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FUOCOAMMARE

La vita quotidiana a Lampedusa ai tempi delle migrazioni: da un lato l’esistenza ‘ordinaria’ degli abitanti dell’isola, che vengono seguiti nella vita di tutti i giorni, all’insegna appunto di un minimo quotidiano; su tutti, assistiamo alle vicende del piccolo Samuele, tra i giochi, i compiti a casa, i momenti famigliari, anche le visite mediche (personalmente mi sono molto immedesimato con lui quando l’oculista gli ha prescritto la ‘benda’ per stimolare l’occhio ‘pigro’… ci sono passato anche io, da bambino, esperienza ben poco piacevole).
Parentesi dedicate alla radio dell’isola che trasmette per lo più musica di altri tempi, ascoltata spesso e volentieri da attempate casalinghe intente alle faccende domestiche.

L’altra faccia è quella degli arrivi: le operazioni di soccorso, i ‘salvati’: a volte in condizioni critiche, altre sani e salvi, a raccontare col canto le vicende che li hanno portati fino lì, altre  a passare il tempo giocando a pallone in tornei ‘per squadre nazionali’; ma anche, purtroppo, i ‘sommersi’, quelli che non ce l’hanno fatta, i cadaveri a volte letteralmente ammassati.

Dopo averci mostrato la varia umanità che affolla quella sorta di moderna ‘cinta muraria’ che è il Grande Raccordo Anulare di Roma, con esiti che spesso inducevano alla risata, o magari alla scoperta incuriosita, Gianfranco Rosi cambia decisamente registro, mettendoci di fronte al dramma dell’immigrazione, senza negarci nulla: il buono, rappresentato dal classico ‘pallone’ che finisce per essere una sorta di ‘collante’ nella permanenza lampedusana di chi viene da tante terre diverse, ma anche il tragico, non risparmiandoci nemmeno lo sguardo su quei corpi senza vita, spesso accatastati alla meglio per pura mancanza di spazio, corpi che a dire la verità spesso finiscono fuori dagli obbiettivi dei telegiornali nazionali, per motivi ‘di opportunità’ facilmente immaginabili.

Allo stesso tempo, e in questo soprattutto si possono trovare dei punti di contatto col precedente lavoro, si seguono le vicende dei lampedusani, con momenti stranianti e inquietanti, come l’immersione notturna di un pescatore col mare quasi in burrasca, parentesi di ‘alleggerimento’, come il pasto di Samuele con la famiglia, dominato dal risucchio insistito col quale il bambino mangia gli spaghetti (il momento se vogliamo più divertente di tutto il film) ed episodi ‘lirici’, come l’incontro, ancora una volta notturno, dello stesso Samuele con un uccellino, per nulla intimidito dalla presenza umana, a evocare un contatto ‘primitivo’ con la natura che forse oggi è privilegio quasi esclusivo proprio degli abitanti delle isole.

Due tipi di esistenza che sembrano appartenere a dimensioni diverse, mondi diversi, distanti non pochi chilometri, ma centinaia, apparentemente indipendenti, se non fosse per la figura del medico Bartolo, che sembra essere una sorta di crocevia dimensionale, intento a prendersi cura degli abitanti dell’isola, come vorrebbe l’ordinarietà del suo mestiere, ma che nelle condizioni attuali passa gran parte del suo tempo a curare i nuovi arrivati, spesso giunti in condizioni estreme dopo aver passato giorni e giorni accalcati in una stiva ma anche, spesso e volentieri a dover redigere gli esami sulle salme di chi è arrivato qui senza vita.

Dietro alla ‘descrittività’ tipicamente documentaristica di Fuocoammare, sembra dunque intravedersi una riflessione sulla fondamentale inconciliabilità di due mondi che destinati a non toccarsi eccetto che in rare occasioni.
Quest’impressione di ‘altro mondo’ che le persone hanno guardando certe immagini riprese a centinaia di chilometri di distanza, appare ripetersi anche sulla stessa isola, dove la distanza è ridotta a poche centinaia di metri: due dimensioni che, anche così vicine, sembrano spesso e volentieri destinate a non incrociarsi, se non in rari casi, come in quello del medico; se anche sulla stessa isola la reale percezione delle dimensioni del fenomeno migratorio finisce per essere così limitata, le probabilità che lo si possa comprendere a centinaia, migliaia, di chilometri di distanza si riducono quasi a zero, finendo per impedire in tutto o in parte la ricerca di strade percorribili per affrontare il fenomeno migratorio.

Gianfranco Rosi nel giro di pochi anni è arrivato ad affermarsi come uno dei nostri cineasti di punta: allo stato dell’arte, forse il migliore: si potrebbe dibattere di se e quanto i premi nei vari Festival siano la vera misura delle dimensioni di chi fa cinema e oggetto di altrettante considerazioni potrebbe essere il confronto tra la ‘pura fiction’ cinematografica e il documentario,  ma non si può negare che aver vinto consecutivamente i premi a Venezia e a Berlino abbiano comunque un significato.

Resta il fatto che come il suo predecessore, anche “Fuocoammare” finisce per fare alzare lo spettatore dalla sedia come emozioni contrastanti, se possibile ancora più conflittuali che in GRA, perché in questo caso il confronto stridente è proprio tra la vita e la morte, la vita pacifica scandita lentamente e l’esistenza di chi parte alla volta delle nostre coste senza nemmeno sapere se vedrà sorgere il sole l’indomani.

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PARIGI

Qualcuno si sarà forse se chiesto se io non abbia avuto veramente nulla da dire riguardo gli attentati di Parigi e tutto ciò che ne è conseguito.
La risposta è: no. O meglio, di cose da dire ne avrei, ma stavolta di metterle per iscritto mi è mancata proprio la voglia.
Non mi pare ci sia molto altro da dire, hanno già detto tutto – e forse troppo – in tanti… alla fine, unire le mie parole alle tonnellate che ne sono già state scritte mi sembrava un esercizio inutile.
Molte considerazioni sono analoghe a quelle fatte a proposito dell’assalto a Charlie Hebdo: del resto in pochi mesi non è cambiato granché.
Ho seguito le notizie riguardo la serie di attentati come in una bolla, una strana sensazione di distacco; mi domando se non si possa cominciare a parlare di ‘assuefazione’… come se tutto quello che è successo fosse stato in fondo prevedibile, come se ce le si dovesse aspettare.
Ho provato una certa empatia per le vittime del Bataclan: non sono un fan sfegatato degli Eagles of Death Metal, ma la band è molto in sintonia con i miei gusti e di conseguenza ho provato una certa ‘vicinanza’ a chi era lì.

Ho considerato che se la Francia ha bombardato la Siria e l’Iraq e quindi si trovava in cima alla lista dei potenziali obbiettivi; ho considerato che la Francia ha questo stramaledetto problema con gli immigrati di seconda generazione che non è riuscita ad integrare, ho aggiunto la riflessione che spesso la gioventù si trova di fronte ad una vuoto di senso, che viene riempita talvolta con la droga, talvolta col gioco d’azzardo, talvolta col terrorismo: non è mischiare capra e cavoli, secondo me; il punto di partenza è comune, il problema sono se vogliamo i ‘canali di sfogo’: c’è chi entra nella sala giochi sotto casa e chi finisce su un sito estremista.

