Il sesto disco di Cranchi (Massimiliano) da Mantova.
Ricerca di un ‘posto dove stare’, paradossalmente o forse no durante la ‘clausura collettiva’ del 2020, quando si è dovuti stare dove si stava.
Luoghi reali o filtrati dall’immaginazione di altri tempi attuali, o più o meno passati.
Dante e Borges, Vonnegut e Steinbeck.
I profughi di Mostar per ricordare quelli del Mediterraneo e involontariamente quelli dell’Ucraina, quasi un presagio.
Calciatori argentini di culto.
L’amore, complicato o in esaurimento.
Ricordi famigliari.
Tutto visto, o immaginato, dalle rive del Po, con un’atmosfera indefinita, come certi silenzi in mezzo alla nebbia.
Certo indie folk nordamericano (con escursioni al sudamerica) riportato nella pianura padana: non Nebraska, ma Felonica (MN), più che cantato mezzo declamato, con disillusione: l’ombra di Guccini che si allunga.
Cranchi, di nuovo, una riposta possibile a chi chiede che fine abbiano fatto ‘i Cantautori’.