Posts Tagged ‘Papa Ricky’

SALENTO ALL STARS, “L’ERA DEL CIGNO BIANCO” (GATE 19 / PUGLIA SOUNDS)

Sono passati sei anni dal disco precedente dei SAS e a quanto sembra non invano.

“L’Era del Cigno Bianco”, descritta nella title track – scritta nel corso della ‘chiusura totale’ di ormai quasi un anno fa, vuole essere un messaggio di speranza verso la possibilità che, una volta finito questo difficile periodo, si possa aprire una nuova fase, più attenta alle ‘cose piccole ma importanti’.

La realtà, nel frattempo, è quella di sempre: dalla questione, ancora irrisolta, dell’ILVA, fino alle tragedie nel Mediterraneo, passando per il caporalato.

L’impegno è un marchio di fabbrica, ma c’è spazio anche per la riflessione sul proprio essere artisti, in una fase in cui il settore, tra i più colpiti dalla crisi, è stato anche tra quelli più lasciati indietro, vittima del luogo comune dell’arte come svago e ‘disimpegno’-

Accompagnati da uno stuolo di artisti (O’ Zulù, Papa Ricky, Michele Riondino ed Erica Mou, i rapper Magnitudo 12 tra gli altri), i Salento All Stars danno vita a un lavoro variegato e sgargiante, che veleggia mescolando generi e stili, tra spezie mediterranee e caraibiche, sonorità metropolitane e colori rock.

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SUZ, “LACEWORK” (IRMA RECORDS / SELF)

Suz, al secolo: Susanna La Polla; bolognese di nascita, ‘bristoliana’ di adozione, almeno sotto il profilo sonoro. Bristol, ovvero: trip hop, e fa una discreta impressione pensare al fatto che la prima ‘ondata’ di quel genere, alfieri Portishead e Massive Attack, risalga ormai a quasi vent’anni fa.

Eppure, l’onda lunga, non si è mai esaurita: anzi, le ‘risacche’, per quanto non debordanti, restano si ripetono con costanza.

Suz, qui al terzo lavoro sulla lunga distanza, fa dunque parte della categoria: un esordio da vocalist e corista con il ragamuffer italico Papa Ricky, poi varie collaborazioni, fino ad avviare la carriera solista sul finire degli anni ’00 del ventunesimo secolo.

“Lacework”, parola inglese per definire un tessuto finemente lavorato,un pizzo o un merletto, come quelli riprodotti nell’artwork di digipak e booklet: dieci brani dove ritroviamo tutti gli elementi tipici del genere, a partire dalle sonorità rarefatte e le atmosfere dilatate, sospese in una dimensione vagamente onirica; tappeti sonori che tessono fondali, incorniciano e avvolgono il cantato protagonista indiscusso di tutto il lavoro, ad interpretare testi in cui ricorrono suggestioni atmosferiche e ‘ambientali’ (Wall of Mist, Still Water) e riferimenti alla mitologia classica (Anthemusa, Lethe).

I dieci brani di “Lacework” (una quarantina di minuti la durata complessiva) si snodano all’insegna di umori in cui si alternano riflessione e sottile malinconia, pur senza negarsi episodi all’insegna di una maggiore solarità; la cifra stilistica del disco è quella di un’eleganza composta, dai modi spesso sofisticati, quasi da jazz club, similitudine non casuale, dato che tra le sue varie esperienze la cantautrice bolognese conta proprio un quintetto jazz; non appare casuale, in questo senso, il brano dedicato a Billie Holiday posto proprio in apertura del disco.

Il limite del disco risiede forse un po’ troppo insistita di una certa perfezione formale, di una raffinatezza estetica che, per quanto godibile e, finisce per essere a tratti un filo algida, privando il disco di un tantino di impatto emotivo.