Ho considerato che certo, l’Italia ha tanti ‘simboli’ da colpire, ma che, dopo tutto, per il momento noi non abbiamo bombardato nessuno, quindi almeno viene meno il motivo della rappresaglia; ho considerato che da noi la questione degli immigrati di seconda generazione per il momento ha un impatto sociale minore, augurandomi che ‘chi di dovere’ impari la lezione francese e provveda per tempo.

E poi mi sono detto che dopo tutto la probabilità di uscire di casa e venire investiti da un auto, continua ad essere infinitamente superiore a quella di restare vittima di un attentato: non vuole essere una magra consolazione, si tratta di un semplice dato statistico; e comunque a voler restare chiusi in casa ci sono sempre gli incidenti domestici dietro l’angolo.

Rifletterei invece su come invece di ‘vaneggiare’ di bombardamenti e attacchi all’ISIS – peraltro sottolineo che chi parla di queste cose in genere poi non è che poi prenda, parta e vada in prima persona a combattere, è più il solito ‘armiamoci e partite’ – bisognerebbe veramente andare a fondo sulla questione dei rapporti coi Paesi finanziatori e delle armi.
Il Papa è l’unico che da quando è salito al soglio di Pietro ripete costantemente gli attacchi alla produzione di armi; ben pochi, nel panorama istituzionale e politico italiano hanno portato alla ribalta il tema di chi produce armi in Italia e di quali siano gli acquirenti di queste armi;
peraltro leggere quello che succede a Parigi e non solo, sembra che procurarsi delle armi, legamente o non, sia di una facilità irrisoria.

L’altra questione è quella dei rapporti con chi finanzia i terroristi: per il momento siamo solo di fronte a servizi giornalistici, ma nessuno si è sognato finora di redigere una lista dei ‘Paesi canaglia’ che finanziano il terrorismo… Forse perché fino a quando la lista – vera o presunta – includevaa Gheddafi e Saddam andava bene, ma se dovesse includere qualche emirato andrebbe molto meno bene.

Piccolo inciso, tra l’altro: per anni l’Iran ci è stato presentato come il ‘male assoluto’… eppure in Iran le donne possono frequentare l’Università, laurearsi e raggiungere anche posizioni di preminenza; per contro, l’Arabia Saudita è sempre stata proposta come ‘Paese amico’; in Arabia Saudita le donne non possono manco guidare la macchina:  sono solo io a vederci qualcosa di strano in questa situazione?

L’ultima riflessione riguarda proprio l’inondazione di parole, analisi e riflessioni che ci è stata scaricata addosso in questi giorni: la mia conclusione è stata che molti di coloro che hanno parlato e continuano a parlare lo fanno nella consapevolezza di avere le spalle coperte e di non essere a rischio.
Gli aerei bombardano nel mucchio, i terroristi sparano nel mucchio: ad andarci di mezzo è chi non c’entra niente, sia laddove non ha proprio potere decisionale perché le elezioni non sanno manco cosa siano, sia dove la democrazia esiste, ma poi chi viene eletto col voto ci fa un po’ quello che vuole.
Insomma, in tv tanti parlano perché sanno che i terroristi colpiscono ristoranti, sale da concerto, stadi e supermercati, non certo parlamenti, sedi di partito, centri finanziari fabbriche di armi…

PORTE APERTE

Quello di cui ancora non sembra ci sia resi conto, è che quello delle ‘migrazioni’ è un fenomeno che non può essere arrestato: non si può impedire il sorgere del sole, non si possono impedire le migrazioni.
Respingimenti, muri, affondamenti dei barconi, tutto inutile; come quando c’è una perdita: l’acqua trova sempre la sua ‘strada’…

 

L’UOMO E’ MIGRANTE

Domandiamoci perché l’uomo, all’inizio della sua storia, abbia sentito l’esigenza di oltrepassare i confini dell’Africa, sciamando poi per tutto il mondo; domandiamoci perché gli uomini hanno sempre ‘migrato’ per necessità o semplice voglia di esplorare l’ignoto, percorrendo in lungo ed in largo il pianeta, e addirittura andando a volare nello spazio circostante; domandiamoci perché, di fronte a situazioni insostenibili ‘in casa’ – dittature, carestie, mancanza di lavoro – gli uomini non hanno mai affrontato con decisione il tema del cambiamento delle condizioni della propria casa, scegliendo sempre e comunque di migrare.
Allora? Allora bisogna prendere il fatto che lo ‘spostarsi’ fa parte del dna dell’uomo; poco importa che, effettivamente, noi viviamo in una società occidentale che – almeno apparentemente – fa della stanzialità il suo principio (ma è poi vero? Quanta gente cambia luogo di vita per ragioni di lavoro, amore, insoddisfazione per lo ‘status quo’ circostante?).
Quindi è inutile immaginarsi un mondo in cui ‘ognuno se ne resta a casa sua’, specie se questa ‘casa sua’ è vessata da dittature, guerre, carestie.
DITTATURE, CARESTIE, ETC… I PROBLEMI ALLA RADICE DI CUI NESSUNO PARLA

L’Occidente ha certo le proprie responsabilità… Il problema non è nemmeno la Libia, alla fine: si dice che l’Italia è un ‘luogo di transito’ verso il resto d’Europa; ma anche la Libia è un luogo di transito: sappiamo bene che la stragrande maggioranza dei migranti viene dalla Siria, dall’Eritrea, da nazioni dell’Africa profonda… Mi chiedo perché tutti ciarlino della soluzione della situazione libica e nessuno – per esempio – dica una parola riguardo l’abbattimento della dittatura in Eritrea: qualcuno per caso ha fatto il conto di quante imprese europee hanno rapporti con quel regime, e gli altri dai quali fuggono tanti migranti? Il classico ‘circolo vizioso’: situazioni create dagli europei, con le quali gli europei non vogliono fare i conti… Alla base del principio dei ‘campi profughi’ in Libia, sembra esserci l’idea che la suddetta Libia debba diventare un enorme punto di raccolta e blocco dei migranti; ma questo certo non risolve il problema: perché nessuno parla di risolvere realmente i problemi dell’Africa?
Si dice spesso ‘aiutiamoli a casa loro’: ma aiutarli a casa loro significa abbattere le dittature o investire miliardi di euro nella costruzione di infrastrutture idriche che aiutino a combattere la siccità e la carestia…
La politica ragiona sul breve termine: non si può certo spiattellare in faccia alle opinioni pubbliche tedesche, italiane, francesi che per risolvere la questione degli immigrati bisognerebbe versare miliardi di euro di tasse per migliorare la situazione in Africa?
LA NON SOLIDARIETA’ EUROPEA – I POLACCHI DALLA MEMORIA CORTA

L’atteggiamento tedesco e francese di fronte alle richieste italiane – tutto sommato plausibili – di ‘fare un po’per uno’ erano prevedibili: i francesi hanno già i loro problemi con la loro politica di integrazione fallimentare che li ha portati a crescere i terroristi in casa propria; i tedeschi sono degli utilitaristi che accolgono solo quelli che gli hanno comodo, non hanno alcun della solidarietà e dell’umanità: non ne hanno mostrate ai tempi dell’Olocausto, non mostrano oggi, i tedeschi sono sempre quelli.
Stupisce e delude un po’ l’atteggiamento dei polacchi: proprio loro, che per vent’anni sono venuti qui in Italia a lavare i vetri cercando un domani migliore, oggi sono trai primi avversatori di qualsiasi politica di accoglienza. Complimenti, veramente. La memoria è corta, ovunque.
LA POLITICA ITALIANA E GLI AFFARI SULL’IMMIGRAZIONE

