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NOBEL 2013 – ECONOMIA: GENE FAMA, BOB SHILLER, LARS PETER HANSEN

Con colpevole ritardo pubblico la notizia del Nobel per l’Economia… e si, che avendo studiato economia, mi dovrebbe interessare più degli altri… invece me lo scorso, molto più attratto dagli altri… ho proprio azzeccato tutto, nella vita!!!

Riprendo da LaStampa.it

Un premio Nobel per l’economia tutto americano che premia due volte l’Università di Chicago, tempio del liberismo. E che per il secondo anno consecutivo ruota attorno ai mercati. Ma, soprattutto, la scelta dell’Accademia reale di Svezia di quest’anno fa rumore perché mette accanto nomi, e teorie, in apparente contraddizione.

Gene Fama, dell’Università di Chicago, è il padre della teoria dell’efficienza dei mercati. Mentre Bob Shiller, accademico di Yale, che condivide il Nobel con lui e con Lars Peter Hansen, è noto soprattutto per essere stato il principale critico di quella teoria: il suo libro del 2000 `Esuberanza irrazionale´ avvertì per tempo, e a ragione, della bolla delle dotcom che stava per esplodere. La risposta all’apparente, o reale, contraddizione, la dà la stessa accademia a Stoccolma: i tre «hanno sviluppato nuovi metodi per studiare i prezzi e i valori dei titoli», metodi che sono diventati «uno strumento di base nella ricerca accademica» oltre che nella pratica professionale di analisti, gestori, trader.

Dopo gli anni della crisi negli Usa, con Wall Street in rally da mesi e la crisi dei subprime e Lehman Brothers ormai archiviate, i mercati tornano a farla da padroni. Quasi inevitabile – default americano permettendo – che il Nobel vada a tre americani (anche Hansen è accademico a Chicago) con l’Europa ancora nelle secche della crisi delle banche e dei debiti pubblici. Meno scontato che a Stoccolma si torni a premiare, come lo scorso anno, degli studiosi del funzionamento di quegli stessi strumenti finanziari che con l’assegnazione all’economista e polemista di sinistra Paul Krugman, nell’annus horribilis 2008, si era quasi voluto simbolicamente punire. In molti avrebbero preferito un Nobel che guardasse alle politiche economiche, alle istituzioni, alla disciplina che deve fare da guardiano dei mercati.

La scelta dell’accademia svedese fa discutere: l’ipotesi dei mercati efficienti, che in forma estrema implica che i prezzi siano sempre giusti, è stata smentita dalla storia. E c’è chi parla di una scelta opportunistica, per risarcire Fama del premio che la prudenza politica, in quell’ottobre reso incandescente dal tracollo di Lehman cinque anni fa, consigliò all’ultimo momento di conferire a Krugman. Il segnale che arriva con il Nobel 2013 è forse per un ritorno alla razionalità e alla mente fredda accademica, dopo gli anatemi di mezzo mondo contro quegli stessi mercati su cui in fondo si finanziano banche, imprese e Stati sovrani e su cui devono ragionare ogni giorno i fondi pensione cercando di non fare passi falsi. In fondo le ipotesi di Fama sui mercati efficienti hanno dato una piattaforma indispensabile non solo a hedge fund e speculatori, ma anche a chi gestisce i soldi degli altri con un occhio al lungo termine. Forse proprio l’aver conferito il Nobel anche a Shiller, che con i suoi studi `comportamentali´ aveva avvertito già nel 2005 della bomba ad orologeria che covava nel boom immobiliare, serve a stemperare la critica che si può rimproverare a Stoccolma, così come il premio ai metodi statistici di Hansen che hanno aiutato a mettere alla prova le teorie razionali.

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NOBEL 2013 – PACE: OPAC

Vabbè, altro Nobel stra – annunciato…  nessuna critica alla meritorietà dell’organizzazione… ancora però qualcuno deve spiegarci bene come mai, ad esempio nel caso siriano, un migliaio di morti per le armi chimiche dovrebbe ‘pesare’ più delle centinaia di migliaia causati da quelle convenzionali…

Riporto, come al solito, da La Stampa.it

L’accademia di Oslo ha assegnato il Nobel per la pace 2013 all’Opac, l’organizzazione per il divieto delle armi chimiche attualmente impegnata nello smantellamento dell’arsenale chimico siriano.

