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IN SINTESI…

…Tsipras ha piegato la testa;

le misure introdotte deprimeranno ulteriormente l’economia, impedendo alla Grecia di riprendersi;

la Grecia otterrà l’ennesimo pacchetto di aiuti sotto forma di prestiti, aumentando la propria dipendenza dai creditori;

se questo è il risultato, sarebbe stato quasi più coerente uscire dall’Euro;

vince l’Europa dell’eterno debito, della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite; delle banche che speculano, facendo ricadere le eventuali conseguenze negative sulla società;

vince l’Europa di quelli che guadagnano anche quando le cose vanno male, e di quelli che quando le cose vanno male pagano tutto e quando vanno bene, non vedono un centesimo.

Auguri a tutti.

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IL CORAGGIO DI DIRE NO

I greci hanno avuto il coraggio di dire ‘no’, finalmente. Un ‘no’ che per esempio noi italiani non abbiamo avuto la forza di dire, anzi; certo, ora improvvisamente tutti scoprono la dignità ellenica, dando peso alle ragioni del rifiuto di continuare a seguire ricette demenziali; in Italia del resto, l’abitudine di salire sul carro del vincitore non l’abbiamo mai persa. Fino all’altro ieri eravamo quelli che avevano diligentemente ‘fatto i compiti a casa’, seguendo le direttive di Berlino e Bruxelles; oggi molti si scoprono improvvisamente avversari dell’Austerity.

L’Austerity a cui i greci hanno detto ‘no’, è la stessa a cui gli italiani hanno sbrigativamente detto ‘si’, facendosi imporre dall’estero dei Governi i cui Capi (Monti, Letta e in fondo anche Renzi), sembravano mossi dal ‘sacro fuoco’ di trasformare gli italiani in tedeschi; con tutto il rispetto, io non voglio morire tedesco; e nemmeno i greci, che però avuto il coraggio di dirlo chiaramente, prima votando Syriza e poi votando il referendum; certo, purtroppo, a noi italiani è stato impedito di votare…

L’Austerity che da quattro, cinque anni, è stata imposta a Italia e Grecia non ha prodotto risultati apprezzabili: le tasse sono esplose, il debito pubblico è continuato a crescere; certo il famigerato ‘spread’ è diminuito, ma ciò sembra più che altro dovuto al trend internazionale che non alle cosiddette ‘riforme’ portate avanti in Italia. Quella delle ‘riforme’ è una panzana che ci viene raccontata da anni: le famose ‘riforme’ approvate in Italia hanno portato al problema allucinante degli esodati, e all’approvazione di una legge sul mercato del lavoro con qualche luce e parecchie ombre: non di certo quella riforma ‘epocale’ che si vorrebbe far credere; non parliamo poi delle riforme elettorali e Costituzionali, un autentico ginepraio che peraltro sembra ancona lungi dall’essere risolto; sul fronte della burocrazia e del processo civile, gli elementi che dovrebbero incoraggiare gli investimenti esteri in Italia, ben poco è stato fatto… senza contare la questione della criminalità, che ancora oggi rende pressoché impossibile agli imprenditori esteri investire serenamente le proprie risorse in larghe parti del meridione. Riforme? Per favore…

Ancora peggio è andata in Grecia, dove quattro anni di austerity hanno distrutto posti di lavoro, redditi, consumi interni… e proprio erano cominciati i primi, timidi segnali di crescita, ecco di nuovo la ‘troika’ a chiedere misure demenziali come l’aumento dell’IVA, per distruggere quel poco di crescita che era cominciata. Ribadisco quanto scritto precedentemente: i creditori non hanno alcun interesse che i debitori paghino; il loro interesse è che i debitori restino incatenati a loro in eterno, dovendo chiedere sempre più soldi e in cambio dovendo seguire direttive di politica economica volte al liberismo più selvaggio e privo di controlli. La Grecia potrebbe anche uscire dall’euro – meno probabile che esca dall’UE – ma questa soluzione è la meno auspicata perché significherebbe perdere i soldi e soprattutto aprirebbe l’orizzonte a territori inesplorati: e se la Grecia, non più schiava di certe direttive, cominciasse a correre come una locomotiva, dando la mazzata definitiva alla credibilità delle politiche europee? Certo, non è detto che questo accada: l’economia non è una scienza esatta e chi vuol fare credere il contrario è un incapace o è in perfetta malafede: tutte le maggiori crisi economiche degli ultimi anni sono nate da persone che pensavano – o volevano far credere – di essere in possesso della Verità Assoluta in campo economico e da chi gli è andato appresso… diffidare, sempre diffidare: in economia, come in tante altre materie, ogni medaglia ha un suo rovescio; in matematica 1+1 fa due, in economia questo non è per nulla detto.

La soluzione alternativa, e quello che veramente farebbe si che il voto greco non fosse stato inutile, è che in questo frangente venga colta l’occasione per rivedere una buona parte dell’impianto delle politiche europee, aprire la porta ad una discussione che finora è stata sempre chiusa a causa del comportamento tedesco.

