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THE SESSIONS, I DISABILI E LA SESSUALITA’ (IN ITALIA)

Il protagonista di “The Sessions” è un uomo che, dopo aver vissuto una vita collegato a un polmone d’acciaio, alla soglia dei 40 anni decide di godere i piaceri del sesso, rivolgendosi una terapista particolare e ricevendo il conforto di un amico prete (si noti il rapporto tra due uomini che, per motivi diversi, hanno fatto della verginità una condizione di vita, uno per scelta, l’altro per costrizione). Un film di cui ho letto buone recensioni, e per il quale tra l’altro Helen Hunt è stata candidata all’Oscar come migliore attrice non protagonista, in quella che è stata in modo più o meno unanime ritenuta la sua migliore interpretazione di sempre. Il fatto è che, purtroppo,  io non l’ho visto:  non l’ho visto per il semplice motivo che – almeno a Roma – è uscito in due o tre sale e dopo due settimane è sparito; il che mi fa sorgere alcune domande.

Per il cinema a Roma non è un buon momento; anzi, per I cinema (al plurale) a Roma non è un buon momento: in un paio d’anni ne è stata chiusa almeno una mezza dozzina, altre non se la passano bene per niente; il motivo è presto detto: oltre alla crisi, oltre all’aumento esponenziale del prezzo dei biglietti, oltre al calo costante di spettatori, oltre alla pirateria informatica, c’è il problema dello strapotere dei multisala; una volta c’era il ‘cinema sotto casa’: oggi si deve prendere la macchina e dirigersi in questi enormi complessi, spesso in estrema periferia, nel bel mezzo del nulla… ma sto divagando. Stavolta il problema è evidentemente un altro: io non so se il film sia sparito dalle sale per scarsità di spettatori o peggio, per una volontà di liberarsene in fretta; nulla però mi toglie dalla testa che in questa ‘toccata e fuga’ nelle sale c’entri molto l’argomento, ovvero: la sessualità dei portatori di handicap. Io non so come stiano le cose in Paesi ritenuti più ‘civilmente avanzati’ del nostro (l’elenco è lungo), ma credo che in Italia il tema desti scandalo… Credo c’entri molto, come al solito, una certa concezione religiosa, che porta puntualmente a vedere l’handicap come una sofferenza da sopportare con pazienza, come la classica ‘croce’ da trasportare lungo l’esistenza in attesa del ‘dopo’.

I portatori di handicap in Italia sono ancora visti più o meno come persone da compatire, da guardare con l’occhio lucido, con l’atteggiamento del ‘porello’; certo si fanno dei passi in avanti: la copertura data dalla Rai alle ultime Paraolimpiadi è stata un gesto lodevole, a mettere in luce come anche chi è portatore di una disabilità, dalla nascita o acquisita, può lottare per un obbiettivo e raggiungerlo, col sostegno necessario, ma attenzione senza alcun sentimento di compassione…

Quando però si parla di sessualità, secondo me, ancora ci sono dei passi in avanti da fare: è come se i portatori di handicap fossero concepiti come esseri asessuati; come se la disabilità, qualunque essa sia, comporti di per sé stessa l’incapacità di provare piacere sessuale. L’immagine del portatore di handicap quale ‘povero infelice a prescindere’ ovviamente collide fragorosamente con l’idea che invece possa trarre piacere dai rapporti sessuali come qualsiasi altro essere umano. Un tema affrontato, anche se ‘di striscio’ anche nel recente “Quasi amici” in cui il protagonista bloccato sulla sedia a rotelle spiegava al suo accompagnatore che anche per chi è bloccato dal collo in giù esistono dei ‘metodi’ per provare piacere…

Del resto, in fondo c’è poco da stupirsi, in un Paese pieno di contraddizioni, in cui la Chiesa (nel suo pieno diritto, intendiamoci) reputa l’accoppiamento a puro scopo di piacere reciproco un peccato, ma dove nel contempo siamo sommersi di sottintesi sessuali dalla mattina alla sera, dove mettere un distributore di preservativi nelle scuole superiori viene considerato un invito al sesso senza responsabilità,  ma dove l’educazione sessuale nelle scuole è un miraggio, lasciando il compito a genitori che spesso affrontano il tema con imbarazzo (a volte evitando proprio l’argomento), ma  dove tra l’altro qualsiasi adolescente lasciato solo davanti a un PC collegato a Internet può accedere in qualsiasi momento a tonnellate di pornografia.

Per conto mio “The Sessions” sarebbe dovuto restare nelle sale per mesi, proprio nel suo infrangere luoghi comuni a tabù, a partire da quelli che descrivono i disabili come persone eternamente infelici e impossibilitate sempre e comunque a provare i medesimi ‘piacere’ dei ‘normodotati’; invece tutto è evaporato in poche settimane, a riprova del fatto che evidentemente sotto questo punto di vista, e più in generale in fatto di sesso, siamo ancora un Paese molto arretrato.