«Grazie al lavoro dell’Opac l’uso delle armi chimiche è un tabù» spiega il Comitato per il Nobel nelle motivazioni dell’assegnazione all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche del Nobel per la pace 2013. «Quanto accaduto in Siria, dove sono state usate queste armi, riporta in primo piano la necessità di incrementare gli sforzi per eliminare questi armamenti», recitano ancora le motivazioni.

NOBEL 2013 – LETTERATURA: ALICE MUNRO

Come ho già scritto in altre occasioni, il Nobel per Letteratura è ‘naturalmente’ quello a cui mi sento più vicino… non che mi consideri un ‘letterato’, ma da semplice appassionato ‘del leggere’, l’assegnazione di questo Nobel mi ha sempre incuriosito: figuriamoci quando, come in questa occasione, il Premio va ad una scrittrice della quale ho letto qualcosa, apprezzandola molto, peraltro.

L’assegnazione del Nobel per la Letteratura alla canadese Alice Munro è, da un certo punto di vista, la vittoria dei ‘lettori normali’, basti pensare che le sue opere le si trova in maniera molto agevole, nelle edizioni economiche della Einaudi. Spesso il Nobel viene assegnato a intellettuali dissidenti, provenienti da zone ‘difficili’ del pianeta o, per altro verso, a intellettuali di livello, magari conosciuti da pochi… Non dico che il Nobel dovrebbe essere un premio alla ‘popolarità’, per quanto ho l’impressione che spesso, proprio l’essere ‘popolari’ abbia sbarrato le porte del premio a chi magari l’avrebbe meritato (penso ad esempio ad Isaac Asimov o Ray Bradbury, autentici inventori di un genere e mi chiedo se sarebbe stato così scandaloso premiare Charles Shultz, inventore dei Penauts), tuttavia, quando il Nobel va ad un autore che, insomma, si può definire ‘popolare’, il Premio finisce di avere quell’aura da ‘pochi eletti’ per assurgere veramente  a riconoscimento allo status raggiunto nella letteratura mondiale.

E insomma, il fatto di avere in casa un libro della Munro – esatto, solo uno, mi sono sempre ripromesso di approfondire, ma non ho trovato il tempo – questo riconoscimento mi fa piacere e mi inorgoglisce anche un pò… e per festeggiare in modo anche un pò referenziale, incollo qui sotto la recensione che a suo tempo (fine gennaio 2007) scrissi di

“NEMICO,  AMICO, AMANTE”

Nell’acquisto di un libro (e, in misura minore, di un disco o di un dvd) ho sempre fatto poco caso alle recensioni. Certo, mi capita più spesso di leggere critiche di musica o film, e quando ne compro so già più o meno di cosa si tratta.
Ciò non avviene ad esempio nel caso della musica classica contemporanea, dove in genere mi faccio guidare da titoli o copertine. Lo stesso metodo uso, quasi sempre, per i libri.
Un titolo e una copertina possono essere un fattore determinante, poi certo ci sono le righe di presentazione in quarta di copertina che possono confermare la mia attenzione, o farla cadere di botto.
Per la raccolta “Nemico, Amico, Amante…” della scrittrice canadese Alice Munro è successo così: insomma la copertina, con questa splendida ragazza, fotografata di profilo, appoggiata ad un davanzale ma con lo sguardo verso l’obbiettivo, come se il fotografo l’avesse improvvisamente distolta dai suoi pensieri, mi ha letteralmente fulminato.
Nelle note sul retro apprendo che si tratta di una raccolta di nove racconti di media lunghezza, la formula che preferisco quando devo approcciare un autore che non conosco.
Devo dire col senno di poi che le attese non sono state deluse. Le protagoniste dei racconti della Munro sono tutti invariabilmente  femminili, ma ciò non vuol dire che la Munro sia un autrice ‘per sole donne’, anzi. Forse questi racconti faremmo meglio bene a leggerli soprattutto noi uomini. Non perché ci rivelino  chissà quale realtà sull’universo femminile (ancora ben al di là di essere compreso), ma perché, non so… c’è qualcosa nelle reazioni, nei comportamenti dei personaggi della Munro, che dopo aver letto questi racconti lascia l’impressione di aver capito qualcosa, qualche sottigliezza, qualche elemento di contorno ma che fa comunque parte del ‘quadro generale’. Sarà forse che questi racconti restano sempre ‘in sospeso’: non ci sono mutamenti radicali, solo spostamenti impercettibili, piccoli eventi che non cambiano il quadro generale, ma ci dicono qualcosa delle protagoniste.