Io me la prendo sempre con la Germania: a ben vedere però ogni volta che in Europa le cose vanno per il verso sbagliato ci sono di mezzo i tedeschi. Il fatto è che in fondo all’ottusità e alla sicumera tedesca, alla loro convinzione di essere sempre e comunque nel giusto, ci dovremmo essere abituati; il problema forse sta nel fatto di essergli andati appresso. La Germania negli ultimi ha fatto i suoi interessi, all’insegna del principio secondo cui quel che va bene a loro va bene per il resto d’Europa; la Germania è stata anche molto abile a creare un cosiddetto ‘blocco del rigore’, raccogliendo attorno a sé Stati dell’Europa nord e orientale. Il problema è che non c’è stato un blocco altrettanto granitico dall’altra parte: alla fine gli unici a sfidare il Golia tedesco e i suoi seguaci sono stati i piccoli Davide ellenici, e si potrebbe anche scomodare il paragone con le Termopili.

Il problema è che di fronte all’abilità e all’arroganza tedesca, si sarebbe dovuto contrapporre un altro blocco, diciamo ‘Mediterraneo’, con Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, forse anche la Francia; non è un caso, se dopo le ultime elezioni europee, alla guida della Commissione c’è un lussemburghese e a quella dell’Eurogruppo un belga: tutti allineati con la Germania… e il ‘Mediterraneo’? Nulla, anzi, peggio: perché i ‘Paesi con i problemi’ invece di fare massa critica tra di loro, hanno preferito andare appresso alla Germania, invece di fare opposizione, aspirando ad entrare nel ‘club di quelli col ditino alzato’; in Italia è successo esattamente questo, con Monti, Letta e Renzi; analoga situazione in Francia, con Sarkozy prima e Hollande poi (i francesi con la loro tipica supponenza non avranno mai il coraggio di ammettere di avere dei problemi); stessa storia in Spagna.

L’aspetto peggiore di tutta questa situazione è proprio che la Grecia ha finito per portare Tsipras al Governo e votare ‘no’ al referendum perché è stata lasciata sola, peraltro proprio da quelle Nazioni del Mediterraneo che dovrebbero esserle stati più vicine per indole, carattere e cultura, a cominciare dall’Italia: cavolo, Grecia e Italia insieme rappresentano l’80 per cento delle radici della cultura europea… ma invece noi ci siamo ritrovati prima Monti e Letta con la loro smania di trasformare gli italiani in tedeschi e poi Renzi con la sua smania di sedersi al ‘tavolo dei potenti’ per farsi bello nelle conferenze stampa con la sig.ra Merkel. Ora vedremo quello che succederà: il mio timore è che ‘passata la festa, gabbato lo Santo’, sistemata in qualche modo la questione greca, si continui a procedere ottusamente come prima, senza che nulla cambi e continuando a proseguire sulla china che ci ha portato qui, fino alla prossima crisi quando saremo punto e a capo; altrimenti, spero che veramente qualcosa cambi, che prima o poi, magari grazie al cambio progressivo dei vari Governi in giro per l’Europa, si ridiscuta l’impianto di un’Unione che, nata e cresciuta tutto sommato bene, dal momento dell’introduzione dell’euro ha cominciato a storcersi, diventando sempre più aggrovigliata fino a raggiungere le degenerazioni odierne.

ISTITUZIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI: IL MALE ASSOLUTO

A prescindere da come andrà a finire la vicenda greca, credo che ormai non si possa più tacere il fatto che oggi, a livello mondiale, il ‘Male Assoluto’ sia rappresentato dalle cosiddette ‘istituzioni finanziarie internazionali’: alla fine, negli ultimi anni hanno fatto più danni loro che l’ISIS: certo l’ISIS ha fatto scorrere sangue e distrutto monumenti, ma le ‘istituzioni’ con le loro politiche hanno portato alla distruzione delle vite di milioni di persone.

 

IL PESO MONDIALE DELLA NON – DEMOCRAZIA

Il problema è quello insito in ogni istituzione sovranazionale priva di qualsiasi legittimazione democratica e resa nel contempo indipendente dai Paesi che la compongono.
Cerco di essere più chiaro: le istituzioni internazionali sono formate da Stati; nel corso degli anni, con l’obbiettivo di garantire la loro indipendenza dai singoli interessi nazionali, si è data loro una capacità di agire progressivamente sempre più ampia e priva di vincoli. Apparentemente, garantire l’indipendenza e la libertà di azione di un’istituzione internazionale è una cosa positiva… tuttavia, il positivo diventa negativo quando proprio quell’indipendenza permette poi all’istituzione di intervenire, più o meno senza vincoli, sulle politiche economiche – e per estensione, sociali – dei singoli Stati.
Quando a tenere i ‘cordoni della borsa’ di una buona parte delle Nazioni del mondo – specie quelle in crisi o in via di sviluppo, sono certe organizzazioni internazionali, il risultato è prevedibile: non siamo di fronte a ‘benefattori’, non si prestano soldi ad un Paese in difficoltà, così, semplicemente, dicendogli: ti presto soldi per permetterti di rialzarti, quando stai messo meglio me li restituisci.
La questione è più complicata: le istituzioni prestano soldi, ma in cambio impongono vincoli – le cosiddette ‘riforme strutturali’ – che di fatto condizionano pesantemente le politiche economiche dei Paesi creditori.
In questo modo, in sintesi, le organizzazioni internazionali intervengono sui programmi di Governo dei Paesi creditori; di conseguenza, una buona parte del voto democratico in questi Paesi viene privato di effetti: il cittadino vota un programma di Governo, ma poi quel programma potrebbe non essere rispettato, a causa delle misure imposte dall’alto.