La politica italiana fa schifo: i politici italiani (con poche eccezioni) fanno schifo; la questione dell’immigrazione è risaputa da almeno un decennio: nessun Governo di quelli succedutisi nel tempo ha fatto un beneamato cavolo per gestire il fenomeno. Attenzione, non per incompetenza, ma per calcolo: costruire centri di permanenza ed identificazione, riadattare edifici in disuso, sarebbe costato poco; si è preferito non farlo? Perché in Italia la politica da anni fa affari sull’emergenza… quando c’è una situazione di ‘emergenza’ saltano le regole, si possono sveltire procedure, dare appalti agli amici senza tanti problemi, intascarsi le tangenti. Le vicende di Mafia Capitale, col business dell’accoglienza e quella più recente del CARA di Mineo, stanno lì a dimostrare che la politica italiana nell’emergenza ci sguazza e ci guadagna, facendo i soldi sulla pelle di chi cerca di arrivare qui. Un Paese civile, ben sapendo che prima o poi la ‘bolla’ dell’immigrazione sarebbe scoppiata, si sarebbe preparato per tempo; non l’Italia, dove i politici in genere si muovono solo se per loro o i loro referenti c’è un tornaconto; e il tornaconto, appunto, arriva in particolare quando scoppiano le emergenze: la situazione di fronte alla quale ci troviamo è stata voluta e calcolata.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

Sarebbe ora che qualcuno dicesse una parola di verità: che le migrazioni non si possono arrestare e che se continuiamo con questa politica del ‘troviamo il modo per non farli arrivare’, prima o poi qualcuno da quelle parti se la legherà al dito e magari farà piovere dei missili sull’Europa per punirci; ci si deve rendere conto che la Storia cammina, e che l’Europa è destinata a diventare sempre di più un mix di etnie, culture e religioni: ci sarebbe bisogno di classi dirigenti ‘illuminate’ per gestire il fenomeno, ma ci ritroviamo con Renzi, Hollande, Salvini, Le Pen, Merkel e via dicendo… prima ci si rende conto che l’unico modo di affrontare la questione è spalancare le porte e accogliere chiunque voglia venire qui, nel frattempo affrontand osul serio le radici del problema, meglio è; altre soluzioni sono dei ‘pannicelli caldi’ ideati dai nostri politicanti per salvare carriere e portafoglio e passare a chi verrà dopo il problema, facendolo incancrenire.

Aprire le porte subito, altrimenti temo che la Storia ci farà pagare il conto, che sarà molto più salato di quello di vedere qualche milione di africani in più girare per l’Europa…

L’EUROPA E L’IMMIGRAZIONE

La mia sensazione è che di soluzioni realmente praticabili ce ne siano ben poche: continueremo, temo, ad assistere alla partenza sempre più frequente di barconi stracarichi di disperati, che sempre più spesso naufragheranno: le migliaia di morti diverranno, temo la norma.

Il problema di fondo è che come al solito c’è una differenza di attitudine e di ‘visione’ tra l’Europa del sud e quella del centro – nord: con una buona approssimazione, possiamo dire che la reale percezione del problema l’Italia la condivide con la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Francia, certo con diversità di dimensione e di problemi: l’Italia per esempio è la nazione che più di ogni altra è vicina alle coste africane e che per prima deve fare i conti coi naufragi dei barconi; la Grecia, per fare un esempio, deve affrontare il problema degli sbarchi dal Mediterraneo, ma anche l’immigrazione terrestre dal confine con la Turchia.

I Paesi dell’Europa centro-nord-orientale, invece, dell’immigrazione hanno ben poca percezione: certo, in Danimarca per esempio il fenomeno negli ultimi anni si è fatto abbastanza evidente, vista la piccola dimensione territoriale, ma in generale possiamo dire che quando si parla della ‘tragedia dell’immigrazione’, almeno come la intendiamo noi ‘euromeridionali’, gente come i tedeschi o gli olandesi non sanno proprio di cosa si parli: per loro è tutto più facile, basta controllare le frontiere terrestri; ancora migliore la situazione britannica, cui nel suo ‘splendido isolamento’ basta controllare l’Eurotunnel e gli aeroporti, in fondo.

Il punto è che purtroppo, l’impressione non è solo che quei Paesi non abbiano una percezione chiara del problema, ma che detta in parole povere, non gliene freghi un accidente. Credo sia il caso, ancora una volta, di sottolineare come quando qualcosa in Europa vada storto, c’è sempre di mezzo la Germania: non è cattiveria, né nazionalismo, né razzismo: è un dato di fatto che la Germania è stata in mezzo a due Guerre Mondiali, che lo sterminio degli ebrei è avvenuto in Germania, che in anni più recenti quando con poche risorse si poteva salvare la Grecia, questo non è avvenuto perché la Germania si è opposta, e sappiamo tutti com’è andata finire… e sull’immigrazione è la stessa storia: perché finora non si è riusciti a dare una soluzione realmente ‘europea’ alla questione dell’immigrazione, soprattutto quella dalle coste africane? Perché i tedeschi hanno fatto gli ‘gnorri’, hanno detto ‘si, si, poi vediamo’, hanno tergiversato e procrastinato… perché, in fondo, non gliene frega niente, pensano che in fondo la geografia è quella che è, e che il problema dei disperati africani che arrivano sui barconi è dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: perché pensano, non so se a torto o a ragione, che se loro fossero al posto riuscirebbero a gestire il problema, perché lo sono tedeschi ‘sistematici’ e noi gli italiani, gli spagnoli, i greci a cui piace starsene al sole senza fare un ca**o… magari è anche così, ma a noi piace starcene al sole e godercelo, loro il sole non ce l’hanno e hanno sterminato gli ebrei.

Quindi, siccome in Europa non si muove foglia, che Germania (rappresentata dalla signora a cui però piace tanto venire in vacanza ad Ischia a da quell’altro in sedia a rotelle)  non voglia, siccome alla Germania dell’immigrazione dal Mediterraneo non gliene frega un ca**o, il problema dovremo risolverlo noi… il ‘come’, è tutto da vedere; io credo che purtroppo l’unica strada sarà quella percorsa fin qui: cercare di accogliere alla meglio, rassegnandoci all’idea che arriveremo ad avere centinaia, se non migliaia di morti annegati al giorno; a un certo punto potranno succedere due cose:
1) la voce, forse, si diffonderà, e tanti di quei poveracci smetteranno di pensare che l’Europa sia il bengodi.
2) la situazione si farà talmente tesa e problematica dal punto di vista sociale, che i Paesi ‘di confine’, faranno saltare tutto, apriranno completamente le frontiere in uscita e ammasseranno gli immigrati ai confini con Austria, Germania e quanti altri facendo si che il problema diventi effettivamente di tutti.

L’alternativa a questo stato di cose è risolvere il problema alla radice: non con fantasiose soluzioni di ipotetici ‘blocchi navali’, evocate da Salvini, che dice sempre il ‘cosa’, ma non il ‘come’: bisognerebbe capire il ‘blocco navale’ in cosa consista: nel far tornare indietro i barconi? E come? O nell’affondarli, magari? E con quali soldi pattugliare migliaia di chilometri di coste africane? Forse con il lauto stipendio di Salvini che, pagato da parlamentare europeo (10 – 15.000 euro al mese) sta sempre a parlare della qualsiasi in Italia?

