Posts Tagged ‘Sergio Caputo’

SALAMONE, “IL PALLIATIVO” (INDIESOUNDSBETTER / BELIEVE / LIBELLULA DISCHI)

Salamone (e basta, altro non è dato sapere), artista da qualche anno attivo sulla scena palermitana e siciliana in genere, giunge al primo disco, all’insegna di un variopinto mix di suggestioni popolari e contaminazioni moderne.

Dieci brani in cui un’estrazione popolaresca, dominata dal gusto dell’aneddoto e del tratteggio dei caratteri, viene tradotta con suoni a cavallo tra la jazz band e la banda di Paese, senza rinunciare a qualche coloritura rock e pop, che non guasta.

Utilizzando un cantato dai toni sguaiati, con la costante tendenza ad andare sopra le righe, Salamone affronta paradossi e paranoie odierne, illustra piccoli manuali di sopravvivenza quotidiana alla decadenza dei rapporti interpersonali, attinge da ricordi infantili o dal vissuto personale, anche riflettendo sul ruolo dell’artista, spesso all’insegna di una frustrazione quotidiana che a volte può sfociare nella depressione; una disco che ricorre in larga parte alla metafora, quando non all’allegoria, ma che non rinuncia ad un esplicita citazione dalle cronache, ricordando la vicenda di Carlo Giuliani.

Un lavoro che si fa apprezzare per suoni e parole, a cavallo tra Buscaglione e Rino Gaetano, ricordando in qualche episodio anche Sergio Caputo… disco che tra l’altro ha ottenuto un ottimo riscontro presso la ‘critica ufficiale’, guadagnandosi una candidatura alle Targhe Tenco, proprio nella sezione esordi.

“Il Paliativo” appare tuttavia scontare un po’ l’appartenenza a un filone che negli ultimi anni è stato ampiamente battuto nella discografia italiana: non si può negare che negli ultimi anni, band e autori che hanno mescolato le proprie ascendenze popolari con pop, rock e jazz, magari ricorrendo alla carta dell’ironia e del sarcasmo, siano spuntate come funghi… e se quello di Salamone rappresenta un esempio riuscito del ‘genere’, sulla lunga distanza non riesce ad evadere dalla sensazione del già sentito.

Il cantautore siciliano sembra comunque poter contare sulla personalità necessaria a distinguersi in futuro tra le tante proposte del genere.

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VALLONE, “MULTIVERSI” (MUSITA / AUDIOGLOBE)

Vallone è Raf: attore, calciatore, partigiano e giornalista (non necessariamente in quest’ordine), tante vite vissute in un’unica esistenza, un personaggio quasi ‘mitologico’, un po’ dimenticato, probabilmente. ‘Vallone’ è Paolo Farina, che si imbarca in questo nuovo progetto dopo aver attraversato, nelle retrovie, quarant’anni di storia della canzone italiana, dalla ‘controcultura’ degli anni ’70, al ‘mondo 2.0’ dei tempi attuali.

“Multiversi” appare in effetti quasi un disco ‘fuori tempo’: per certi versi, il lavoro di un ‘sopravvissuto’, magari lo stesso protagonista della sfortunata missione narrata in “Polo Nord”, uno dei dieci brani che compongono il disco… Non che il termine ‘sopravvissuto’ debba per forza assumere una connotazione negativa: si potrebbe anche parlare del disco di un ‘resistente’, che nonostante il passare del tempo resta fedele a certi ‘stilemi’ di un passato più o meno recente: “Multiversi” è un disco che appare connotato di un sapore decisamente retrò, radicato nel cantautorato italiano a cavallo trai ’70 e gli ’80, in cui si mescolano inni al superamento delle barriere (Le montagne sono alte) o dei pregiudizi (Oltre) quasi da età dei ‘figli dei fiori’, ritratti femminili (Camilla cita John Fante), brani in cui si fanno i conti con sconfitte generazionali od aspirazioni frustrate, o semplicemente si ‘tirano le somme’ del percorso compiuto fin qui; rivelando, in controluce, tracce del Celentano più impegnato, del Dalla più autoriale, dell’amore per il blues di Pino Daniele, di certa canzone d’autore italiana che negli anni ’80 rimase forse un po’ sottotraccia schiacciata dall’età ‘del disimpegno’ (vedi alla voce Alberto Fortis), con qualche spora dell’ironia di un Sergio Caputo.

Un disco per molti versi malinconico, spesso amaro, ma che per contrasto sceglie la strada dei suoni caldi di una chitarra (strumento dominante, affiancato da una sezione ritmica composta e da qualche arrangiamento d’archi con compito ‘di sostegno’); che giostra tra rock e blues, con momenti più orientati al folk (omaggiando Bob Dylan) e parentesi ai confini del reggae, ad accompagnare un cantato che si potrebbe definire ‘garbato’, che anche negli episodi più malinconici non cede mai alla tentazioni ’melodrammatiche’ tipiche di certi cantautori dell’ultima generazione; un contrasto che alla fine è il maggior pregio di un disco che guarda al passato senza essere ‘passatista’.

FRATELLI DI SOLEDAD, “SALVIAMO IL SALVABILE – ATTO II” (FRANK FAMILY RECORDS / GOODFELLAS)

A vent’anni di distanza dal primo capitolo, i Fratelli di Soledad danno un seguito a Salviamo il salvabile, ancora una volta omaggiando la storia della canzone italiana, con il contributo di un nutrito gruppo di amici, trai quali alcuni degli autori o interpreti dei brani originali.

Undici portate per un pasto ottimo e abbondante, in cui i Fratelli rileggono alla loro maniera, un repertorio più che mai variegato: da una ‘Svalutation’  più che mai ‘combattente’, impreziosita dalla voce di Gino Santercole (autore dell’originale assieme a Celentano), ad una ‘Stasera l’aria è fresca’ dai profumi psychobilly e i paesaggi western cantata dalla voce originale di Goran Kuzminac; da ‘A me mi piace vivere alla grande’, del compianto Franco Fanigliulo (interpretata da Riccardo Borghetti, uno degli autori originali) a ‘Versante Est’, presa direttamente dal repertorio dei primi Litfiba, qui riproposta in versione Ska, a ‘Cimici e Bromuro’ di Sergio Caputo, trasfigurata attraverso un punk trascinante; Max Casacci contribuisce a rileggere ‘Il mio funerale’ dei Gufi e Bunna degli Africa Unite offre la sua voce per ‘Il Tuffatore” di  Flavio Giurato.

Deliziosa la versione ska del ‘O Rugido do Leao’ di Piccioni (uno dei pezzi-simbolo di Alberto Sordi), mentre Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione è tra gli ‘aiutanti di campo’ nella rielaborazione acustica dell’unico brano orignale degli FdS presente in scaletta, ‘Je vous salue Ninì’. Completano la lista ‘Stranamore’ di Vecchioni e ‘Ho le tasche sfondate’ di Piero Ciampi.

Solare, divertente, a tratti trascinante: i Fratelli di Soledad colpiscono nel segno con un disco di cover che riesce nell’intento di rivisitare in modo originale ma rispettoso il materiale di partenza, che mostra così tanto solido da resistere al passare del tempo, quanto efficace anche quando vestito di nuovi abiti sonori.