 

IL CASO GRECO

La questione greca è a questo punto dirimente; attenzione, per chi non lo sapesse, l’economia greca non sta messa così male: è anzi ricominciata a crescere, trainata da settori storici come turismo e marina mercantile; le cose in Grecia dallo scorso anno hanno ricominciando a ‘girare’…
Certo, le casse statali non sono ancora messe bene.
La Grecia è come un lavoratore, in possesso di tutte le capacità di produrre un reddito adeguato alle proprie esigenze, che però si è messo nei guai, indebitandosi fino al collo per vivere al di sopra delle proprie possibilità; il problema è che i suoi creditori si sono rivelati degli strozzini, che invece di puntare sulle capacità del lavoratore di ripagare i propri debiti, gli ha già spezzato un braccio (con l’austerity) e ora minaccia di spezzargli pure l’altro (con le ulteriori richieste riguardanti tasse e pensioni). Chiaro che se il lavoratore si ritrova con entrambe le brazzia spezzate, non potrà certo continuare a lavorare, dovendosi indebitare ancora di più per poter campare.

E’ qui che sta il punto: se la funzione di un’organizzazione è prestare soldi, nel momento in cui i propri creditori diventano solvibili, la sua stessa ragion d’essere viene meno, quindi: le istituzioni creditrici non hanno alcun interesse a che le condizioni economiche dei Paesi debitori migliorino di quel tanto da non aver più bisogno di loro.

Il Governo Tsipras in fondo propone questo: dateci più tempo per pagare i debiti, magari riducetecelo il debito (in fondo, se avete prestato soldi a chi non era in grado di restituirli – e voi lo sapevate – è pure colpa vostra); i creditori internazionali invece sono arrivati a proporgli di dargli altri soldi subito, aumentando così il debito e vincolando sempre di più la Grecia alle politiche imposte dall’esterno: politiche all’insegna dell’ultraliberismo: mercato del lavoro – più o meno – deregolamentato, estensione dell’età lavorativa, riduzione delle pensioni e in generale ridimensionamento dell’intero apparato statale.

Ovviamente i cittadini greci hanno le loro colpe per questa situazione, avendo votato Governi fraudolenti, facendosi abbagliare dal ‘miraggio’ del benessere portato dalle Olimpiadi del 2004 (divenute poi la principale origine del buco nero del debito pubblico), portando avanti comportamenti discutibili (come la diffusissima evasione fiscale); tuttavia, c’è da dire:

1) Che istituzioni internazionali e banche dei singoli Paesi hanno prestato soldi alla Grecia ben sapendo le sue condizioni; se io so che un mio possibile creditore è insolvente, non gli presto i soldi.

2) Che la Grecia poteva essere salvata prima; non lo si è affatto per l’ottusa opposizione della Germania e dei Paesi nordici sempre pronti a fare la faccia cattiva, ritenendosi eticamente, moralmente e forse anche geneticamente agli europei del sud (italiani, greci, spagnoli, etc…) visti sempre e comunque come fannulloni.

3) Che le poltiche di Austerity hanno generato depressione, disoccupazione e crollo dell’economia ovunque siano state applicate: Grecia, Italia, Spagna, etc…

Ho l’impressione che la situazione della Grecia sia stata in buona parte voluta, permettendo alle cosiddette ‘istituzioni internazionali’ di aggiungere un nuovo creditore alla propria collezione, e dunque una nuova Nazione alla quale imporre forzatamente le proprie politiche economiche;
si è agito pensando che nella migliore delle ipotesi si sarebbero avuti i soldi indietro; nella peggiore si sarebbe ridotta la Grecia ad un proprio vassallo, obbligato a seguire la propria visione del mondo e le proprie politiche.

 

IL CASO ITALIANO

Per l’Italia è andata in modo un filo diverso: in pratica non c’è stato un Governo democraticamente eletto che poi ha dovuto eseguire le direttive delle organizzazioni internazionali; con noi si è fatto addirittura un passo in avanti, creando ben tre Governi di seguito privi di legittimazione elettorale, diretti referenti delle suddette organizzazioni; il risultato è stato comunque il medesimo: imporre in Italia l’applicazione di certe ricette economiche a prescindere dalla volotà popolare.