L’unica soluzione realistica sarebbe sbarcare in Libia e occuparne, militarmente e civilmente le coste, impedendo che migliaia di persone tentino la fortuna per mare rischiando la vita; fare si che in Libia prima e nei Paesi di provenienza dei disperati, si diffonda un benessere minimo che li dissuada dal partire; abbattere certi regimi sanguinari, come in Eritrea, stabilendo condizioni minime di cività… ma mi rendo conto che si tratta di utopie e pie illusioni… e allora, teniamoci l’immigrazione, agiamo per quanto possiamo, rassegnamoci ai morti… del resto l’uomo è per sua natura un ‘migrante’, questi fenomeni ci sono sempre stati e sempre ci saranno; il nostro è soprattutto l’errore di prospettiva di chi vive in una società sostanzialmente ‘stanziale’, ma il mondo e la storia umana alla fine di ‘stanziale’ hanno ben poco.

PACE LENTA, GUERRA VELOCE

Soluzione diplomatica, intervento dell’ONU: queste, sinteticamente, le soluzioni che vengono prospettate dal Governo italiano (e non solo) riguardo la questione Libia – ISIS. Tutto giusto e molto di buon senso, sembrerebbe: il problema è che in questo caso col ‘buon senso’, ci si fa poco, ho paura.
Soluzione diplomatica: con chi? Non certo con quelli dell’ISIS, il cui concetto di ‘diplomazia’ consiste più o meno nello scannare o bruciare vivi i loro ‘interlocutori’: come efficacemente ha fatto notare Crozza, ma ce lo vedete Prodi parlare col ‘Califfo’? Il meno che gli potrebbe succedere sarebbe di essere messo allo spiedo e ‘cucinato’ sulla graticola…

La soluzione diplomatica, allora, risiederebbe nella creazione di un Governo ‘unico’ in Libia, in luogo dei due che attualmente rivendicano il potere, per poi pensare che questo ‘Governo unico’, sempre che riesca a ‘imporsi’ sulle centinaia di tribù in cui si articola la popolazione libica, riesca a dare assieme all’ONU un qualche tipo di risposta militare all’ISIS, il che mi pare abbastanza complicato, almeno nei tempi.

L’ONU tra l’altro non è per nulla detto che decida di intervenire: ci sono nazioni come Russia e Cina (che hanno diritto di veto) che non mi pare abbiano molto interesse a prendere una posizione dura e definitiva sulla questione; la Russia, anzi, in cambio della propria approvazione dell’intervento in Libia, potrebbe chiedere qualche tipo di contropartita … ad esempio, che la comunità internazionale si faccia gli affari propri in Ucraina; andrebbe sottolineato, tra l’altro, come anche rimanendo in Europa, come al solito, non ci sia una posizione univoca: gli unici realmente interessati ad una soluzione della questione libica alla fine siamo proprio noi italiani; anche la Francia sembra aver mostrato una qualche attenzione, ma bisognerà vedere se alle parole seguiranno i fatti.

Il limite di fondo di tutti questi discorsi è che la pace è lenta e la guerra veloce: quanto ci vorrà perché i rappresentanti dei due Governi attivi in Libia si incontrino e trovino un accordo talmente forte da poter produrre un’adeguata risposta militare all’ISIS? Quanto ci si metterà a raggiungere un accordo all’ONU (sempre considerando poi che non è che l’ONU abbia a disposizione tutti questi mezzi e questo gran spazio di autonomia, alla fine a decidere tutto sono i singoli Stati: non credo, per dirne una, che Obama abbia tutta questa voglia di mandare decine di migliaia di soldati in Africa o di farli tornare in Iraq). A me pare che gli unici ad aver capito come devono andare le cose sono la Giordania e l’Egitto: dopo i massacri del soldato giordano e dei 21 copti, le rispettive nazioni non hanno posto tempo in mezzo ed hanno subito cominciato a bombardare a tappeto, ottenendo anche qualche risultato tangibile.

La pace è lenta e la guerra è veloce: a me la guerra non piace per nulla, ma qui il rischio è che prima che si faccia ordine trai governi libici e si metta in campo l’ONU, l’ISIS abbia tutto il tempo del mondo per continuare a conquistare posizioni… d’altra parte, mi rendo conto che Giordania ed Egitto siano intervenuti reagendo, non ‘preventivamente’: non dico che l’Italia debba prendere una decisione per cavoli suoi e bombardare l’ISIS autonomamente quale guerra preventiva (peraltro credo che su questo non si riuscirebbe nemmeno a trovare un accordo in Parlamento); d’altra parte non si può certo lasciare che la situazione si incancrenisca, aspettando passivamente che pure da noi arrivi ‘il botto’ e comunque va ricordato che l’Italia è stata più volte direttamente minacciata: l’ISIS ha esplicitamente dichiarato la volontà di conquistare non Parigi, Londra o Madrid, bensì Roma: minaccia che è tutt’altro che una ‘sparata’, dato che viene da gente che non esita a scannare, amputare e bruciare vivo chiunque si azzardi anche solo a dire ‘a’ rispetto alla loro visione dell’Islam.  Forse, invece di aspettare di formare improbabili ‘governi unici in Libia’, sarebbe meglio intervenire in appoggio di chi, come Giordania ed Egitto, ha già capito che l’unico modo di trattare con l’ISIS è bombardandolo a tappeto; soluzione non priva di rischi peraltro.

E’ un nodo gordiano di difficile soluzione, causato dall’inancrenirsi di una serie di situazioni che si sono tirate avanti per troppo tempo: forse gli USA dovevano restare in Iraq per ‘sovrintenderne’ alla reale ‘democratizzazione’; forse la comunità internazionale avrebbe dovuto adottare maggiore risolutezza in Siria, invece che lasciarla nel caos; sicuramente, l’Europa avrebbe dovuto prendersi maggiori responsabilità in Libia, invece di lasciare che tutto degenerasse. Il punto è che si lasciano sempre le cose a metà:  se si decide di intervenire, allora lo si deve fare fino in fondo, altrimenti meglio evitare del tutto.

Al momento allora, più che pensare ad interventi ‘esterni’ è bene rafforzare al massimo la sicurezza interna, aumentando i controlli sui migranti in entrata, accrescendo  la tutela degli ‘obbiettivi sensibili’ e rafforzando gli sforzi di controllo e soppressione dei fenomeni di propaganda estremista su Internet; per stare sul sicuro io comincerei a dare attenzione anche a possibili attacchi dall’aria, nel caso l’ISIS riuscisse ad impadronirsi di arei militari o civili.
Insomma, cominciamo a portare al massimo la sicurezza a casa nostra, e poi pensiamo al ‘fuori’, ma evitiamo per favore, di pensare che la soluzione sia nella diplomazia o nell’ONU: soluzioni che nel caso dell’ISIS mi paiono abbastanza impraticabili.

CHE SUCCEDE A ROMA?

Io non so quale sia l’impressione che si siano formati i non romani su quanto successo a Roma negli ultimi giorni (mi riferisco a quanto avvenuto a Tor Sapienza) ad uso e consumo di chi non abita qui, e come spunto di riflessione per i cittadini romani, esprimo solo una considerazione: non fatevi fregare, è tutta fuffa. A Tor Sapienza è successo poco o nulla, e quanto è successo, se non proprio montato ad arte, è stato strumentalizzato contro il sindaco Marino.

