Posts Tagged ‘Katherine Johnson’

ROBERTO ZANETTI 4ET, “MOTHER AFRICA” (COMAR23 EDIZIONI MUSICALI)

Scritto durante la ‘clausura collettiva’ dello scorso anno, il settimo disco del pianista e compositore veneto Roberto Zanetti è un progetto covato da tempo: una sorta di ‘excursus’ attraverso la storia del jazz, dalla ‘Madre Africa’, appunto, ai giorni nostri, passando per il blues, altro ‘amore’ dell’autore, fino alle espressioni più moderne.

Accompagnato dai fidati sodali Massimo Chiarella (batteria), Luca Pisani (contrabbasso) e Valerio Pontrandolfo (sax tenore), assieme a Nicolò Sordo, che esegue i due brevi recitati in apertura e chiusura, Roberto Zanetti presenta dodici tracce nel corso delle quali la storia del jazz s’incrocia con quella della presa di coscienza e dell’affermazione degli afroamericani e in particolare delle donne, con brani dedicati a chi ha combattuto per i diritti civili come Rosa Parks, ma anche a chi si è affermata attraverso la musica – Nina Simone – nello sport – Wilma Rudolph – o nella scienza, con un brano intitolato a Katherine Johnson, matematica in forza alla NASA per decenni, la cui figura è stata riscoperta e rivalutata solo negli ultimi anni.

Il disco si snoda, estremamente dinamico, all’insegna di una ricorrente brillantezza swing, ma anche con momenti più compassati, mantenendo una vivacità e una ‘comunicativa’ che, evitando i territori più ‘ardui’ del genere, riesce a conservare il contatto con l’ascoltatore, anche all’interno di composizioni che si snodano oltre i 5 – 6 minuti di durata.

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IL DIRITTO DI CONTARE (HIDDEN FIGURES)

Katherine Johnson, Dorothy Vaughan, Mary Jakson: tre matematiche alle prese con i complicatissimi calcoli relativi a traiettorie finestre di lancio e quant’altro, necessari a mandare il primo americano nello spazio – nella fattispecie, John Glenn – e soprattutto a farlo tornare a casa sano salvo; piccolo particolare: siamo negli anni ’60 e le tre, oltre a essere donne, sono anche nere…

L’epopea dell’esplorazione spaziale, che in meno di un decennio ha mandato i primi uomini nello spazio e li ha poi fatti atterrare sulla Luna, ha fatto passare alla storia i nomi di poche decine di uomini; pochi, pochissimi rispetto alle centinaia di persone che hanno collaborato attivamente ai programmi spaziali, russo prima e soprattutto americano poi, permettendo a quel pugno di uomini di uscire dall’atmosfera terrestre e arrivare a camminare sul suolo lunare.
Esiste, insomma, un intero patrimonio di storie di uomini e donne ancora da raccontare e da riscoprire; un giacimento immenso al quale anche il cinema può attingere.
Si tratta di “Hidden Figures”, di ‘figure nascoste’, come cita il titolo originale americano del film, giocando sul doppio significato di ‘figures’ – figure / numeri; in italiano, si è tentato di riproporre il doppio significato col verbo ‘contare’: far di conto, ma anche farsi valere.

La storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jakson è stata portata sullo schermo da Theodore Melfi, autore della sceneggiature assieme ad Allison Schroeder, partendo dalla biografia firmata da Margot Lee Shatterly, che ci ha
narrato di come, nella corsa allo spazio, volta a superare i russi, la NASA non potesse permettersi tante differenze in tema di sesso o colore della pelle, dando la precedenza alle capacità e al merito; tuttavia, la società americana del tempo era pur sempre quella caratterizzata dalla segregazione e da un razzismo talmente radicato da essere a volte addirittura inconsapevole, oltre che da una marcata distinzione di ruoli tra uomo e donna.

Johnson, Vaughan e Jackson diventano così le protagoniste di un’epopea analoga, se non ancora più epica, di quella dei vari Sheperd, Glenn, Armstrong, Aldrin e Collins, che le vide combattere per rivendicare il diritto di affermare le proprie capacità nella società, in breve di poter fare ciò che sapevano fare, in un mondo che già faticava a vedere le donne fuori da un contesto prettamente famigliare / casalingo, figuriamoci se le donne in questioni avevano poi la pelle nera.
Danno ai volti alle protagoniste Tarji P. Henson – Katherine Johnson, responsabile dei calcoli su lanci e rientro della Friendship Seven, la ‘navetta’ che portò il primo americano nello spazio, John Glenn) – già candidata all’Oscar per “Il curioso caso di Benjamin Button”; Octavia Spencer – Dorothy Vaughan, coordinatrice di un centro di calcolo composto interamente da donne afroamericane, che proprio in questa occasione diventa una pioniere nella programmazioni dei grandi calcolatori elettronici – giunta alla fama internazionale con “The Help”; Janelle Monáe – Mary Jackson, prima donna afroamericana a laurearsi in ingegnaria – fin qui nota soprattutto per la sua carriera di cantante r’n’b’.
Interpretazioni intense, ma non senza una componente d’ironia e con una dose ‘quanto basta’ di sentimento.
Mahershala Ali (fresco vincitore dell’Oscar come miglior attore non protagonista in “Moonlight”), Kevin Costner e Kirsten Dunst completano egregiamente un cast in cui forse la presenza più peculiare è quella di Jim Parsons, già uno dei ‘cervelloni’ della popolarissima serie “The Big Bang Theory” che supera in maniera discreta la prima prova ‘importante’ sul grande schermo.
La colonna sonora è firmata da Hans Zimmer e vanta il contributo del Re Mida del pop mondiale Pharrell Williams, che ha anche fatto parte del team produttivo del film.

“Il diritto di contare” è nelle sale da ormai un bel po’ – circa tre settimane – quindi ho l’impressione che sia destinato a uscire nel giro di qualche giorno dalla programmazione; è comunque un film che merita un recupero, magari con l’uscita in DVD tra qualche mese.