima dell’esplosione della situazione che stiamo vivendo da ormai quasi un anno e mezzo.
L’intento dichiarato, riproporre la validità del ‘caro, vecchio blues’, offrendolo con una veste più ‘attuale’, non disdegnandone il lato ‘ballabile’, è raggiunto attraverso un lavoro vivace, che tiene viva l’attenzione, senza mai ‘sedersi’, ma offrendo una discreta varietà di ‘scenari’ e umori.
Nuovo singolo per il giovane cantautore nato e cresciuto in Sicilia e in seguito trasferitosi a Torino.
‘Tira e molla’ sentimentali e incertezze annesse finiscono per essere un po’ la sintesi di tutte le ‘cose’ per risolvere le quali in certe fasi è necessario fare chiarezza prima di tutto con sé stessi.
Pop forse un po’ troppo ‘di maniera’, per quanto molto radiofonico, con qualche accenno soul e r’n’b.
L’amore ai tempi della pandemia nel nuovo singolo di Fernando Alba (siciliano di nascita, romano d’adozione, due dischi sulla lunga distanza all’attivo).
Una storia agli inizi che, travolta dagli eventi, sfocia in una convivenza forzata, in un ‘prendersi cura dell’altro’ in parte inaspettato. Il contagio del titolo è però quello dell’amore e dei sentimenti.
Sonorità con qualche ascendenza blues, una tastierina a dare una nota vagamente onirica, un cantato misurato, ma con vivacità. Si fa apprezzare.
Romano, classe ’82, Fabio Garzia avvia il progetto MustRow con un primo lavoro in inglese, “Sugar Baby”, passando poi all’italiano col singolo ‘Male(dire)’, uscito lo scorso e compreso in questo ‘nuovo esordio’ sulla lunga distanza.
I dieci brani presenti mescolano svariate influenze, tra rock più o meno ‘duro’ (la passione per la chitarra di Garzia emerge con frequenza, pur se in modo non troppo prepotente), sprazzi blues, una certa tendenza al ‘parlato’.
Il tema ricorrente è quello dei rapporti interpersonali e della volontà / necessità di indossare ‘maschere’, interpretare ‘personaggi’, mettere in scena ‘spettacoli’; non mancano riferimenti, più o meno diretti, alla realtà sociale.
Tutto appare dominato nel bene e nel male da un’urgenza comunicativa che sembra mettere in un certo senso in secondo piano la ‘continuitá’ del disco, che appare un po’ slegato, un insieme di ‘tentativi’ forse alla ricerca di uno stile compiuto. L’interpretazione, a tratti eccessivamente enfatica, non aiuta.
Psichiatra, cantautore e scrittore, Giuseppe Palmieri, in arte Gappa, ha percorso una strada artistica che lo ha portato a collaborare con Guccini, mentre col progetto Psicantria ha unito i due mondi.
“Passeggeri”, secondo lavoro sulla lunga distanza, è un disco più personale e squisitamente cantautorale.
Si parte col mito platonico de ‘La Caverna’, riflessione sulla libertà e sul coraggio di chi magari sceglie di abbandonare apparenti ‘sicurezze’ per andarsela a conquistare; si chiude con ‘Siddharta’e la sua illuminazione: forse due ‘eccezionalità: chi il viaggio intraprende, chi lo porta a termine: in mezzo, le persone normali, i ‘Passeggeri’ del titolo, con le loro esistenze spesso dominate dall’incertezza e magari dal tentativo di resistere di fronte a ciò cui la vita li mette di fronte, trovando sicurezze nei sentimenti, nell’amicizia, nella famiglia: commuove la dedica di ‘E cammina, cammina, cammina’ con tanto d’intervento della figlia. Esortazioni migliorare il mondo per le generazioni future, una dedica alla natia Modena colpita da terremoto del 2012.
Sprazzi blues e ballate rock, un’impronta per lo più semiacustica, vena cantautorale con echi della tradizione, ma con uno stile discretamente personale.
Oltre un decennio di attività e tre dischi (più un EP) all’attivo, nel segno di collaborazioni extramusicali (come quella col pittore Bartolomeo Casertano), il progetto dei fratelli Claudio e Danilo Di Nicola, accompagnati da Andrea Stazi e Davide Grotta scrive un nuovo capitolo della propria biografia musicale.
Si prendono le mosse da un racconto scritto dallo stesso Danilo, il ‘Mad Journey’ del titolo è un rapimento alieno dai contorni allucinato, per assemblare questi dodici brani che spaziano da momenti di quiete con reminiscenze folk-blues a serratissime sferzate dissonanti, da episodi ‘caracollanti’ con ritmi spezzettati vagamente post-rock a momenti di dilatazione psichedelica.
Un ‘viaggio’ imprevedibile, con ‘svolte’ dopo ogni curva, sviluppi inattesi; un lavoro ‘denso’, variegato, dinamico, che riesce a non stancare, anche rivelando qualcosa di nuovo ad ogni ascolto.