 

IL CASO ISLANDESE (E QUELLO GRECO)

L’unico Paese che al momento avuto il coraggio di mandare a quel Paese (gioco di parole voluto) questo sistema è stato l’Islanda, che a un certo punto si è rifiutata di pagare il proprio debito, è uscita dal sistema, e nonostante minacce e pressioni è riuscita a ricostruire la propria economia svincolandola da certe logiche: certo, si tratta di poche centinaia di migliaia di persone; per il ‘sistema’ nulla di preoccupante… se però a rompere il circuito fosse la Grecia – 10 milioni di persone, la questione diventerebbe ‘seria’: il ‘sistema’ non può permettersi che la Grecia mandi tutto all’aria, confermando magari che una democrazia priva di vincoli finanziari con organizzazioni non democratiche è ancora possibile… Insomma: la paura non è che la Grecia esca da certe logiche, la paura è che uscendone abbia successo.

 

IN FINALE

Ci sono economie ‘sane’ e in grado di crescere che vivono sotto il macigno di condizionamenti esterni: il mondo è pieno di economie in grado di applicare una propria strada per lo sviluppo che, a causa del debito con certe istituzioni, si trovano costrette ad applicare ricette economiche – e ribadisco di conseguenza – sociali, imposte dall’esterno.
L’economia di ogni singola nazione si basa su determinati contesti socio – culturali: nei casi di crisi, ognuna deve trovare la propria strada: come in ogni altro ambito, la differenza arricchisce, l’omologazione appiattisce ed impoverisce.

La presenza di ‘istituzioni internazionali’ che prestano soldi ai Paesi in difficoltà in linea di principo non sarebbe un male, anzi, si tratterebbe di strumenti eccezionalmente positivi, se solo si trattasse di beneficenza disinteressata, o di prestiti che scommettessero realmente sullo sviluppo e le capacità di crescere delle singole nazioni.
Il problema nasce nel momento in cui in cambio del prestito, si pretende di decidere la politica economica e sociale di una Nazione: usando i debiti come arma ricattatoria per omologare le politiche economiche a livello mondiale; in quel caso allora, meglio che determinate istituzioni cessino di esistere.

L’impressione è che purtroppo così non sarà, e che sempre più spesso avremo a che fare con situazioni un cui le scelte sono sempre più vincolate e in cui la democrazia diverrà sempre più un feticcio, un’apparenza, un ‘diversivo’, dato ai cittadini per illuderli di avere voce in capitolo su ciò che in realtà è deciso altrove.

L’EUROPA E L’IMMIGRAZIONE

La mia sensazione è che di soluzioni realmente praticabili ce ne siano ben poche: continueremo, temo, ad assistere alla partenza sempre più frequente di barconi stracarichi di disperati, che sempre più spesso naufragheranno: le migliaia di morti diverranno, temo la norma.

Il problema di fondo è che come al solito c’è una differenza di attitudine e di ‘visione’ tra l’Europa del sud e quella del centro – nord: con una buona approssimazione, possiamo dire che la reale percezione del problema l’Italia la condivide con la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Francia, certo con diversità di dimensione e di problemi: l’Italia per esempio è la nazione che più di ogni altra è vicina alle coste africane e che per prima deve fare i conti coi naufragi dei barconi; la Grecia, per fare un esempio, deve affrontare il problema degli sbarchi dal Mediterraneo, ma anche l’immigrazione terrestre dal confine con la Turchia.

I Paesi dell’Europa centro-nord-orientale, invece, dell’immigrazione hanno ben poca percezione: certo, in Danimarca per esempio il fenomeno negli ultimi anni si è fatto abbastanza evidente, vista la piccola dimensione territoriale, ma in generale possiamo dire che quando si parla della ‘tragedia dell’immigrazione’, almeno come la intendiamo noi ‘euromeridionali’, gente come i tedeschi o gli olandesi non sanno proprio di cosa si parli: per loro è tutto più facile, basta controllare le frontiere terrestri; ancora migliore la situazione britannica, cui nel suo ‘splendido isolamento’ basta controllare l’Eurotunnel e gli aeroporti, in fondo.

Il punto è che purtroppo, l’impressione non è solo che quei Paesi non abbiano una percezione chiara del problema, ma che detta in parole povere, non gliene freghi un accidente. Credo sia il caso, ancora una volta, di sottolineare come quando qualcosa in Europa vada storto, c’è sempre di mezzo la Germania: non è cattiveria, né nazionalismo, né razzismo: è un dato di fatto che la Germania è stata in mezzo a due Guerre Mondiali, che lo sterminio degli ebrei è avvenuto in Germania, che in anni più recenti quando con poche risorse si poteva salvare la Grecia, questo non è avvenuto perché la Germania si è opposta, e sappiamo tutti com’è andata finire… e sull’immigrazione è la stessa storia: perché finora non si è riusciti a dare una soluzione realmente ‘europea’ alla questione dell’immigrazione, soprattutto quella dalle coste africane? Perché i tedeschi hanno fatto gli ‘gnorri’, hanno detto ‘si, si, poi vediamo’, hanno tergiversato e procrastinato… perché, in fondo, non gliene frega niente, pensano che in fondo la geografia è quella che è, e che il problema dei disperati africani che arrivano sui barconi è dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: perché pensano, non so se a torto o a ragione, che se loro fossero al posto riuscirebbero a gestire il problema, perché lo sono tedeschi ‘sistematici’ e noi gli italiani, gli spagnoli, i greci a cui piace starsene al sole senza fare un ca**o… magari è anche così, ma a noi piace starcene al sole e godercelo, loro il sole non ce l’hanno e hanno sterminato gli ebrei.

