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ELEZIONI REGIONALI

L’impressione davanti alle imminenti elezioni regionali è quella di un generale abbassamento del livello dei candidati; ancora di più, di uno scadimento della politica ‘in sé’.
A dire la verità, non ci si capisce quasi più niente: politologi e filosofi ci hanno ampiammente spiegato come siamo ormai nel periodo della ‘post-ideologia’ e che è inutile ragionare secondo i ‘vecchi schemi’, sinistra-destra: tutto giusto, ma se alla fine delle ‘ideologie’, segue la fine delle ‘idee’ e il principio generale diventa solo: “tutto pur di andare al potere e rimanerci” qualcosa di sbagliato c’è. A me basterebbe alla fine che ci fosse una sinistra ‘progressista’ fautrice dell’ampiamento dei ‘diritti’ (civili, economici, al lavoro, all’istruzione) e una destra conservatrice che parta dai ‘doveri’, ma qui non c’è nemmeno più questo. Siamo davanti ad un semplice ‘mettere insieme’ tutto ed il contrario di tutto: intanto si conquisti il potere e poi vediamo.

E’ una storia che viene da lontano, una catena della quale Renzi è solo l’ultimo anello, cominciata con le ammucchiate uliviste, proseguita col principio del ma-anchismo veltroniano (ricordo che quando Veltroni era sindaco di Roma, poco ci mancò che si presentasse alle elezioni una lista dei ‘fascisti per Veltroni’) e con l’esiziale idea del PD, nato per mettere insieme tutti e che oggi forse si vorrebbe portare alle estreme conseguenze col ‘Partito della Nazione’. Il risultato è che se nelle candidature alle regionali si cerca uno straccio di principio, di idea, si fatica a trovarlo: è solo una gara a conquistare il potere. Non parlo per carità di patria di profili penali, di candidati incandidabili e di altri in odor di criminalità, perché si aprirebbe un capitolo troppo ampio…

Qualche giorno fa per caso mi sono imbattuto in un dibattito elettorale coi candidati della Campania: un cittadino che non ne sapesse nulla avrebbe concluso che Caldoro (candidato di centrodestra) fosse del PD e De Luca (candidato del PD) si presentasse per La Destra di Storace; stessa impressione, un filo annacquata, per la Puglia: anche qui Emiliano vuole dare l’idea dell’uomo ‘forte’: gli è stata contestata la candidatura di ex AN nella sua lista, la risposta è stata che “in Puglia si è sempre fatto così”, e che alla fine ‘accogliere chi ci sta’ non è poi una bestemmia. In Liguria, vivaddio, la ‘sinistra’ ha avuto un sussulto d’orgoglio rispetto alla candidatura PD della Paita in odore di Burlando, che sembra aver già ventilato la possibilità di un Governo con l’NCD, seguendo l’esempio di quello nazionale; piccolo inciso: se i liguri voteranno per chi sarà l’erede delle amministrazioni che negli ultimi 15 anni hanno massacrato il territorio, beh, alla prossima alluvione non si lamentassero… certo se l’alternativa deve essere Toti, quello che ‘Novi Ligure è in Liguria’ (errore da geografia di Terza Elementare), beh, non invidio i liguri… così come non invidio i veneti, costretti a scegliere tra uno Zaia che si è attribuito tutto il bene del Veneto attribuendo tutto il male al Governo centrale, un Tosi che non si sa dove voglia andare e Alessandra Moretti, quella che ‘per le politiche è importante andare dall’estetista’, quella che – ricordo – a Ballarò ebbe il coraggio di citare trai risultati delle giunte di sinistra a Roma, la terza linea della Metro, quando di quella linea non era ancora nemmeno attivo il breve tratto in funzione da solo pochi mesi a questa parte. Il livello insomma mi pare abbastanza infimo…

Non mi meraviglierei se, a questo giro, il MoVimento Cinque Stelle cominciasse ad ottenere risultati soddisfacenti anche sul piano locale; non parlo di vittorie ma, soprattutto in Liguria e in Puglia, c’è la possibilità di portare a casa un buon risultato. Certo, fossi un elettore delle regioni interessate, rispetto a duelli Zaia – Tosi – Moretti, Paita – Toti, Caldoro – De Luca, o Emiliano – Schitulli – Poli Bortone, andrei dritto su M5S: insomma, meglio la totale inesperienza condita con proposte magari un filo irrealistiche, che la lotta per il potere fine a sé stesso svuotata di ogni parvenza di contenuto ideale.

