Posts Tagged ‘Teatro degli Orrori’

PUNKILLONIS, “ECLISSI” (PICK UP RECORDS / LIBELLULA DISCHI)

A cinque anni di distanza dal precedente “Eurasia”, esce il terzo disco dei cagliaritani Punkillonis, prosecuzione di una biografia musicale partita nel 2000… “Eclissi”: un’immagine sempre suggestiva, che si presta naturalmente ad essere una metafora dei tempi attuali, dei quali non c’è granché per cui essere soddisfatti… almeno, c’è da pensare che l’eclissi prima o poi finirà, aprendo la strada a tempi migliori. La situazione, al momento, non è rosea, e il problema di fondo sembra essere una perdita d’identità: o almeno, è questo il filo conduttore che ricorre nel corso delle sedici tracce assemblate dal quartetto sardo, rinnovatosi per metà rispetto al precedente lavoro.

Le certezze vengono meno: ‘Non è vero’ è un elenco di verità presunte, supposte o consolidate, gli individui spogliati di ogni convinzione, pronti magari a riceverne di nuove, anche se alla fine ‘Ci prendon per il culo’… si perde così la propria identità e se ne cercano di nuove a cui aggrapparsi, magari attraverso il proprio essere ‘occidentali’, o rifugiandosi nella sicurezza dell’opinione dominante, affidandosi ad effimere mode musicali o, al disordinato ‘Overflow’ di idee e tecnologie, anch’esse destinate ad evaporare, buone solo per riempire esistenze altrimenti vuote, in quello che alla fine è solo un ‘Vecchio stil novo’ destinato a ripetersi nelle sue modalità, cambiando solo l’oggetto accentratore del proprio quotidiano.

Oppure si cerca la strada dell’identificazione politica, nella difesa ormai delle ideologie delle ‘Falci e martelle’ ormai defunte.. o all’opposto, si sceglie una ‘non identità’, andando ‘Dove gira il vento’, in quella che sembra una riedizione 2.0 del gaberiano ‘Qualunquista’. Lungo questo percorso, la formazione cagliaritana si prende lo spazio per alcune derive: siano esse sentimentali (alla fine il ‘cuore’ appare essere sempre un’ancora di salvezza), denunce al nucleare, o in maniera sarcastica, un provocatorio inno alla droga…

Un disco sarcastico, amaro, a tratti quasi dolente, pur nella sua inesausta foga strumentale: Punkillonis dovrebbe già suggerire molto dei suoni con cui la band cagliaritana ha scelto di esprimersi: c’è il punk, certo, quello ‘storico’ e quello filtrato dalla ‘scuola italiana’ (leggi CCCP); c’è il gusto per un cantato che a volte si fa quasi spoken word (strada recentemente percorsa dagli Offlaga Disco Pax o dal Teatro degli Orrori), c’è la volontà di non fossilizzarsi, deviando dal tracciato con escursioni più orientate all’indie od a terreni post-hardcore. Un lavoro che soddisfa, nei suoni e – soprattutto – nelle parole. Per chi vuole, il disco è ascoltabile qui.

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BIANCO, “STORIA DEL FUTURO” (INRI)

“Nostalgina”, esordio risalente allo scorso, aveva fatto guadagnare ad Alberto Bianco i favori di critica e pubblico. Il cantautore torinese (di Moncalieri) torna ora con un secondo lavoro, in occasione del quale chiama ha chiamato a collaborare con lui un nutrito gruppo di ospiti, capitanati da Tommaso Cerasuolo (Perturbazione) e Gionata Mirai (Teatro degli Orrori).

Il risultato sono questi undici pezzi (più una ghost track, posta in coda), nei quali Bianco (come più semplicemente ha deciso di farsi chiamare nel corso della sua avventura artistica), si dedica a un indie pop venato di folk (con qualche parentesi più orientata al rock) dall’impronta fortemente cantautorale.

Sospeso tra raccoglimento, ritmi lenti, quasi dilatati, dalle tinte vagamente crepuscolari o all’apposto pronto ad aprirsi in momenti di brillante luminosità dall’appeal quasi radiofonico, “Storia del futuro” trova una parallela molteplicità di sensazione sotto il profilo strettamente sonoro, grazie all’ampia gamma della strumentazione: banjo, contrabbasso, archi e fiati si affiancano alle immancabili chitarre e sezione ritmica, con pianto e synth ad accrescere ulteriormente lo spessore sonoro.