Quindi, siccome in Europa non si muove foglia, che Germania (rappresentata dalla signora a cui però piace tanto venire in vacanza ad Ischia a da quell’altro in sedia a rotelle)  non voglia, siccome alla Germania dell’immigrazione dal Mediterraneo non gliene frega un ca**o, il problema dovremo risolverlo noi… il ‘come’, è tutto da vedere; io credo che purtroppo l’unica strada sarà quella percorsa fin qui: cercare di accogliere alla meglio, rassegnandoci all’idea che arriveremo ad avere centinaia, se non migliaia di morti annegati al giorno; a un certo punto potranno succedere due cose:
1) la voce, forse, si diffonderà, e tanti di quei poveracci smetteranno di pensare che l’Europa sia il bengodi.
2) la situazione si farà talmente tesa e problematica dal punto di vista sociale, che i Paesi ‘di confine’, faranno saltare tutto, apriranno completamente le frontiere in uscita e ammasseranno gli immigrati ai confini con Austria, Germania e quanti altri facendo si che il problema diventi effettivamente di tutti.

L’alternativa a questo stato di cose è risolvere il problema alla radice: non con fantasiose soluzioni di ipotetici ‘blocchi navali’, evocate da Salvini, che dice sempre il ‘cosa’, ma non il ‘come’: bisognerebbe capire il ‘blocco navale’ in cosa consista: nel far tornare indietro i barconi? E come? O nell’affondarli, magari? E con quali soldi pattugliare migliaia di chilometri di coste africane? Forse con il lauto stipendio di Salvini che, pagato da parlamentare europeo (10 – 15.000 euro al mese) sta sempre a parlare della qualsiasi in Italia?

L’unica soluzione realistica sarebbe sbarcare in Libia e occuparne, militarmente e civilmente le coste, impedendo che migliaia di persone tentino la fortuna per mare rischiando la vita; fare si che in Libia prima e nei Paesi di provenienza dei disperati, si diffonda un benessere minimo che li dissuada dal partire; abbattere certi regimi sanguinari, come in Eritrea, stabilendo condizioni minime di cività… ma mi rendo conto che si tratta di utopie e pie illusioni… e allora, teniamoci l’immigrazione, agiamo per quanto possiamo, rassegnamoci ai morti… del resto l’uomo è per sua natura un ‘migrante’, questi fenomeni ci sono sempre stati e sempre ci saranno; il nostro è soprattutto l’errore di prospettiva di chi vive in una società sostanzialmente ‘stanziale’, ma il mondo e la storia umana alla fine di ‘stanziale’ hanno ben poco.

GLI ETRUSCHI E IL MEDITERRANEO

LA CITTA’ DI CERVETERI

ROMA, PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI, FINO AL 20 LUGLIO

Il titolo dice più o meno tutto: nonostante da tempo quello sugli ‘Etruschi, popolo misterioso’ sia divenuto un luogo comune e nonostante le tante scoperte compiute negli ultimi 30 – 40 anni, il loro essere – temporalmente e geograficamente – ‘incassati’ tra la Grecia  e Roma li rende ancora oggi una civiltà sfuggente; eppure gli Etruschi non sono durati poco, anzi: una bella manciata di secoli a dire il vero, nel corso dei quali hanno assunto un ruolo centrale, appunto nei commerci sul Mediterraneo.

La mostra in questione intende proprio dare risalto a questo ruolo, in particolare concentrandosi con gli stretti rapporti che si instaurarono tra civiltà etrusca e greca, concentrandosi in particolare su Cerveteri, della quale viene raccontato lo sviluppo, dai primi insediamenti fino all’occupazione  e incorporazione da parte di Roma.

La mostra si snoda attraverso un campionario di reperti abbastanza canonico: terrecotte, anfore, monili e soprattutto, i reperti ritrovati nei sepolcri della celebre necropoli, con il Sarcofago degli Sposi a fare da pezzo forte dell’intera esposizione.

Per coloro cui piace il ‘genere’, l’esposizione offre senz’altro spunti d’interesse, anche se personalmente vi ho trovato alcuni limiti: il primo è che si tratta, se vogliamo di un’esposizione da livello un filo ‘avanzato’: chi si aspetta un classico ‘giro d’orizzonte’ sulla civiltà etrusca, per intenderci in stile Alberto Angela, con usi, costumi, abitudini alimentari, e via discorrendo, resterà deluso; la mostra in questione più che osservare il quotidiano degli etruschi è più concentrata sul loro ruolo storico – economico nel bacino del Mediterraneo.

Il secondo limite è, se vogliamo, ‘di location’: ha senso organizzare una mostra dedicata agli etruschi in una città dove c’è uno dei musei più importanti a loro dedicati, quello di Villa Giulia? Soprattutto: ha senso organizzare una mostra su Cerveteri a Roma, dalla quale la località può essere facilmente raggiunta in macchina o in treno? Vista così, la mostra assume i contorni di una sorta di ‘invito’ ad approfondire, recandosi sul posto… quasi una sorta di evento promozionale, in fondo.

MONDIALI IN ARRIVO

Beh, insomma, quasi ci siamo: da domani partirà una mesata in cui non si parlerà d’altro che di calcio (nel frattempo il mio televisore si è scassato…); si parlerà di calcio per la gioia dei pallonari e magari di Matteo Renzi & soci, che nel disinteresse generale potranno far passare di sottecchi qualche provvedimento poco gradito all’opinione pubblica… si parlerà solo di calcio anche per la ‘gioia’ di chi il calcio non lo sopporta… per tutti, facciamo un po’ d’ordine.

 

IL MONDIALE LO VINCIAMO NOI…

I Campionati partono con una sola, grande favorita: il Brasile gioca in casa, può contare su una rosa di prim’ordine e dovrà portare a termine la ‘sacra missione’ di vendicare l’onta subita 64 anni fa, quando il Mondiale in Brasile lo vinse l’Uruguay; due le controindicazioni: la possibilità che la troppa attesa e l’essere obbligati a vincere giochi qualche brutto scherzo ai campioni brasiliani, e la proverbiale insofferenza tattica di giocatori che, spesso costretti a limitare il proprio estro nelle formazioni europee in cui giocano, quando sono in nazionale puntano al divertimento e talvolta ad un cazzeggio un tantino supponente, che spesso gli ha giocato brutti scherzi.

A rompere le uova nel paniere ai padroni di casa ci proveranno i cugini argentini, guidati da un Messi che, rimasto a bocca asciutta nel Barcellona, punta finalmente a dare la propria impronta alla Nazionale e la Spagna, che punta ad una stratosferico poker Europeo – Mondiale – Europeo – Mondiale. Il gruppo delle pretendenti potrebbe essere completato dalla Germania, a patto che oltre alle indubbie capacità tecniche, mostri finalmente una solidità psicologica, spesso e volentieri venuta a mancare nei momenti topici degli ultimi anni (specie contro l’Italia).

 

NON SUCCEDE, MA SE SUCCEDE…

Il Mondiale è sempre stato vinto da una delle favorite della vigilia: tuttavia per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrebbe arrivare una sorpresa; candidate a poter arrivare fino in fondo, o almeno a conquistarsi un posto tra le prime quattro, magari grazie ad incroci favorevoli negli ottavi e nei quarti possono essere: il Portogallo, nonostante un Cristiano Ronaldo un po’ acciaccato; l’Uruguay, già quarto quattro anni fa; il Belgio, che dopo anni di oblio sembra aver trovato una nuova generazione di campioni; la Svizzera, che ha giocato un girone eliminatorio di prim’ordine; a questo gruppo si potrebbe aggiungere la Colombia, se non fosse che nelle ultime settimane è stata falcidiata dagli infortuni, che l’hanno privata di alcuni dei suoi migliori giocatori.

 

…VEDIAMO CHE SUCCEDE…

Ci sono poi quelle formazioni che per un verso o per un altro non possono essere ignorate, ma le cui prospettive appaiono un tantino nebulose: l’Olanda sembra aver avuto la grande occasione quattro anni fa, arrivando in finale con la Spagna e stavolta non sembrerebbe in grado di ripetere l’impresa; la Francia è ampiamente rinnovata, all’inizio di quello che sembra un progetto destinato a produrre risultati sul più lungo termine; l’Inghilterra è la solita squadra che si cita sempre, ma su cui nessuno giocherebbe un euro.

 

LE SORPRESE

Personalmente terrei d’occhio la Bosnia-Erzegovina: una nazione che ha più o meno gli abitanti di Roma, con una storia drammatica e complicata, che arriva al Mondiale all’indomani di alluvioni che hanno ulteriormente fiaccato un sistema economico già precario…  insomma, la nazionale ha un’occasione storica per poter contribuire a rasserenare  e pacificare gli animi; oltretutto, può contare su giocatori di primo livello (Dzeko, Pjanic, Lulic)… il suo girone peraltro non appare complicato  (Argentina a parte, Iran e Nigeria sono avversari non proibitivi). Guardo con attenzione e simpatia al Giappone (che per la mia generazione è sempre sinonimo di “Arrivano i Superboys” e “Holly e Benji”), allenato dall’italiano Zaccheroni, che potrebbe non sfigurare. Il calcio africano è l’eterna promessa del futuro del pallone, ma finora ha mantenuto poco:  qualcosa potrebbe dirla la Costa d’Avorio di Drogba e Gervinho, (nel girone con la menomata Colombia, la Grecia e proprio il Giappone), ma butterei un occhio anche all’Algeria, anche se passare il turno alle spese di due  tra Belgio, Russia e Corea del Sud appare abbastanza improbabile.

 

NOI

L’Italia – ne ho già parlato qualche post addietro – ha limiti di gioco e caratteriali; abbiamo vinto dopo mesi quando – guarda caso – Balotelli non ha giocato (e questo dovrebbe dire qualcosa); siamo nel girone più ostico, con l’Inghilterra che sembra fin troppo snobbata e  con l’Uruguay di Cavani e soci che desta più di una preoccupazione;  per finire, la Costarica. Prevedo una vittoria, un pareggio e una sconfitta: quattro punti potrebbero non bastare per approdare agli ottavi; secondo me sarebbe già un successo superare il girone; tutto ciò che verrebbe dopo, visto anche il materiale a disposizione, è più che benvenuto.

IL VENTENNIO RENZIANO

Ladies & gentlemen, oggi 26.5.2014, prende ufficialmente il via il ventennio renziano: habemus papam, dunque, e a pensarci non poteva che andare così.

Agli italiani pensare non piace: vent’anni di Mussolini, quaranta di Andreotti, altri venti di Berlusconi provano come di fronte alla ‘fatica del ragionamento’ gli italiani preferiscano l’idea del ‘salvatore della patria’, dell’uomo ‘forte’, di quello cui affidare i propri destini, salvo poi prendersela con lui, piuttosto che con loro stessi, se le cose vanno male: tutti antifascisti, nessuno che votasse DC, Berlusconi “chi, io? Mai!!”; Renzi seguirà probabilmente lo stesso copione…

Il PD ai confini del 41 per cento va oltre le più rosee – o nefaste – previsioni, a prescindere da come la si pensi; ma qui il PD c’entra poco: il successo è tutto di Renzi, che ha usato il partito né più né meno che come strumento di ascesa al potere e raggiungimento delle proprie ambizioni personali.

Diciamo che per certi versi è la fine della prima fase, l’ascesa al potere: per Mussolini fu violenta, ma avvallata alla fine dalla maggior parte del popolo, per Andreotti e la DC fu per forza di inerzia,  fondata sul paura per il ‘pericolo’ comunista; per Berlusconi fu sfavillante, la promessa di un ricco di fare ricchi tutti; per Renzi sembra dettata da una sorta di senso di ‘ultima spiaggia’, all’insegna del ‘proviamo pure questo’, potenziata ovviamente dall’iniziativa degli 80 euro.

Ora viene la seconda fase, la gestione del potere: Mussolini vi riuscì con una dittatura, Andreotti puntando sulla voglia di ‘normalità’ degli italiani dopo la guerra, Berlusconi usando il marketing e consolidando un potere fatto di finanza e affari; vedremo quale strada prenderà Renzi. Gli italiani sembrano aver imparato poco dal passato: arriva il ‘salvatore’ e ci si buttano dietro a pesce… c’è da sperare che almeno il loro limite di sopportazione si sia abbassato, che non siano più disposti, come in passato, a dare continue nuove occasioni al loro nuovo idolo, dopo i suoi fallimenti. L’impressione è che comunque Renzi ce lo dovremo tenere per vent’anni; vista la giovane età e i progressi della medicina, forse anche per quaranta.

L’unico lato positivo immediato di tutta questa faccenda è che i famosi ‘mercati’ di fronte in un’Europa in cui più o meno tutti i ‘grandi’ hanno difficoltà (la Gran Bretagna con gli antieuropeisti, la Francia con il Front National; perfino la Germania con una Merkel che comincia a mostrare qualche accenno di cedimento), si trovano di fronte ad un’Italia finalmente ‘stabile’: le borse apprezzeranno e i tassi sul debito caleranno, liberando risorse: starà a Renzi cogliere l’occasione, fondando magari il proprio successo su risultati effettivi; c’è da augurarselo per tutti, anche se per la maggior parte degli italiani questo 2014 non porterà benefici degni di nota, anzi per molti si risolverà nel consueto aumento delle tasse cui ormai siamo abituati da anni.

Per il resto, il risultato europeo è una delusione: il PPE per l’ennesima volta primo partito è la dimostrazione che i cittadini europei non hanno capito nulla delle ragioni della crisi; gli unici forse ad aver mostrato un filo di raziocinio sono i greci, i francesi e i britannici, seguiti dagli spagnoli e dai danesi; l’avanzamento delle forze portatrici del cambiamento c’è stato, ma non  tale da depotenziare lo strapotere di PPE, PSE ed ALDE; c’è almeno da sperare che comunque il segnale sia stato colto e che nel prossimo quinquennio siano portate avanti politiche un filo meno ottuse; difficile comunque, pensando che a questo punto la Commissione potrebbe essere guidata dal conservatore Junker o da Shultz, che per quanto socialista, sempre tedesco è, con tutto quello che ciò comporta.

All’appello manca proprio l’Italia, dove purtroppo il fascino dell’uomo forte ha spento, o comunque affievolito, il vento del cambiamento: M5S cede, pagando gli errori ‘di gioventù’ e di inesperienza del primo anno di Parlamento, cui va aggiunto il linciaggio mediatico subito dal MoVimento; l’impressione è che il risultato sarebbe stato anche peggiore senza la campagna elettorale. Peggio gli altri partiti distanti dai ‘blocchi’ europei tradizionali: fuori dal Parlamento UE Fratelli d’Italia, mentre la Lista Tsipras grida immotivatamente al miracolo con un misero 4 per cento e spicci; si salva giusto la Lega, che pare aver ritrovato il feeling smarrito con il tessuto locale.