Tor Sapienza è una periferia come ce ne sono tante altre, a Roma e nel resto d’Italia, specie nelle grandi città; un quartiere nato ‘bene’, anche, al contrario di altri mostri urbanistici, che però è stato progressivamente abbandonato dai servizi pubblici: mezzi di trasporo, pulizia, illuminazione… così, Tor Sapienza è diventato un ‘brutto posto’… e i posti brutti rendono brutta pure la gente che ci abita; tutto qui: gli abitanti di Tor Sapienza sono gli abitanti di una zona degradata, con servizi pubblici inefficienti, in cui la criminalità – dalla prostituzione alla spaccio di droga – ormai fa come gli pare e piace.

Quanto successo nei giorni scorsi potrebbe essere considerato la tipica ‘goccia che fa traboccare il vaso’: in sé un centro di accoglienza per immigrati non costituisce un problema; se però il centro si aggiunge ai campi rom, allo spaccio e alla prostituzione, diventa un problema; e questo è un modo di vedere le cose. Si potrebbe però ragionare diversamente: chiediamoci il perché di una tale cagnara per una struttura di accoglienza che non ha nulla di criminale; e chiediamoci perché ad esempio non si è sollevato casino per la prostituzione o lo spaccio… forse perché prendersela con dei minorenni lontani migliaia di chilometri da casa è più facile che prendere di mira chi spaccia, temendo delle ritorsioni.

C’è qualcosa che non va: io ho il forte sospetto che, oltre all’esasperazione dei cittadini, sotto ci sia altro; ho il forte sospetto che le proteste dei giorni scorsi siano state aizzate da qualcuno – sia chiaro: di questo non ho prove, sono solo sensazioni – cogliendo l’occasione dell’aria particolare che si respira a Roma dal punto di vista politico. L’impressione è che il sindaco Marino sia destinato a cadere in tempi brevi; sono mesi che sembra si cerchi il ‘casus belli’ per liberarsi di un sindaco che ormai la sua stessa parte politica ritiene troppo ingombrante perché fa troppo di testa sua; e guarda caso, negli ultimi giorni è uscita fuori prima la strana vicenda dei permessi di sosta per la sua Panda al centro che non si sa che fine abbiano fatto; e poi esplode la questione di Tor Sapienza: la tempistica è talmente perfetta che non può non destare sospetti…

Qualcuno si chiederà perché ormai l’intero panorama politico romano vuole liberarsi di Marino… o meglio, perché la destra se ne voglia liberare è chiarissimo, un po’ meno chiare – forse – sono le motivazioni del suo stesso partito. Ora: su Ignazio Marino ne sono state dette tante, a torto od a ragione; naturalmente, Marino non è stato il miglior sindaco di Roma, ma manco il peggiore: è un anno e mezzo che sta dove sta, non è nemmeno a metà mandato ed un giudizio, se si vuole essere un minimo intellettualmente onesti, è del tutto prematuro. Il punto è che Marino non fa parte di nessuna delle conventicole della sinistra romana: è stato eletto alle primarie proprio perché gli elettori di sinistra ne avevano piene le palle dei giochetti di potere dei politici capitolini, perché la prospettiva di avere come sindaco Sassoli, arrivano fresco fresco dal Parlamento Europeo o  – peggio mi sento – Gentiloni (quello che adesso ha aggiunto alla sua collezione di poltrone quella di Ministro degli Esteri) sembrava ai più deleteria.

Marino, coi debiti distinguo, sembrava una sorta di ‘grillino infiltrato’ in seno alla sinistra romana… uno che dice le cose che pensa, uno non legato alle liturgie, uno non ammanicato coi palazzinari e via dicendo… il PD se lo è ritrovato, ed è stato costretto a tenerselo, ma dal momento in cui Marino è salito al Campidoglio, il suo stesso partito ha cominciato a remargli contro per toglierselo dai piedi. Quello che dà fastidio soprattutto al PD, è che Marino fa di testa sua senza chiedere nulla a nessuno: magari sbaglia, ma vivaddio non si fa imporre la linea da chicchessia… per questo, sono mesi che il PD sta brigando per levarselo dalle palle, e quello che è successo a Roma in questi giorni sta dando al PD romano l’occasione che aspettava: in parole povere:  al PD degli abitanti di Tor Sapienza non gliene frega un ca**o, gli frega usare qunato successo a Tor Sapienza per defenestrare Marino, per metterci magari al posto Zingaretti (il fratello di Montalbano), attuale Presidente della Regione Lazio, e dare il via al classico giro di poltrone; guarda caso, infatti, Zingaretti in questi mesi è stato zitto e buono, col classico atteggiamento ‘paravento’ di chi aspetta l’occasione giusta per farsi avanti: mai una parola sul sindaco di Roma, contro o a favore: Zingaretti è quello che fa lo gnorri proprio perché la sa lunga… non dice una parola, perché non vuole bruciarsi; non prende posizione, perché aspetta che qualcuno vada da lui col cappello in mano a chiedergli di fare il salvatore della patria. Va sottolineato peraltro che c’è una scuola di pensiero secondo cui Zingaretti potrebbe essere una sorta di anti-Renzi all’interno del PD, e la visibilità che gli darebbe la poltrona di sindaco di Roma gli tornerebbe molto utile.

Ignazio Marino probabilmente non riesce manco a fare tutto ciò che vorrebbe, perché ha contro non solo l’opposizione, ma anche il suo partito… in questa situazione secondo me si è venuta a creare una sorta di ‘santa alleanza’ contro il sindaco, che va da CasaPound al PD, tutti accomunati dal desiderio di liberarsi di Marino e rimettere in gioco le poltrone della capitale… e siccome a me le situazioni in cui tutti si coalizzano contro una persona sola mi danno il voltastomaco, allora io dico che proprio per questo Marino deve restare dove sta: la sola prospettiva di tornare ad elezioni e vedere salire al Campidoglio il fratello di Montalbano che parla con la zeppola o l’imprenditore Marchini o Giorgia Meloni a me dà la nausea. Ancora più nauseante, se possibile, è il fatto che per far fuori Marino stiano venendo strumentalizzate le legittime rivendicazioni di cittadini che hanno problemi incancreniti, la responsabilità dei quali è divisa più o meno equamente da chi ha preceduto l’attuale sindaco: i signori Rutelli, Veltroni ed Alemanno; però si scarica tutto su chi sta al Campidoglio da un anno e mezzo, solo perché sta sui co***oni ai ‘capi’ del PD romano…

L’impressione è comunque veramente brutta, e non mi meraviglierei se in Primavera si riandasse a votare per il Sindaco; tanto, dato che si voterà pure per il Parlamento, una scheda in più che vuoi che sia…

LA SEDIA DELLA FELICITA’

Una serie di coincidenze porta un’estetista (Isabella Ragonese) e un disegnatore di tatuaggi (Valerio Mastandrea) alla ricerca di un ‘tesoro’ in gioielli, nascosto nella sedia del titolo; a loro lungo la strada si unirà un improbabile prete (Giuseppe Battiston), in una ricerca che alla fine, dopo un susseguirsi di incontri con una variegata umanità, se  non li renderà ricchi, sarà quanto meno servita a far trovare loro l’amore…

