A colpire è la sensibilita, la delicatezza, la capacità di inquadrare emozioni e sensazioni con poche parole, essenziali.
Sembra facile, bisogna provarci.
Non è poi probabilmente un caso che il pezzo ‘augurale’, che dà il titolo all’intero lavoro, sia posto in coda al secondo disco (‘album’ si sarebbe detto una volta) di Fabrizio Fusaro, nel segno della consolidata collaborazione – in testi e musiche – con Ale Bavo (già collaboratore di Subsonica e Levante).
Non è nemmeno un caso che invece il disco si apra con ‘Morto lui rimango io’, una ‘mazzata emotiva’ dedicata a chi per un motivo o per l’altro, ha perso la speranza e si ritrova solo, ad appigliarsi al semplice ‘respiro’ come unica ancora al futuro.
Insomma: si apre con la morte di Dio (scegliete voi se con la ‘d’ maiuscola o minuscola) che ci lascia soli a noi stessi, si chiude con le porte che si aprono alla speranza di una bufera che si ritira, allegoria nemmeno tanto nascosta del lockdown e della sua conclusione.
In mezzo si parla di dubbi e incertezze, errori che non si sa come recuperare, l’affidarsi alla ‘Fortuna’ in mancanza apparente di punti fermi su cui costruire il futuro; si parla di amore e di ricordi d’infanzia, di rapporti padre – figlio.
Una costruzione sonora che parte dalla semplicità di chitarra e / o piano e voce per acquisire profondità e ricchezza con effetti assortiti, ad avvolgere l’ascoltatore.
Fuori da certi ‘radar’, lontano dalla ‘frenesia’ che impone di sfornare singoli a ripetizione da dare in pasto all’usa e getta di YouTube, c’è chi dà voce alle fragilità di questi tempi complicati.
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5 Giu
FUSARO, “BUONGIORNO (PER TUTTO IL GIORNO)” (VERTIGO / BELIEVE / EDIZIONI CURCI)
19 Feb
ROSSO PETROLIO, “ROSSO PETROLIO EP” (AUTOPRODOTTO /LIBELLULA DISCHI)
Prima di Rosso Petrolio, c’è Antonio Rossi: romano, classe 1988, una ponderosa gavetta alle spalle, passata da un periodo di studio a Londra, la canonica attività dal vivo, non solo nella capitale, da solo e di spalla ad artisti affermati come Levante o Niccolò Fabi, varie esperienze e collaborazioni, un nuovo lungo soggiorno all’estero, stavolta in Portogallo. Più recente la definitiva ‘trasformazione’ in Rosso Petrolio cui, a stretto giro, segue la pubblicazione di questo EP.
Cinque brani – tre in italiano, due in inglese – all’insegna di un cantautorato contemporaneo, che attinge in pari misura al folk d’oltreoceano e a quello d’oltremanica, non disdegnano però atmosfere e suggestioni derivanti dalla meno tradizionale e di più recente affermazione scuola scandinava. Relazioni sentimentali in via di chiusura o dallo sviluppo complicato, riflessioni più ampie sul sé, lo svolgersi della vita tra incertezze e insicurezze, momenti cupi… Una proposta sonora scarna, tutta giocata su un’interpretazione accorata ma non troppo, affiancata da tessiture di chitarra dalla grana fine, ma pronte ad accendersi di frenesia.
Riconducibile, ma solo in parte, al nuovo cantautorato italiano – vedi alla voce The Niro e Le Luci della Centrale Elettrica – Rosso Petrolio appare però alla ricerca di un’impronta stilistica più personale, magari attenuando il proprio lato drammatico, evitando di cadere nel ‘manierismo depressivo’ dei succitati. Tirare in ballo il fado, seppur considerando l’esperienza portoghese del nostro, appare comunque inesatto: tuttavia alla lontana, in certi arpeggi di chitarra e nell’atmosfera di malinconia sospesa, il cantautore sembra aver assorbito qualcosa di quel mondo sonoro: uno dei brani, forse il migliore del lotto, riporta del resto a quell’esperienza, intitolato ‘Dall’altra parte dell’Oceano’.
Accompagna l’EP non un classico booklet, ma un libretto di poesie, intitolato “Cronache di un naufragio”, per quella che alla fine diventa un’opera dalla duplice natura.
19 Giu
DANIELE CELONA, “DALLA GUERRA ALLA LUNA EP” (NOEVE RECORDS)
E’ la sera dello scorso 15 aprile Daniele Celona – due dischi e varie collaborazioni (Nàdar Solo, Levante) all’attivo – sale sul palco del Diavolo Rosso di Asti, per scrivere TRE volte la parola ‘fine’: al tour con cui ha portato in giro i brani del suo secondo lavoro, “Amantide Atlantide” , alla rassegna Indi(e)Avolate, soprattutto, alla stessa esperienza del locale (ricavato in una chiesa sconsacrata) che dopo sedici anni di attività ha dovuto alzare bandiera bianca.
A testimoniare quella serata giunge Ep, che raggruppa cinque dei brani registrati nel corso della serata, che ha valicato i confini di una semplice esibizione del vivo per diventare una sorta di celebrazione (dopo tutto, siamo pur sempre in quella che un tempo era una chiesa), cui sono intervenuti vari ospiti, ampliando la formazione base e assumendo per certi versi i contorni di un happening dai contorni improvvisativi.
Celona diventa così il capofila di una band(a) in cui si mescolano synth, violoncello e tre chitarre, assieme a basso e batteria ‘d’ordinanza’ a costruire un muro sonoro dall’afflato spesso rumoristico attorno al cantato di Celona, costantemente all’insegna di una rabbia mai trattenuta scaturita più che dall’ira dal rimpianto, dalle recriminazioni, dal ‘male di vivere’, che caratterizza tanti dei cantautori dell’ultima generazione.
Brani la cui indole dolente (tra le righe si avverte quasi la sensazione di una nostalgia per ciò che poteva essere e non è stato) non poteva che essere accresciuta dal clima della serata, dominato da par suo dalla ‘nostalgia preventiva’ provocata dall’imminente chiusura del locale.
Brani che dunque finiscono per essere spogliati della loro semplice natura di esecuzioni dal vivo per diventare altro: la testimonianza, la ‘cristalizzazione’ su disco dell’atmosfera che in quel momento si respirava nel locale, sensazioni che non potevano non essere percepite dai musicisti e che almeno in parte finiscono per essere trasmesse anche all’ascoltatore.