Prendete un cantante bolognese di origini olandesi; un bassista inglese; un chitarrista ex ‘bambino prodigio’ (o meglio, piccolo fenomeno televisivo nei Latte Rock che imperversavano ai tempi della Domenica targata Mara Venier); aggiungete un percussionista a completare il lotto.
Gli Hangovers ormai da qualche anno percorrono in lungo e in largo lo Stivale e trovano finalmente tempo, modo ed occasione di mettere insieme il proprio esordio discografico.
Un lavoro in due tempi, idealmente divisi come le due facce di un vinile: in italiano la prima, in inglese la seconda, a ricalcare la diversa estrazione dei componenti del gruppo; duplice la matrice linguistica, univoca quella sonora: gli Hangovers si pongono in quel mondo ideale che già qualcuno collocò “tra la via Emilia e il West”; è un disco ‘viaggiante’, quello degli Hangovers, e forse non potrebbe essere altrimenti nel caso di una band entrata in studio di registrazione dopo anni passati ‘on the road’.
“Different plots”è un lavoro i cui brani potrebbero spuntare improvvisamente nella playlist ascoltata percorrendo la pianura padana (ma volendo, anche il pontino o il tavoliere delle Puglie), tra un pezzo dei Negrita e uno dei Lynyrd Skynyrd, Credence Clairwater Revival e REM prima maniera.
Un rock dalle tinte southern, con accenti folk e country, qualche suggestione caraibica e accenni indie, forse più efficace nella sua matrice americana, laddove mostra di aver discretamente appreso la lezione dei ‘classici’, riproponendola in maniera che, se non troppo originale, risulta almeno gradevole nella forma; forse meno convincenti gli esiti in italiano, in cui la formula un po’ troppo orientata a quel tipico ‘rock italiano’ in cui la componente di ‘pop tricolore’ finisce spesso e volentieri per essere un deterrente…
“Different plots” mostra tutti i pregi di un lavoro frutto di una band già ben rodata e matura – non da sottovalutare in un momento in cui domina il tutto e subito e spesso una band sforna il primo disco cinque minuti dopo essersi formata – pur scontando i limiti di quello che comunque resta un esordio, con le incertezze tipiche del genere.
La formula bilingue appare un elemento singolare, anche se forse tradisce ancora un po’ di indecisione sul piano stilistico.