L’ultimo film di Carlo Mazzacurati, mancato poco dopo la fine della lavorazione: banale dirlo, ma alla fine questo film sembra un po’ una ‘summa’, la fotografia finale di quel nordest da sempre al centro del cinema del regista: un nordest che – continuando a voler essere scontati – finisce per rappresentare un po’ tutta l’Italia dei tempi attuali: un’Italia in cui gli italiani si ‘arrangiano’ (viene quasi da pensare che il personaggio della Ragonese sia lo stesso di “Tutta la vita davanti” di Virzì, a qualche anno di distanza), magari sotterrando le proprie aspirazioni, o dando seguito alle stesse in lavori all’insegna della precarietà… per poi sperare in una ‘svolta’, rappresentata dalla fortuna, attesa come improvvisamente piovuta dal cielo o cercata spasmodicamente attraverso le slot machine… Gli unici che sembrano ancora lavorare, disposti al sacrificio, sono gli immigrati, che peraltro non si accontentano più di fare da ‘bassa manovalanza’, ma divengono essi stessi imprenditori, proprio in quel nordest tanto decantato dove però gli italiani si imbarcano in attività improbabili, mentre lo spirito imprenditoriale sembra progressivamente passare ai cinesi e agli indiani.

Non che “La sedia della felicità” sia un saggio sociologico, anzi: Mazzacurati ha come al solito il pregio di proporre, o suscitare, determinate riflessioni con discrezione, incasellandole in una storia che, stavolta, è svolta all’insegna dei moduli sia della classica ‘commedia all’italiana’, con la ‘banda’ di personaggi che si trovano insieme, sia dell’on the road all’americana… Il risultato è un film fondato più sulle situazioni che sull’introspezione e più sulle comparse che sui personaggi principali: si ride, di gusto, trovandosi di volta di fronte ad Antonio Albanese, Raul Cremona, Natalino Balasso, Milena Vukotic, Marco Marzocca, Roberto Citran,  Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio: giunti qui per quella, che, col senno di poi, appare una sorta di celebrazione di Mazzacurati, una festa di quelle organizzate ‘finché si è in tempo’… e alla fine, si ride per le situazioni, spesso esilaranti, generate nel corso del film, mentre i tre personaggi principali alla fine sono di fronte quasi ad un lavoro di ordinaria amministrazione.

Il film funziona ed è efficace: riesce nell’impresa di far dimenticare la totale inconsistenza di Valerio Mastandrea, mentre Battiston come al solito si affida alla sua espressività un filo stralunata e vagamente folle ed alla corporeità debordante e leggermente goffa;  completa il trio una luminosa Isabella Ragonese, nella sua bellezza così ordinaria e per questo ancor di più disarmante.

SE 80 EURO VI SEMBRAN TANTI (O POCHI)…

Cerchiamo, per un attimo, di andare oltre l’irritante sorrisino di condiscendenza dell’on. Picierno o le uscite demagogicamente calcolate di Piero Pelù; cerchiamo di capire le motivazioni del provvedimento, e la sua utilità.

Gli 80 euro: tanti? Pochi? Banalmente, la risposta è: dipende; per un single che abbia abitudini ‘sobrie’, gli 80 euro possono effettivamente consentire una decina di giorni di spesa; per una coppia in cui entrambi i componenti godano del provvedimento, sono un discreto aiuto; per una famiglia monoreddito di tre persone, non sono tutto ‘sto che: consentono a mala pena una serata cinema + pizza.

Il provvedimento, nelle intenzioni del Governo, produce benefici per coloro che hanno una certa ‘propensione al consumo’: detta in due parole, si è erogato il beneficio a coloro che – probabilmente – gli 80 euro li spenderanno, senza lasciarli a ‘riposare’ in banca, o sotto il proverbiale ‘materasso’; nell’ottica del Governo, ad esempio, i pensionati sono più orientati al risparmio, quindi se avessero ricevuto gli 80 euro, li avrebbero ‘conservati’; perché dare gli 80 euro ai lavoratori dipendenti, in busta paga? Perché questa è la soluzione più ‘rapida’ dal punto di vista tecnico… è ovvio che sarebbe stato più ‘giusto’ partire da chi ha redditi così bassi da non poter pagare le tasse, ma in quel caso, il problema è che si sarebbero dovuti erogare questi soldi tramite altri strumenti, con la necessità di controlli che avrebbero allungato i tempi: il problema è che Renzi di tempo non ne ha, deve produrre risultati entro le elezioni..

Cosa non funziona nel provvedimento:

1) Non tiene conto della situazione famigliare dei beneficiari: per esempio, potrebbe benissimo accadere che chi beneficia del provvedimento, abiti con una persona abbiente e danarosa; mettiamo che una persona che guadagni 1.500 al mese euro conviva o abiti con una persona che ne guadagni 10.000 al mese: il nucleo famigliare beneficerà del provvedimento, nonostante questo non incida più di tanto sulle finanze famigliari.

2) Non tiene conto di eventuali altri redditi: il nostro lavoratore dipendente potrebbe, ad esempio, aver ricevuto in eredità degli immobili che, affittati, gli fruttino qualche migliaio di euro al mese; anche in questo caso, il lavoratore beneficerà del provvedimento. Va detto che però il Governo ha specificato che in questo caso il contribuente non ha diritto al beneficio in busta paga, ma che deve essere lui a comunicarlo al datore di lavoro, eventualmente restituendo quanto indebitamente ricevuto quando pagherà le tasse… Recentemente ho letto un’affermazione di non so chi, che affermava che ‘contiamo sull’onestà dei contribuenti’… il che, in un Paese dove l’evasione fiscale assume le dimensioni che conosciamo, appare più che altro una dichiarazione di resa.

3) Il limite maggiore del provvedimento risiede però nella sua palese iniquità: ora, 1.500 al mese. Averceli. Nessuno nella mia ristretta cerchia di amici raggiunge tanto. Non voglio dire che 1.500 euro al mese siano roba da ricchi, però anche in questo caso tutto è relativo: certo, se si abita in affitto, questo se ne mangia come minimo la metà; se però si abita in una casa di proprietà, o comunque non si paga un affitto, il discorso cambia e 1.500 euro sono una discreta somma; si limita il provvedimento al ‘lavoro dipendente’, lasciando fuori dalla porta il mondo del lavoro, autonomo, atipico o delle pensioni… capisco anche che il Governo abbia preferito coinvolgere le tipologie di lavoratori ‘direttamente controllabili’ dal fisco, senza estendere il provvedimento a quelle categorie dove  l’evasione è più diffusa.. tuttavia non si può fare di tutta un’erba un fascio, affermando che i lavoratori autonomi siano tutti evasori a prescindere…

Le alternative c’erano, e andavano valutate seriamente: ne cito solo tre: un aumento delle detrazioni sulle spese sanitarie; un aumento, anche di poco, della soglia al di sotto della quale non si pagano le tasse; un intervento sull’IVA, magari procedendo col ‘bisturi’ e intervenendo su certe tipologie di prodotto: in fondo, la riduzione dell’IVA, uguale per tutti, porta benefici soprattutto ai meno abbienti…  Il problema è che credo che Padoan e lo stesso Renzi avessero ben presente la possibilità di alternative più eque agli ’80 euro al mese a chi ne guadagna 1.500′ ed è qui che viene alla luce la natura eminentemente ‘politica’ del provvedimento: qualsiasi alternativa, infatti, avrebbe richiesto più tempo, e Renzi di tempo non ne ha; deve portare risultati concreti in tempi brevi, è costretto non solo a far vincere al PD le elezioni europee, ma a fargliele vincere bene, e con ampio margine; gli ’80 euro’ hanno acquisito un peso sempre maggiore man mano che il Governo Renzi si è andato dimostrando incapace di approvare provvedimenti in altri settori: le riforme istituzionali andranno alle calende greche, di legge elettorale non si parla più, il decreto lavoro si sta rivelando un groviglio di misure incoerenti, volte non a migliorare l’occupazione, a far restare unita la maggioranza; la riforma della P.A. è al momento una lista di buoni propositi, mentre sullo scenario internazionale, il Governo sta mostrando una disarmante mancanza di iniziativa, ‘accodandosi’ a ciò che viene detto a Washington o Bruxelles. La questione – carceri e Giustizia in genere  è al palo: molto presto vedremo il Ministro Orlando a “Chi l’ha visto”… quella degli immigrati che giungono sulle coste, pure.