RIPENSANDO A RATZINGER…

…e al suo gesto…  sarò in controtendenza, ma più passa il tempo, più il suo gesto mi sembra ‘naturale’: l’essere Papa ‘finché non intervenga la morte’ è una prassi consolidatasi in secoli, ma non un obbligo: in fondo il Papa, da monarca assoluto qual è, può decidere come e quanto vuole delle sorti del suo ufficio; c’è inoltre da considerare il discorso dell’allungamento dell’età e dell’evoluzione della medicina: è vero che per secoli i Papi sono rimasti al loro posto finché non sono morti, ma questo è stato vero soprattutto perché la morte arrivava più o meno repentina… L’allungamento dell’età media pone in maniera più decisa la questione della disabilità non solo fisica, ma anche mentale: c’è da pensare che come nel caso di tutti i comuni mortali, i Papi ultraottantenni diventino una norma, col tempo, e c’è da pensare che i casi di Pontefici colpiti da qualche malattia neurodegenerativa aumentino; a quanto pare non è questo il caso, ma lo è stato quello di Woytila; allora mi chiedo dove sia il limite: può la Chiesa essere diretta adeguatamente da un Papa non più capace di intendere e di volere? E in quel caso, la guida ‘reale’ della Chiesa a chi spetta? Non so cosa dica il Diritto Canonico, ma questo è nei fatti un problema nuovo, mai posto prima: gli ultimi Papi prima di Giovanni Paolo II sono tutti morti di qualche malattia specifica, non arrivando mai all’invalidità…  La seconda considerazione che faccio, riguarda il giudizio su Ratzinger: vorrei tornarci.  Ratzinger viene accusato di essere reazionario e oscurantista, ma a questo punto mi chiedo: cosa si chiede alla Chiesa? Qualcuno, anche  nei commenti al post precedente parlava di una ‘Chiesa al passo coi tempi’: ma cosa vuol dire questo? La Chiesa non può diventare un’istituzione come le altre, non può essere un qualcosa che ‘ognuno vive come vuole’: la Chiesa deve porre norme e precetti, poi se una persona ritiene di essere un ‘fedele’, un ‘adepto’, chiamatelo come volete, è tenuto a rispettarne i precetti. Punto. Nessuno è obbligato a essere cattolico; ovviamente diverso poi è il caso in cui la Chiesa pretenda di imporre le proprie convinzioni etiche a chi cattolico non è, ma questo è un altro discorso, qui parlo dei rapporti tra i fedeli e la propria religione. Da ‘cattolico non praticante’ non capisco cosa si chieda alla Chiesa, al Papa. L’altro giorno in televisione ascoltavo Don Gallo, degnissima persona intendiamoci, elencare tutta una serie di richieste, dall’annullamento del celibato dei preti all’ordinazione delle donne… Ora, fermo restando che la validità di queste richieste è argomento da teologi (non mi risulta Gesù Cristo abbia mai detto nulla sul fatto che chi diffonde la ‘buona novella’ non possa avere una famiglia o che alle donne sia vietato propagare la parola di Gesù, e infatti i Protestanti tutte queste cose le ammettono), io non credo che si possa chiedere alla Chiesa di ‘dire si a tutto’: la Chiesa è un’istituzione millenaria, deve per forza di cose avere punti fermi, del tutto indipendenti dall’evoluzione dei costumi: non si può chiedere alla Chiesa di ‘essere al passo coi tempi’. Prendiamo una cosa apparentemente innocua come la musica: Ratzinger ha parlato in modo chiaro a favore del ritorno del Canto Gregoriano; e giù una sequela di critiche, all’insegna del ‘brutto, cattivo oscurantista’… eppure, eppure sinceramente preferisco mille volte il Canto Gregoriano alla messe di strimpellatori dei quali si sono riempite le chiese negli ultimi decenni. Io poi tra l’altro le chiese le frequento in massima parte quando c’è poca gente  e c’è silenzio, le trovo perfette oasi di raccoglimento; se permettete, gente che suona (male) una chitarra la lascerei fuori. Insomma, io la Chiesa la vedo come qualcosa di estremamente serio e rigoroso, che si basi su precetti e punti fermi;  ad esempio, piacerebbe a tutti una Chiesa che dica: trombate come dove e quando più vi piace; piacerebbe a tutti una Chiesa che dica che vivere avendo come stella polare l’accumulo di beni e soldi’ non sia poi così grave peccato (sorvolo sul fatto che poi all’interno dello stesso clero ci sia gente che col denaro ha fin troppa dimestichezza e infatti alcuni lasciano capire che questo è uno dei motivi per cui Ratzinger s’è stufato)… gli esempi potrebbero continuare, ma siamo sicuri che con una Chiesa così ‘permissiva’ e ‘al passo coi tempi’ le cose andrebbero meglio? Qualcuno dirà che nei fatti la stragrande maggioranza dei ‘fedeli’ già adesso ‘fa un pò come ca**o gli pare’, e questo è vero, ma questo appartiene alla loro coscienza di cattolici: se pensano di esseri buoni cattolici anche fregandosene dei precetti della Chiesa è un problema che riguarda loro, la loro coscienza di cristiani e il rapporto con Dio; molto diverso sarebbe se a dare il ‘via libera’, dare il ‘rompete le righe’ fosse la stessa istituzione ecclesiastica, nella figura del Papa: ci mancherebbe pure che i precetti cristiani cominciassero a venire interpretati come capita, come per esempio avviene con la Costituzione Italiana, e s’è visto come sono andate a finire le cose…  Il problema forse non sta nel fatto che ‘la Chiesa deve essere al passo coi tempi’, piuttosto dev’essere lo stesso clero, a dare l’esempio, cosa che è davanti agli occhi di tutti che non sta succedendo per nulla, e detto tra noi se il Papa ha rinunciato, oltre che i limiti c’è di mezzo probabilmente pure la decadenza delle gerarchie…