Posts Tagged ‘Negrita’

LA ROSTA, “HOTEL COLONIAL” (NEW MODEL LABEL)

Non fosse altro che per la suggestione cinematografica – per chi ricorda l’omonimo film di Cinzia Th Torrini, datato 1987 – “Hotel Colonial” è un titolo che evoca immagini, profumi, colori, storie, personaggi (non sempre raccomandabili).

Uno di quei classici ‘crocevia letterari’ in cui s’incontrano, anche solo di sfuggita, volti e storie, che forse si sarebbero potuti incontrare solo lì.

Il secondo disco del trio di stanza a Reggio Emilia (che da uno dei quartieri della città prende il nome), giunge a sei anni dal precedente: Massimo Ice Ghiacci (già Modena City Ramblers) e Marco Goran Ambrosi (Nuju) stavolta sono accompagnati da Andrea Rovacchi (Julie’s Haircut).

Undici i brani presenti nel corso dei quali, appunto, s’incontrano volti e storie, all’insegna, come scrive il gruppo dell”errare’, inteso sia come girare senza meta (in fuga o alla ricerca di qualcosa) sia come sbagliare.

Stanze, e storie come camere di un immaginario albergo, disperso nel nulla assolato di qualche remota provincia sudamericana.

Viaggi interiori, ricerca di ‘un senso’, rimpianti – anche sentimentali – sull’onda che al sudamerica rimandano costantemente, con vaghe suggestioni mariachi, chitarre a e voce, armonica e mandolino, un violino occasionale, organi e sintetizzatori (senza esagerare).

Un pizzico di Morricone, una una spruzzata dei Negrita, una punta di Manu Chao, accenti ‘combat folk’ che vanno e vengono – l’impronta, inevitabile, dei ‘Modena’ – qualche rimando punk.

L’Hotel Colonial è lì insomma, ad aspettare chiunque sia privo di un direzione o stia vivendo un ‘momento sbagliato’; dietro ogni porta una storia, in attesa che ognuno trovi la propria.

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MALVAX, “NIENTE DI CHE” (IRMA RECORDS / LIBELLULA MUSIC)

“Niente di che” in realtà è un titolo un filo rischioso per un disco d’esordio: insomma, non è che lasci immaginare granché di eccezionale… I Malvax da Pavullo del Frignano (Modena) arrivano all’importante traguardo dopo cinque anni di attività la solita gavetta a base di partecipazioni a concorsi ed esibizioni a fianco di realtà già affermate (Lo Stato Sociale, Ermal Meta); lo fanno proponendo nove brani all’insegna di una canonica ‘poetica del quotidiano’, concentrata per lo più su difficoltà sentimentali a base di mancanza di comunicazione e desideri frustrati.

Abbondano le ‘ballad’, i ritmi lenti, i modi composti e mai sopra le righe: pop / rock con qualche ambizione cantautorale, possono venire in mente gli Ex-Otago, per certi versi (e più alla lontana) i Negrita, proprio per il gusto per le ballate.

Insomma, nel complesso è un disco che si lascia ascoltare: forse c’è un pizzico di attenzione di troppo alla gradevolezza della ‘confezione’, manca magari un ‘colpo di coda’…

‘Niente di che’, quindi? Non proprio, però il rischio di confondersi tra tanti altri c’è.

THE HANGOVERS, “DIFFERENT PLOTS” (UNHIP RECORDS)

Prendete un cantante bolognese di origini olandesi; un bassista inglese; un chitarrista ex ‘bambino prodigio’ (o meglio, piccolo fenomeno televisivo nei Latte Rock che imperversavano ai tempi della Domenica targata Mara Venier); aggiungete un percussionista a completare il lotto.

Gli Hangovers ormai da qualche anno percorrono in lungo e in largo lo Stivale e trovano finalmente tempo, modo ed occasione di mettere insieme il proprio esordio discografico.

