Il secondo – e, a quanto mi risulta, al momento ultimo – disco dei perugini Matta-Clast usciva ormai qualche tempo fa, sul finire del 2011.
Il trio umbro confezionava una sorta di concept album, in cui l’Inferno del titolo rappresentava il malessere, interiore od esteriore a seconda dei casi, all’insegna di un’impostazione sonora che appare mescolare un vena da rock ‘arrembante’ a spigolosità indie: un pò come se si fosse di fronte a dei Marlene Kuntz ipervitamninizzati.
Lungo le undici tracce presenti (due delle quali strumentali) la band erige un muro sonoro continuato e mai esausto, per oltre un’ora di saturazioni sonore all’insegna di chitarre urticanti, sostenute da una sezione ritmica martellante, con synth e tastiere a fare da ulteriore sostegno. La scrittura sembra procedere per associazioni di idee, immagini giustapposte, frammenti di pensiero, all’insegna di una certa visionarietà.
Il risultato è un disco apprezzabile soprattutto sotto il profilo della ‘grinta sonora’, ma che trova qualche limite di troppo in uno ‘scenario sonoro’ troppo simile a sé stesso, con scarsi cambi di inquadratura, in pezzi cui talvolta avrebbe giovato una maggiore sintesi. Apprezzabile nella componente testuale la ricerca di una certa ‘suggestione’ che faccia da adeguato contraltare agli scenari vagamente da incubo edificati dagli strumenti, per quanto non sempre il tentativo giunga a buon fine.
I Matta-Clast hanno nel frattempo fatto perdere o quasi le loro tracce; sul loro sito si legge di un Ep in preparazione: l’augurio è di ritrovare un band che abbia compiuto passi in avanti, confermando ciò che di buono era presente in “Inferno”, apportando qualche correzione di rotta alla propria proposta.