In questa mancanza di sconvolgimenti, la dimensione minima di  questi eventi, spesso amori o tradimenti sul punto di sbocciare ma  che non esplodono mai, raccontati nel loro primissimo nascere o  nel loro fugace consumarsi, sta il bello di questi racconti della Munro. E’ come se le sollevasse per un attimo un velo sopra vicende quotidiane fatte di sogni, speranze, aspirazioni, malattia, morte,  o semplicemente vita e basta , fornendoci solo qualche coordinata essenziale per inquadrare la situazione, per poi nuovamente abbassarlo, lasciando al lettore la fantasia di proseguirli.  Ne esce questa piccola selezione, una galleria di vite, a volte  guidate dalla forza di volontà, ma molto più frequentemente dalla
sola forza del ‘Caso’, una serie di donne quasi mai padrone della loro vita, ma quasi in balia degli eventi, dai quali però riescono sempre a trarre il meglio, anche nelle situazioni peggiori.
Ecco, oltre alla concretezza dei personaggi e delle situazioni, è che questi si concludono invariabilmente con un’aura di speranza: non è un’ingenuità sterile, è più una sorta di ‘visione positiva’, come se anche nei momenti più bui e incerti in fondo la vita desse sempre un motivo di ottimismo.
Una bella scoperta, questa Alice Munro: da tempo un libro non mi coinvolgeva così.

NOBEL 2013 – CHIMICA: MARTIN KARPLUS, MICHAEL LEVITT, ARIEH WARSHEL

Riporto da La Stampa.it:

 

Assegnato a Martin Karplus, Michael Levitt e Arieh Warshel il premio Nobel per la Chimica 2013. La motivazione è la seguente: per i loro studi sullo sviluppo di modelli multiscala per i sistemi chimici complessi. Una vera e propria rivoluzione che ha investito molti campi del sapere. Il loro apporto ha consentito infatti di decodificare dettagli prima sconosciuti delle reazioni chimiche. Come?

Attraverso lo sviluppo di complessi modelli informatici capaci di simulare ciò che avviene nella realtà.

Prima dell’avvento della tecnologia, studiare i fini meccanismi di una reazione chimica era un processo lungo e laborioso. L’elaborazione di modelli capaci di prevederne l’andamento era estremamente difficile. Tutto era affidato alla costruzione di modelli in tre dimensioni. Vere e proprie strutture di plastica che ancora oggi vengono usate a fini didattici nelle lezioni universitarie di chimica. E’ facile intuire che questi modelli potevano andare bene per molecole molto piccole. Cosa fare invece per quelle molto più complesse?

La soluzione è arrivata grazie ai tre Nobel. A loro il merito di aver sviluppato, a partire dagli anni ’70, un modello computerizzato capace di prevedere la struttura di molecole complesse e la loro capacità di interazione con altre. Una vera rivoluzione che ha cambiato radicalmente il modo di «fare chimica».

Conoscere ogni singolo anfratto di strutture complesse come le proteine, ad esempio, è di fondamentale importanza nella progettazione dei farmaci biologici. Grazie al modello sviluppato dai Nobel è nata la “target therapy”, una delle principali innovazioni terapeutiche di questo secolo. Cure attraverso le quali si vanno a colpire bersagli ben precisi. I risultati, soprattutto in campo oncologico, sono sotto gli occhi di tutti.

Oltre al campo biomedico, a beneficiare della scoperta dei Nobel è anche l’industria chimica. In particolare a giovarne è stato il settore delle energie rinnovabili. Conoscere le caratteristiche tridimensionali di alcune molecole presenti in natura ha permesso agli scienziati di svilupparne di analoghe molto più efficienti. La fabbricazione dei pannelli solari e solo uno degli esempi di maggior successo.

Tutto ciò è stato possibile conciliando la fisica classica e la meccanica quantistica. Un lavoro, durato decenni, che oggi sta permettendo ai chimici di tutto il mondo di utilizzare il computer come una provetta nella quale far avvenire le reazioni. Una rivoluzione premiata finalmente con il Nobel.

NOBEL 2013 – FISICA: PETER HIGGS, FRANCOIS ENGLERT

Vabbé, il Nobel più annunciato della storia… 🙂

Riporto da La Stampa:

Alla fine hanno vinto i fisici teorici, solo loro: Peter Higgs e François Englert hanno conquistato il Nobel a mezzo secolo da quando, nel 1964, previdero la “particella di Dio”, quella che con il suo campo conferisce una massa a tutte le altre particelle e quindi fa esistere l’universo così come lo conosciamo.