Un lavoro in due tempi, idealmente divisi come le due facce di un vinile: in italiano la prima, in inglese la seconda, a ricalcare la diversa estrazione dei componenti del gruppo; duplice la matrice linguistica, univoca quella sonora: gli Hangovers si pongono in quel mondo ideale che già qualcuno collocò “tra la via Emilia e il West”; è un disco ‘viaggiante’, quello degli Hangovers, e forse non potrebbe essere altrimenti nel caso di una band entrata in studio di registrazione dopo anni passati ‘on the road’.

“Different plots”è un lavoro i cui brani potrebbero spuntare improvvisamente nella playlist ascoltata percorrendo la pianura padana (ma volendo, anche il pontino o il tavoliere delle Puglie), tra un pezzo dei Negrita e uno dei Lynyrd Skynyrd, Credence Clairwater Revival e REM prima maniera.

Un rock dalle tinte southern, con accenti folk e country, qualche suggestione caraibica e accenni indie, forse più efficace nella sua matrice americana, laddove mostra di aver discretamente appreso la lezione dei ‘classici’, riproponendola in maniera che, se non troppo originale, risulta almeno gradevole nella forma; forse meno convincenti gli esiti in italiano, in cui la formula un po’ troppo orientata a quel tipico ‘rock italiano’ in cui la componente di ‘pop tricolore’ finisce spesso e volentieri per essere un deterrente…

“Different plots” mostra tutti i pregi di un lavoro frutto di una band già ben rodata e matura – non da sottovalutare in un momento in cui domina il tutto e subito e spesso una band sforna il primo disco cinque minuti dopo essersi formata – pur scontando i limiti di quello che comunque resta un esordio, con le incertezze tipiche del genere.

La formula bilingue appare un elemento singolare, anche se forse tradisce ancora un po’ di indecisione sul piano stilistico.

GASPARAZZO, OBBIETTIVO SENSIBILE (AUTONOMIX / VENUS)

Terzo lavoro da studio per gli emiliani Gasparazzo (nati nel 2003, una fugace notorietà datagli dal passaggio di Siesta, tratto dal loro disco d’esordio, nella trasmissione di Radio2 Caterpillar): da studio, ma con un’attitudine spiccatamente ‘live’, visto che la band l’ha registrato in presa diretta, in parte lasciando spazio all’improvvisazione, o decidendo sul momento quali accorgimenti usare, utilizzando come location una fabbrica abbandonata.

Un dettaglio, quest’ultimo, che potrebbe far pensare a un disco in un certo senso plumbeo, claustrofobico: e invece, “Obbiettivo sensibile” è un disco più che mai ‘solare’, che risente delle molteplici influenze della band che si muove tra tradizionali sonorità del rock italiano ‘mainstream’ (potrebbero per certi versi venire in mente i Negrita), il funk, spore jazz, qualche abrasione vagamente indie, accenni punk e spezie etniche: mediterranee, ma soprattutto africane, complice il consolidato rapporto del gruppo con la Costa d’Avorio.

Il risultato è un disco sicuramente variegato, in cui una scrittura più che discreta varia tra la critica al vizio sempre più radicato al gioco d’azzardo, al tratteggio di figure storiche:  la fotografa Tina Modotti, il poco conosciuto Dietrich Bonhoeffer, esempio di resistenza tedesca al nazismo, le Madri di Plaza De Mayo ; da brani dedicati ai paesaggi o alla fatica del lavoro dei campi al racconto di episodi di vita vissuta (la title track è dedicata a un’esibizione estemporanea alla Stazione Termini conclusasi con l’intervento della polizia), senza tralasciare momenti di introspezione, (nella classica forma della ballata) e trovando il tempo di inserire anche una cover, quella di “Tornerai”, ‘hit’ degli anni ’30.

Pur nell’indubbia gradevolezza dei suoni, “Obbiettivo sensibile” è un disco che alla fine si lascia piacere soprattutto per le idee espresse lungo i tredici brani: sulla lunga distanza si avverte infatti un pò di dispersione, certo nella natura di mosaico sonoro dalle molteplici influenze dello stile della band, ma insomma alla fine si ha spesso l’impressione di trovarsi a brani che galleggiano su una superficie di rock – pop ‘generico’, nei quali si sente spesso l’assenza di una personalità più marcata.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY