Il fascino della voce e dei suoi limiti: un filone musicale forse mai sufficientemente ‘indagato’, che può offrire spunti inaspettati.
Giorgio Pinardi, presenta il secondo capitolo del suo progetto MeVsMyself, a quattro anni di distanza dal precedente “Yggdrasil”.
Otto composizioni di varia lunghezza (si va da un paio di minuti fino a sforare i nove), registrate presso i Panidea Studios di Alessandria (Paolo Novelli), ‘costruite’ attraverso una mastodontica opera di montaggio di centinaia di registrazioni, in cui la voce non è limitata alla sola componente interpretativa, ma diventa elemento melodico, armonico, ritmico.
Come forse si sarà immaginato, non ci troviamo davanti a ‘canzoni’ nel senso ‘occidentale’ del termine: dalla Mongolia all’Africa, passando per l’India e il Medio Oriente, Pinardi offre uno studio / lettura delle molteplici varietà dell’uso della voce nelle culture del ‘mondo’, risalendone alle radici ancestrali, i canti rituali, la connessione con la terra e gli elementi.
Si potrebbe immaginare a un disco per ‘fini intenditori’, quasi per ‘addetti ai lavori’, eppure, nonostante la sua obbiettiva ‘diversità’, dalla musica di ‘vasto (e anche meno vasto) consumo’, conserva un enorme potere di suggestione e connessione con l’ascoltatore che sia curioso abbia voglia di farsi accompagnare e affascinare, forse perché nella ricerca e nell’osservazione di certe tradizioni locali giunte più o meno intatte fino a noi, ritroviamo almeno in parte ciò che da noi col tempo si è (con qualche rara eccezione) irrimediabilmente perso.
La conclusione, che mi rendo conto è anche un po’ banale, è che dischi come questo ci fanno un po’ riscoprire la potenza originaria di quella ‘voce’ che è uno degli elementi che fondano la nostra appartenenza comune alla razza umana.