Al Cern, ai fisici dei due esperimenti che nel 2012 hanno effettivamente trovato la particella tanto attesa – Atlas e CMS – soltanto una gloria riflessa, una visibilità indiretta. Diversamente andarono le cose con le particelle W e Z, che nel 1979 diedero il Nobel a Salam, Glashow e Weinberg per la teoria, e poi nel 1984 a Rubbia e Van der Meer per la scoperta sperimentale. Il meccanismo del premio Nobel ha le sue strettoie: può premiare al massimo tre persone. Non c‘era posto per due fisici sperimentali, uno per ciascun esperimento del Cern. Ci sarebbe stato per Robert Brout ,il terzo fisico teorico che previde la particella indipendentemente da Higgs (84 anni) e Englert (83 anni), ma lui non c’è più, stanco di aspettare, se n’è andato il 3 maggio del 2011, a 83 anni. Il Nobel si vince anche con la longevità, Brout partiva svantaggiato dall’anagrafe.

Giusto riconoscimento per i superstiti, un po’ di amarezza per il Cern. Questo Nobel non sarebbe stato possibile senza la gigantesca macchina LHC (Larg Hadron Collider) del Cern di Ginevra, un anello di magneti superconduttori lungo 27 chilometri per far scontrare protoni contro protoni a energie mai raggiunte prima. Non sarebbe stato possibile senza che due esperimenti indipendenti fornissero la stessa evidenza della ”particella di Dio” o “bosone di Higgs”, che d’ora in poi dovremo per correttezza chiamare “particella di Englert-Higgs-Brout” o, in modo più anonimo e neutro, “bosone scalare”. Questo Nobel, infine, non sarebbe stato possibile, se i cittadini europei che pagano le tasse non avessero finanziato il Cern con 8 miliardi di euro. Anche per loro, anche per noi, c’è un po’ di delusione.

Una cosa bisogna ancora aggiungere. Gli esperimenti Atlas e CMS e i loro leader Fabiola Gianotti e Joseph Incandela, hanno alle spalle circa cinquemila fisici, ingeneri e tecnici. La popolazione di una piccola città.

Così, può essere interessante fare qualche considerazione. La prima. Alfred Nobel nell’istituire con il suo testamento il Premio, volle orientarlo verso obiettivi pratici, di interesse immediato per l’umanità, né poteva essere diversamente, essendo egli un chimico “di cucina” che aveva fatto i soldi con la dinamite aggiungendo farina fossile alla nitroglicerina, già inventata dal casalese Ascanio Sobrero (per applicarla alla cura di malanni cardiaci).

Con il tempo, però, molti Nobel sono stati assegnati anche a scoperte “astratte”, teoriche, di conoscenza pura o scienza fondamentale che dir si voglia, e la Fisica è la disciplina che più ha beneficiato di questo orientamento in parte divergente dalle volontà testamentarie. Basta pensare a Salam, Glashow, Weinberg, Rubbia. Con Englert e Higgs si è avuta una clamorosa conferma. Questa è una tendenza positiva, perché riconosce davanti al mondo intero che la conoscenza pura e disinteressata è più importante di qualsiasi invenzione o applicazione pratica, per il semplice motivo che queste non sono possibili senza quella.

La seconda osservazione riguarda una mutazione che la scienza contemporanea sta introducendo. Nel 2011 il Nobel è andato ai tre astrofisici Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt che nel 1998 scoprirono l’accelerazione del moto di espansione dell’universo. Tale accelerazione ha singolari prerogative. Non se ne conosce la causa: abbiamo solo ipotesi vaghe. Tra queste la più accreditata è l’energia oscura. Che per l’appunto è oscura, e quindi per ora sfugge alla certificazione del laboratorio. Però è compatibile con un’altra ipotesi: l’inflazione cosmica. Ipotesi che si appoggiano a ipotesi. Il confine tra osservazione, teoria ed esperimento, tra conoscenza e ignoranza, diventa scivoloso. Karl Popper forse avrebbe qualcosa da dire in merito.

Ma anche prescindendo dal requisito popperiano di falsificabilità, la scoperta dell’accelerazione del moto di espansione dell’universo interroga soprattutto la filosofia. Se l’espansione dell’universo continuerà ad accelerare, le galassie più lontane che per adesso ancora vediamo e sulle quali l’accelerazione è stata osservata, spariranno, perché la loro luce si sposterà sempre più verso il rosso, l’infrarosso, le onde radio, fino ad assumere una lunghezza d’onda maggiore dell’universo stesso. Tanto per cominciare, a lungo termine, miliardi e miliardi di anni, l’osservazione non è ripetibile.