Testi che ondeggiano tra l’amore, con le sue tenerezze e le sue complicazioni e l’introspezione, con uno sguardo sul se ora amaro, ora disincantato, ma sempre sul filo di una vaga ironia. Fulminato, Quasi vivo e Morto costituiscono una tripletta che probabilmente non è stata messa in sequenza per non dare l’idea di una progressione voluta, tuttavia metterle in correlazione l’una con l’altra, risulta quasi immediato, mentre La strada tra la Terra e il Sole, pur riportando al repertorio di Moltheni, è comunque dotata di una sua potente personalità, che la rende forse il miglior brando del disco.

Bianco ha battezzato il suo secondo disco “Storia del futuro” (come una delle tracce che lo compongono): nell’ascoltarlo tuttavia, l’impressione è che di futuro davanti ne abbia parecchio e che di storia da scrivere ce ne sia ancora parecchia.

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INVERS, “DAL PEGGIORE DEI TUOI FIGLI” (VINA RECORDS)

Disco d’esordio per gli Invers, quartetto proveniente da Biella; la formula, in parte, è quella ascrivibile a band di maggiore successo come Il Teatro degli Orrori: liriche incendiarie declamate – più che cantate – che si stagliano su una componente sonora che attualizza certe sonorità eighties, punk e post: c’è già chi l’ha battezzato ‘revival post-punk’, ma si sa che le etichette lasciano il tempo che trovano…

Più interessante soffermarsi sugli esiti del disco che, fin dal titolo, “Dal peggiore dei tuoi figli”, lascia intravedere il filo conduttore dello sguardo corrosivo gettato sulla società circostante: la dedica è diretta all’Italia, della quale la ‘voce narrante’ esalta il solito campionario di nequizie e piccinerie…

Il tutto accompagnato da una buona dose di ‘pompa’, all’insegna di chitarre dal sapore wave, talvolta dotate di un’attitudine leggermente più sferragliante, a veleggiare sul solido terreno costruito da una classica sezione ritmica ‘quadrata’.

Undici tracce  che in fondo appaiono funzionare (meno la cover di Mio fratello è figlio unico di Gateano, che lascia il tempo che trova) per quanto i suoi elementi costitutivi – sonori e testuali – non siano dotati di tutti i crismi dell’originalità: lo si può insomma considerare un buon inizio, in attesa che la band trovi un’impronta stilistica più marcatamente autonoma.

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IL CANE, “RISPARMIO ENERGETICO” (MATTEITE /VENUS)

Secondo lavoro per Matteo Dainese, alias Il Cane: un disco al quale il cantautore friulano, ex componente degli Ulan Bator, appare voler giocare una bella fetta delle prorie sorti artistiche, visto anche il nutrito numero di ospiti chiamati a collaborarvi (tra gli altri, membri di Zen Circus, Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, Amari). Il risultato sono questi dodici (più uno) brani, il cui tratto comune sembra una certa ‘sospensione’: nei testi, all’insegna dell’osservazione – riflessione del quotidiano, i cui tratti minimi assurgono (forse) a metafora di ‘qualcosa di più profondo’ e nei suoni, in cui domina un’elettronica dai tratti spesso vagamente obliqui, affiancata a più consistenti dosi di un ‘rock’ di matrice ‘indie’ o ‘post’, dalla consistenza spesso vagamente tagliente. Qualche fiato e synth sparsi qua e là cercano di dare un’ulteriore condimento alla pietanza.

Parole e suoni in cui Dainese non tralascia mai un certo gusto per l’ironia, forse con un pizzico di cinismo, che si traduce anche sotto il profilo musicale, col frequente ricorso a un ‘rumoreggiare’ di sottofondo che arriva ad assumere la forma di autentiche risate infantili irridenti.

Il tutto interpretato con un’aria sembra disincantata, che a tratti appare quasi assonnata, o coi contorni di chi si mette dietro al microfono quasi di malavoglia… e da qui si può partire per partire dell’aspetto un pò meno convincente del disco, perché alla lunga (nei 48 minuti di durata) questo cantato che in certe parentesi assume un andamento quasi hip-hop, perennemente monocorde, mai con un acuto, un cambio di umore o di registro, un andare ‘sopra le righe’ finisce per mettere un pò alla corda l’ascoltatore, per altri versi finendo per appiattire i singoli brani, oltre a dare l’impressione, sul finale, di un disco un pò troppo lungo, nel quale le idee si esauriscono con qualche brano di anticipo rispetto alle tredici presenti.

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