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ORGOGLI ITALICI

La Concordia e Vincenzo Nibali: eventi molto diversi e distanti, accomunati dalla sola coincidenza temporale, eppure… eppure, forse, un filo di orgoglio in questo caso non è fuori luogo.

La conclusione, del traino della Concordia nel porto di Genova e, poche ore dopo, Vincenzo Nibali (cui magari si possono aggiungere la vittoria di Errani /Vinci a Wimbledon e la consueta incetta di medaglie della scherma ai recenti Mondiali) in ‘giallo’ sullo sfondo dell’Arco di Trionfo. Successi italiani; certo, a volerli cercare, i distinguo si trovano sempre: si potrà arguire che tutta l’operazione di raddrizzamento, galleggiamento e trasporto della Concordia non era del tutto italiana e che a capo c’era un sudafricano; vero, come è altrimenti vero che però la partecipazione ‘nostrana’ era ampia e ‘pesante’, a partire da quella dell’ingegner Porcellacchia che abbiamo conosciuto in questi giorni e del Capo della Protezione Civile Gabrielli. Un’operazione, va rimarcato per l’ennesima volta, come mai ce ne sono state in passato: un ‘caso di scuola’, un precedente al quale fare riferimento.

Qualcuno potrà obbiettare che Nibali ha vinto una gara dalla quale i suoi principali concorrenti si sono ritirati per delle cadute: è un dato oggettivo, come oggettivo è il fatto che ne ciclismo si possa cadere e farsi male e come il fatto di evitarlo faccia parte del gioco… e comunque stabilire una connessione diretta – Nibali ha vinto perché gli altri si sono ritirati – è abbastanza inesatto: non avremo mai la controprova e – ricordo – quando Froome e Contador si sono ritirati, Nibali aveva su di loro due minuti e passa di vantaggio: insoma, la gara ce l’aveva già in mano lui.

Credo ci sia ampio motivo di festeggiare, quindi, gioendo per la vittoria sportiva e provando soddisfazione per l’impresa tecnico-ingenieristica portata a termine: certo il relitto della Concordia ci porta alla mente i 33 morti e il comandante Schettino, ma insomma, se guardiamo al mero dato tecnico non si può non essere soddisfatti.

Le due imprese, molto lontane tra loro, ci dicono però, in modi diversi, la stessa cosa: che se noi italiani veniamo messi in condizione di dare il meglio, allora i risultati li raggiungiamo; se vogliamo è una banalità, se non fosse per il fatto che siamo in Italia, dove per tanti motivi da una trentina d’anni a questa parte gli italiani non sono per nulla messi in grado di dare il proprio meglio, anzi: le classi dirigenti hanno sistematicamente lasciato spazio alla mediocrità, sotterrando idee e capacità…

Il discorso sarebbe lungo: forse il problema di fondo è che il limite degli italiani sta proprio nel fatto che quando hanno la possibilità di scegliersi le famose ‘classi dirigenti’, le scelgono male, mandando sistematicamente al Governo gente che favorisce la mediocrità rispetto alla capacità… salvo poi festeggiare nei rari momenti in cui a dispetto di tutto, le capacità emergono comunque; come se in fondo avessimo poca fiducia in noi stessi, ritenendoci tutti dei mediocri e mandando quindi al Governo chi qella mediocrità la favorisce.

In Italia manca totalmente o quasi l’idea del ‘rischio’: si preferisce conservare il ‘poco ma sicuro’ (mi ci metto anche io in mezzo), anziché mettersi in gioco per ottenere il ‘di più ma incerto’… insomma: Vincenzo Nibali è uno che per arrivare a vincere il Tour del France, a 15 anni (15 ANNI!!!) ha lasciato la Sicilia andando a vivere in Toscana: sia lode ai genitori di Vincenzo per essere stati tanto lungimiranti e chiediamoci quante madri avrebbero lasciato che il figlio quindicenne se ne andasse a vivere a centinaia di chilometri di distanza ‘solo perché bravo a correre in bicicletta’… e lo stesso discorso, con le ovvie distinzioni, potrebbe applicarsi a ricercatori, imprenditori, e via discorrendo la differenza sta tutta qui: nella voglia di assumersi dei rischi e di scommettere su sé stessi; un qualcosa che, purtroppo, ancora sembra appartenere ben poco agli italiani; un qualcosa che dovrebbe essere insegnato fin da ragazzini, incoraggiando non solo coloro che ‘forti di carattere’ sono già destinati ad affrontare il mondo di petto, avendo la voglia di ‘osare’, ma soprattutto coloro che, meno ‘ardimentosi’, vedono magari le loro capacità ‘frenata’ da un’indole meno ‘coraggiosa’.

Quello che serve è insomma, un cambio radicale di ‘forma mentis’: famiglie che a vent’anni caccino i figli fuori di casa, spronandoli a seguire le proprie aspirazioni, ovviamente ache grazie al sostegno di classi dirigenti che ‘incoraggino il coraggio’ e smettato di considerare la famiglia come una sorta di ‘sostegno sociale’ che si sostituisca alle loro responsabilità… ma purtroppo a scegliere le classi dirigenti sono quelle stesse famiglie e allora ci si trova di fronte al classico ‘cane che si morde la coda’.