I famosi ‘gufi’, Renzi li vede solo nella sua immaginazione: qui non è questione di ‘tifare contro’, è questione di essere finora di fronte ad un Governo che, finora, ha puntato esclusivamente sull’effetto-annuncio…  il che, a dirla tutta, mi ricorda qualcun altro…

DUE O TRE COSE SUL VENETO INDIPENDENTE

Al di là di certe trovate puramente folkloristiche, cui l’interesse della magistratura rischia di dare solo un ulteriore non necessario risalto, credo sia il caso che il problema venga affrontato.

L’indipendentismo non è cosa di oggi, in varie forme è un’idelogia che perdura da anni, non solo in Veneto… credo tra l’altro che si abbia ben presente come tutto questo nasca dalla mancanza di una vera e propria identità nazionale: in fondo siamo una ‘nazione’ da nemmeno 200 anni… nulla di paragonabile a un ‘localismo’ che trae le sue radici dalla caduta dell’Impero Romano, che ha trovato la sua massima espressione nei Comuni e che è stato poi alimentato da secoli di dominazioni straniere diversificate sul territorio.

Non siamo italiani e non ci ‘sentiamo’ tali (come cantava Gaber), non per cattiveria o malanimo, ma perché siamo e ‘ci sentiamo’ innanzitutto romani, napoletani, milanesi, lombardi, veneti (e magari all’interno dello stesso Veneto, guai a confondere vicentini, veronesi, padovani) , come cantava Carboni. In questo alla fine, non c’è nulla di male… è l’Italia come Nazione unitaria ad essere stata ‘costruita’ male e questo lo dico senza alcun sentimento anti-nazionale, ci mancherebbe.

In Veneto, dunque, c’è una discreta fetta di popolazione che vorrebbe andare per conto suo, ‘fare da se’, separarsi dall’Italia dei meridionali mafiosi e dei romani che non hanno voglia di fare niente… poco importa che in Veneto ci sia stata, per dire, la ‘mafia del Brenta’, o che il tanto osannato mito del ‘nordest operoso’ negli ultimi vent’anni si sia fondato soprattutto sulla manodopera immigrata sottopagata e spesso illegale, con conseguente evasione delle tasse… evitiamo però, che sennò magari parte l’accusa di qualunquismo…

Io dico: risolviamola una volta per tutte; giochiamo a carte scoperte, convochiamo un bel referendum nazionale per capire non solo se i veneti vogliono davvero andarsene, ma se il resto degli italiani vuole ancora averci a che fare;
se il risultato dice che il Veneto resta italiano, amen: per almeno cinquant’anni, basta con ‘sta buffonata dell’indipendentismo;
se si decide che il Veneto non è più italiano, benissimo: il giorno dopo il referendum, si tagliano le forniture di acqua, elettricità e gas che dal resto d’Italia giungono in Veneto;
si chiudono strade e autostrade, si impedisce che dal Veneto partano aerei verso l’Italia e viceversa;
si blocca il traffico di merci e persone: nessuno entra, nessuno esce;
si mette l’esercito a presidiare le arterie di collegamento, impedendo che qualcuno trasgredisca.

A quel punto, voglio vedere come se la caverebbe, il ‘grande ed operoso nordest’: probabilmente chiederebbe l’annessione all’Austria o forse no… magari si troverebbero costretti a decidere se continuare con l’indipendentismo o morire di fame, ma che ci volete fare, bisogna accettare le conseguenze di ogni decisione…

Sarebbe un buon banco di prova: servirebbe a capire una volta per tutte se ‘stare insieme’ offra un reale valore aggiunto o se davvero sia meglio andarsene ognuno per cavoli propri… Perché, cari veneti, la verità è che per ogni motivo che voi adducete per il vostro ‘stare male in Italia’, noi non veneti ne potremmo trovare altrettanti per il fatto di non volere avere niente a che fare con voi… in ognuno c’è del buono e del marcio, nessuno può dirsi ‘migliore’ di qualcun altro; siamo diversi e non c’è nulla di male a sottolinearlo, ma ritenere di poter sempre e comunque ‘fare da soli’, mi pare un attimino presuntuoso…

 

DI SINISTRA, DESTRA, MOVIMENTO CINQUE STELLE E POLEMICHE ASSORTITE

AVVERTENZA: IL POST CHE SEGUE E’ CHILOMETRICO, E RIBADISCE CONCETTI GIA’ ESPOSTI ALTRE VOLTE SU QUESTO BLOG. PUO’ ESSERE GIUDICATO COME UNA GIGANTESCA PIPPA MENTALE O SESSIONE DI BRAINSTORMING; NON SIETE OBBLIGATI A LEGGERE, TANTO MENO A COMMENTARE, SE NON SIETE D’ACCORDO, TANTO POI IL RISULTATO SONO DISCUSSIONI CHILOMETRICHE SENZA ALCUN RISULTATO TANGIBILE.

Quando ho cominciato a interessarmi vagamente di politica, come molti della mia generazione, ad inizio anni ’90, con Tangentopoli e via dicendo, mi definivo esplicitamente di destra: mi piacevano Fini e il suo ‘spazziamoli via tutti’ (credo lo votai anche come sindaco di Roma, in contrapposizione a Rutelli che già allora aveva mostrato la sua indole di voltagabbana),  avevo anche una certa fascinazione per la Lega e il concetto di Federalismo… non nascondo, ma non credo sia una colpa, o qualcosa per cui mettermi in croce, che ammiravo Berlusconi, per tutto quello che aveva fatto fino a quel momento… poi col passare degli anni, ai tempi dell’Università, ho un pò cambiato opinione… alla fine, tutta una questione di ‘cosa viene prima’, se i ‘diritti’ o i ‘doveri’.  Per chi è di destra, vengono prima i ‘doveri’: il dovere di servire e onorare la Patria, il dovere di costruirsi una famiglia, il dovere di trovarsi un lavoro, anche umile, per contribuire allo sviluppo della Nazione; per la sinistra, vengono prima di diritti, ovvero, prima lo Stato deve mettere in condizione i cittadini di avere un lavoro che risponda alle proprie aspirazioni, di raggiungere il proprio benessere a prescindere da dove si parte. Poi vabbè, in mezzo c’è un oceano di differenze, ma in fondo secondo me la differenza di fondo tra destra e sinistra è questa: per la destra viene prima il singolo con le sue capacità e doveri nei confronti della società, per la sinistra i doveri sono innanzitutto della società nei confronti del singolo.