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DUE O TRE COSE SUL VENETO INDIPENDENTE

Al di là di certe trovate puramente folkloristiche, cui l’interesse della magistratura rischia di dare solo un ulteriore non necessario risalto, credo sia il caso che il problema venga affrontato.

L’indipendentismo non è cosa di oggi, in varie forme è un’idelogia che perdura da anni, non solo in Veneto… credo tra l’altro che si abbia ben presente come tutto questo nasca dalla mancanza di una vera e propria identità nazionale: in fondo siamo una ‘nazione’ da nemmeno 200 anni… nulla di paragonabile a un ‘localismo’ che trae le sue radici dalla caduta dell’Impero Romano, che ha trovato la sua massima espressione nei Comuni e che è stato poi alimentato da secoli di dominazioni straniere diversificate sul territorio.

Non siamo italiani e non ci ‘sentiamo’ tali (come cantava Gaber), non per cattiveria o malanimo, ma perché siamo e ‘ci sentiamo’ innanzitutto romani, napoletani, milanesi, lombardi, veneti (e magari all’interno dello stesso Veneto, guai a confondere vicentini, veronesi, padovani) , come cantava Carboni. In questo alla fine, non c’è nulla di male… è l’Italia come Nazione unitaria ad essere stata ‘costruita’ male e questo lo dico senza alcun sentimento anti-nazionale, ci mancherebbe.

In Veneto, dunque, c’è una discreta fetta di popolazione che vorrebbe andare per conto suo, ‘fare da se’, separarsi dall’Italia dei meridionali mafiosi e dei romani che non hanno voglia di fare niente… poco importa che in Veneto ci sia stata, per dire, la ‘mafia del Brenta’, o che il tanto osannato mito del ‘nordest operoso’ negli ultimi vent’anni si sia fondato soprattutto sulla manodopera immigrata sottopagata e spesso illegale, con conseguente evasione delle tasse… evitiamo però, che sennò magari parte l’accusa di qualunquismo…

Io dico: risolviamola una volta per tutte; giochiamo a carte scoperte, convochiamo un bel referendum nazionale per capire non solo se i veneti vogliono davvero andarsene, ma se il resto degli italiani vuole ancora averci a che fare;
se il risultato dice che il Veneto resta italiano, amen: per almeno cinquant’anni, basta con ‘sta buffonata dell’indipendentismo;
se si decide che il Veneto non è più italiano, benissimo: il giorno dopo il referendum, si tagliano le forniture di acqua, elettricità e gas che dal resto d’Italia giungono in Veneto;
si chiudono strade e autostrade, si impedisce che dal Veneto partano aerei verso l’Italia e viceversa;
si blocca il traffico di merci e persone: nessuno entra, nessuno esce;
si mette l’esercito a presidiare le arterie di collegamento, impedendo che qualcuno trasgredisca.

A quel punto, voglio vedere come se la caverebbe, il ‘grande ed operoso nordest’: probabilmente chiederebbe l’annessione all’Austria o forse no… magari si troverebbero costretti a decidere se continuare con l’indipendentismo o morire di fame, ma che ci volete fare, bisogna accettare le conseguenze di ogni decisione…

Sarebbe un buon banco di prova: servirebbe a capire una volta per tutte se ‘stare insieme’ offra un reale valore aggiunto o se davvero sia meglio andarsene ognuno per cavoli propri… Perché, cari veneti, la verità è che per ogni motivo che voi adducete per il vostro ‘stare male in Italia’, noi non veneti ne potremmo trovare altrettanti per il fatto di non volere avere niente a che fare con voi… in ognuno c’è del buono e del marcio, nessuno può dirsi ‘migliore’ di qualcun altro; siamo diversi e non c’è nulla di male a sottolinearlo, ma ritenere di poter sempre e comunque ‘fare da soli’, mi pare un attimino presuntuoso…