Era il 2012 quando i Great Nothern X, si presentavano sulla scena col loro primo, omonimo lavoro… a due anni di distanza, il gruppo guidato da Marco degli Esposti, voce e chitarra e autore dei testi – in inglese – dei sette brani che compongono “Coven”, snodandosi su una mezz’oretta circa di durata.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, a detta dello stesso Degli Esposti, affiancato dai (si suppone) fratelli Arzenton a chitarre e basso e da Federico Maio a batteria e percussioni assortite; “Coven” si configura allora come un ‘riassunto’ degli ultimi due anni, come uno sguardo abbastanza disilluso e amaro (per certi versi anche un filo rancoroso) sul presente e sul recente passato: dal mito per la ricchezza accresciuto dalla crisi, all’atteggiamento dell’Occidente nei confronti delle rivoluzioni arabe, fino allo svilimento della donna.
I Great Nothern X traducono questo in uno stile sonoro dalle coordinate chiare, ma allo stesso tempo dall’identità sfuggente: l’ascolto, pur breve, appare non instradarsi mai su un percorso definito, mescolando componenti del nuovo folk (o alt.country che dir si voglia) americano, con accenni a certe sonorità ‘oblique’ à la Bright Eyes e momenti più invasivi e debordanti (vagamente riconducibili a certi Motorpsycho d’annata), fino a momenti rutilanti, caratterizzati da avvolgenti sabbiosità stoner e parentesi dilatate, a sfiorare territori psichedelici.
Un lavoro continuamente sospeso tra un intimo raccoglimento cantautorale e più estroverse aperture da indie rock band, che mostra un gruppo in crescita, che conferma le potenzialità dell’esordio, dando l’idea di avere ancora ampi margini di sviluppo.