C’è di più. L’accelerazione espansiva in una inflazione cosmica perenne, non implicando spostamento di materia, può superare la velocità della luce senza entrare in contraddizione con la teoria della relatività di Einstein. L’espansione, insomma, comunque la si guardi, sembra destinata a portare le galassie oltre il confine dell’osservabilità, e in un universo estremamente espanso, gli astrofisici del futuro remoto potrebbero trovarsi a lavorare non solo su galassie scomparse ma su un universo del tutto inaccessibile, senza aver mai avuto accesso a nessun oggetto astronomico sensibile. Sarebbe un’astrofisica senza astri e senza fisica. Qui arriva la domanda ai filosofi: qual è lo statuto ontologico di quelle galassie? Sono fisica o metafisica? E che dire del la particella di Higgs, privata delle sue conseguenze cosmologiche che si manifestarono un istante dopo il Big Bang? Come risponde Maurizio Ferraris, “profeta” del nuovo realismo”?

NOBEL 2013 – MEDICINA: JAMES ROTHMAN, RANDY W. SCHEKMAN, THOMAS C. SUEDHOF

Ottobre, tempo di Nobel: come il mio solito, riprendo gli annunci delle premiazioni, perché insomma, è il caso ogni tanto di ‘volare alto’, di farsi un’idea su a che punto è arrivata l’umanità, nella scoperta di se stessa e del mondo che la circonda…

Riprendo da LA STAMPA.IT:

“Possono essere considerati gli esploratori delle cellule, i tre vincitori del Nobel per la Medicina 2013. Gli americani James E. Rothman e Randy W. Schekman, premiati insieme al tedesco Thomas C.Suedhof, hanno gettato le basi per studiare in modo nuovo le malattie, partendo cioè dagli errori che avvengono nel cuore delle cellule.

È un campo che è appena agli inizi, ma che secondo alcuni potrebbe avere un grandissimo impatto sulla medicina del futuro, confrontabile perfino a quello che ha avuto la scoperta della struttura a doppia elica del Dna. Così come la chiave per capire molte malattie si nasconde nei geni, nella macchina complessa che fa funzionare le cellule c’è il grimaldello per comprenderne molte altre: da quelle del metabolismo, come il diabete, ad alcune malattie del sistema nervoso, compresa la schizofrenia, fino alla fibrosi cistica.

È un Nobel nel quale c’è anche un pizzico di ricerca italiana, considerando che nella bibliografia delle motivazioni viene citato lo studio coordinato da Cesare Montecucco, dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e dell’università di Padova. «Per noi le cellule sono come delle cittadelle medioevali, chiuse da una cinta di mura e con un vivacissimo traffico fra esterno e interno», spiega Montecucco. Rothman, Schekman e Sudhof hanno il merito di aver superato le «mura» che proteggono le cellule e di avere osservato da vicino il traffico che trasporta continuamente fuori dalle cellule le molecole utili a tutto l’organismo, `impacchettate´ all’interno di vescicole.

A Schekman va il merito di aver scoperto i “semafori” che regolano il traffico cellulare: sono i geni che producono le proteine che regolano la circolazione delle vescicole w li ha identificati confrontando le cellule di un microrganismo semplicissimo come il lievito. Rothman si è concentrato su un altro aspetto cruciale: il “portone” che lascia uscire dalle cellule le molecole utili all’organismo. Ha scoperto cioè l’insieme di proteine che permette alle vescicole di fondersi con la membrana cellulare e di rilasciare all’esterno il loro contenuto in modo corretto. Sudhof si è occupato del `software´ che regola i semafori, assicurando che tutte le merci siano trasportate al posto giusto nel momento giusto. Il suo punto di partenza è stato lo studio dei segnali trasmessi da una cellula all’altra grazie al trasporto degli ioni di calcio.

Rothman, Schekman e Suedhof sono arrivati alle loro scoperte in modo indipendente e insieme hanno gettato le basi per comprendere il meccanismo complesso che permette all’organismo di funzionare agendo dall’interno di ognuna dei miliardi di cellule che lo costituiscono. È la strada per riuscire a considerare da un punto di vista completamente nuovo malattie molto comuni, come il diabete, e per gettare le basi per future generazioni di farmaci.”