Sono di sinistra? Credo. Almeno, penso che le organizzazioni ‘sociali’, la società, lo Stato, chiamatelo come volete, esistano in quanto garantiscano al cittadino di accedere a diritti che altrimenti se fosse solo, non gli sarebbero garantiti. Intendiamoci, credo in un certo senso lo stesso singolo sia ‘artefice del proprio destino’ (concetto eminentemente di destra), ma se uno Stato deve esistere, la sua funzione è proprio quella di fare in modo di garantire un insieme anche limitato di mezzi, anche ai più deboli o  meno ‘forti’. Sono di sinistra quando penso che ognuno pagando le tasse debba contribuire al benessere sociale, divento di destra quando le tasse pagate vengono sprecate o usare per mantenere gli apparati burocratici dei partiti come succede in Italia: a quel punto, meglio che ognuno si tenga il proprio e aiuti il prossimo con la beneficenza. Sono di sinistra quando dico che bisogna aprire le porte  a chi scappa dall’Eritrea o dalla Siria, o da posti dove rischiano la vita, divento di destra quando certi immigrati pensano di potersi comportare in Italia come facevano a casa loro, e addirittura insultano gli italiani..

In fondo, non ho mai creduto che si possa essere completamente di destra o di sinistra: prendete il più ardimentoso difensore dei principi comunisti, mettetegli a rischio casa e risparmi in virtù del ‘bene superiore della società’ e vede come diventa subito uno strenuo difensore della proprietà privata; prendere uno che in casa tiene il busto di Mussolini, e magari scoprite che poi  nel tempo libero fa del volontariato a favore degli immigrati… Insomma, se a una persona chiedono ‘sei di destra o di sinistra’, la risposta più onesta dovrebbe essere ‘dipende’. In Italia, e questo è uno dei problemi di fondo, c’è invece questa luogo comune secondo cui se si è ‘di parte’, lo si è fino al midollo, e a mancare è soprattutto il rispetto per l’altro: per chi è di sinistra, chi non la pensa come loro è automaticamente un fascista; per chi è di destra, chi non è come loro, è automaticamente uno stalinista. Sotto questo punto di vista, l’Italia, fa schifo.

Dai primi anni ’90 in poi, questa situazione si è incancrenita: per gli elettori di Berlusconi, chi votava altrove era un pericoloso liberticida; per gli elettori di sinistra, chi votava Berlusconi era un ignorante, uno indottrinato dalla tv… le persone di buon senso e gli intellettuali? Tutti sinistra. Gli str***i fascisti, adoratori del ‘dio denaro’? Tutti a destra… Che schifo, ribadisco.  Lo stesso trattamento sta venendo riservato al MoVimento Cinque Stelle; il principale argomento di discussione è ‘Grillo è un fascista’. Se Grillo chiede il reddito di cittadinanza o si schiera contro la TAV, è populista; se le stesse cose le dicono SEL o il PD, allora è buon senso. Poi mi viene detto: eeeeh, ma Grillo certe cose le dice solo per prendere i voti… Perché, gli altri no???? Insomma, la questione qual è? Grillo è in malafede e invece Epifani, Letta, Renzi, Civati, Cuperlo, Monti, Casini, Alfano e Brunetta sono tutti santi che hanno a cuore le sorti degli italiani? E comunque, quale altro scopo ha una forza politica che si presenti alle elezioni se non quello di prendere i voti per andare al Governo (o piuttosto, salire al potere)?

In giro c’è una disonestà intellettuale disarmante: il centrosinistra, nelle sue varie articolazioni, è andato avanti per vent’anni sostenendo che l’unico problema dell’Italia era Berlusconi, salvo poi salvargli le chiappe ogni qual volta è andato (brevemente) al Governo, perché avere il ‘nemico’ contro cui ragliare era molto più comodo che non tirare fuori qualche idea degna di questo nome… adesso stanno ripetendo lo stesso errore con Grillo: la disoccupazione? E chi se ne frega. Le tasse? E chi se ne frega. Le carceri? E chi se ne frega (a parte quando parla Napolitano, se lo stesso problema lo solleva Pannella da dieci anni, stica**i), l’immigrazione? E chi se ne frega (a parte quando ci sono da piangere centinaia di morti); mi si chiederà perché io parli spesso male del PD: perché mi fa inca**are; del PDL che devi dire? E’ coerente, è il partito di Berlusconi e con Berlusconi: le idee sono quelle, lo scopo è chiaro, quindi puoi prendere posizione, pro o contro, il discorso è semplice.  Io Alfano, Brunetta, Santanché, Bondi, Lorenzin, De Girolamo non li sopporto; l’unico per cui ho un minimo di stima è Lupi, ma più che altro perché corre le maratone e questo me lo rende simpatico, a prescindere.

Il PD è una caso diverso, e mi fa inca**are perché il PD che potrebbe essere e che vorrei è molto diverso da quello che è… A me fa inca**are che il PD abbia scelto Epifani come segretario e che abbia Cuperlo come unica alternativa  a Renzi, e che continui a relegare nelle retrovie persone come Debora Serracchiani che se dirigessero il PD o si candidassero alla premiership Grillo lo spazzerebbero via in cinque minuti. A me il PD fa inca**are, perché ha messo a guidare il Governo uno dei suoi che non ha detto mezza parola sull’aumento delle pensioni da 300 euro o sul taglio delle accise sulla benzina, ma in compenso trova il modo di condonare 1,9 miliardi di euro di multa a chi ha frodato il fisco gestendo le slot machine, o quando sostiene che ‘su certe spese’ (leggi caccia F35), purtroppo ‘non c’è niente da fare’.

Dico che è inutile prendersela con gli italiani ignoranti se il MoVimento Cinque Stelle continua ad essere sopra al 20 per cento; non è l’ignoranza degli italiani, è l’inettitudine altrui: quella di Berlusconi che da vent’anni ciancia di ‘rivoluzione liberale’ e che se poi non la porta avanti, la colpa è sempre degli alleati traditori o della Magistratura; e quella del centrosinistra che ogni volta che è andato al Governo ci è andato male organizzato. La differenza tra il MoVimento e gli altri è tutta qui: gli altri hanno provato fallendo. Il MoVimento Cinque Stelle sta in Parlamento da pochi mesi, esiste da pochi anni, ma improvvisamente per alcuni sembra sia diventato l’unico problema dell’Italia.  Boh, se vi fa piacere pensarlo, accomodatevi, ma resta il fatto che dire ‘Grillo è fascista e chi lo vota è un ignorante’ non è un argomento, è un modo furbetto per evitare il confronto e una strada comoda per continuare a pensare di avere una superiorità morale e intellettuale che in realtà non avete. Mentre nel MoVimento Cinque Stelle c’è anche tanta gente critica (a cominciare dal sottoscritto) dalle altre parti non c’è nessuno che sia disposto a riconoscere a Grillo un seppur minimo merito, o beneficio del dubbio: “Grillo è fascista e chi lo vota è un ignorante’. In fondo è la stessa cosa successa con Berlusconi, che non era la causa, ma il sintomo, lo stesso è il MoVimento Cinque Stelle, risultato degli ultimi vent’anni di malapolitica, ma la colpa invece è degli italiani che – ma che strano – non danno fiducia agli altri.  Continuate così, fatevi del male.