Tornando ad M5S, molti voti tornano agli ‘ovili’ di riferimento, si chiamino essi ‘sinistra’ o Lega; altri, delusi, cedono alle lusinghe di Renzi; alla fine forse, questo 21 per cento rappresenta un dato più veritiero, molto più vicino allo zoccolo duro del MoVimento; inutile comunque cercare motivi di soddisfazione: M5S ha perso e adesso, ancora di più che dopo il risultato dello scorso anno, dovrà dimostrare di che pasta è fatto e soprattutto se vuole veramente assumersi per gli anni a venire il peso di essere l’unica opposizione di peso allo strapotere renziano; altrimenti, temo che tutto finirà in occasione delle prossime elezioni (più vicine di quanto si creda), finendo per essere stato solo un bel sogno.

CONTRO L’EUROPA PER UNA NUOVA EUROPA

Per una volta, ha ragione Renzi: quello che si giocherà nelle urne domenica è un derby; non però, come dice il Presidente del Consiglio, tra la ‘speranza’ e la ‘rabbia’, ma tra lo status quo e il cambiamento.

E’ sotto gli occhi di tutti che l’Europa così com’è non funziona: quasi tutte le decisioni prese dall’adozione dell’euro in poi sono state sbagliate. L’Europa è già nata male oltre 50 anni fa, fondata più sulle ragioni economiche che su quelle culturali e sociali, ma negli ultimi 15 – 20 anni abbiamo assistito al totale sfacelo.

Un’Europa priva di identità, con istituzioni deboli, in cui quando arriva il momento delle decisioni tutto si riduce a scontri e prove di forza tra Stati; un’Europa che invece di essere costituita da Nazioni ‘prime tra pari’, vive puntualmente all’insegna della ‘legge del più forte’, in base alla quale alcuni Stati si comportano né più né meno che come bulli dalle tendenze anche un filo dittatoriali, pretendendo che tutti si accodino alle proprie convinzioni (il modo in cui la Germania ha letteralmente umiliato la Grecia è stato squallido e miserevole).

Un’Europa che si è data una ‘moneta unica’ in modo surrettizio e frettoloso, senza nulla chiedere ai cittadini, della quale ha beneficiato soprattutto la Germania, senza che ci fossero istituzioni bancarie e finanziarie, normative fiscali (e aggiungiamoci quelle in tema di lavoro) comuni e strutture politiche funzionanti; un’Europa che conta praticamente nulla sullo scacchiere internazionale, procedendo puntualmente in ordine sparso, in cui le singole nazioni tendono a fregarsi a vicenda (come nel caso libico) e comunque priva dei più elementari principi di solidarietà al proprio interno: quando ci sono benefici, li si deve mettere in comune, se però c’è qualche problema, ogni Stato deve fare da se.

Un’Europa in cui la ‘solidarietà’ viene tirata fuori quasi solo per mettere dei paletti alle produzioni locali, con aberrazioni come le quote latte et similia, aprendo le porte a  prodotti di dubbia provenienza.

Un’Europa in cui, con la scusa della ‘tutela dei risparmiatori’ si sono dati soldi a palate alle banche, risorse delle quali l’economia reale ha visto ben poco, ma che permettono ai banchieri di continuare a giocare al casinò.

Questo è il risultato del grande ‘sogno europeo’ oggi, 2014. La soluzione non è la fine dell’Europa: lo ‘stare insieme’ è ormai motivato da ragioni di mera sopravvivenza di fronte ai ‘colossi’ americano, russo, cinese e più in avanti brasiliano, indiano e chissà quanti altri ancora; è però necessario un cambiamento radicale di prospettiva; perché questo avvenga però, indispensabile non lasciare il volante nelle mani dei responsabili, quelli che ci hanno portato dove siamo ora.

I colpevoli sono naturalmente i due blocchi che da sempre ‘gestiscono’ le questioni europee: il PPE e il PSE, con l’aggiunta dei ‘centristi’di ALDE transfughi dei due gruppi. Loro i colpevoli, loro devono subire le conseguenze; il PPE su tutti, con la sua gestione dell’UE degli ultimi anni, a ruota seguito dal PSE che non può fare certo finta di essere appena sceso da Marte. Non possono dire: ci siamo sbagliati, faremo meglio la prossima volta; qui siamo di fronte a decine di migliaia di cittadini greci mandati sul lastrico, e milioni di disoccupati in giro per l’Europa; se la ragione dello ‘stare insieme’ era proprio quella di rendersi ‘indipendenti da ciò che succedeva oltreoceano, beh, l’obbiettivo è miseramente fallito: la crisi finanziaria USA si è immediatamente trasmessa all’Europa, trasformandosi rapidamente in crisi reale; e adesso hanno il coraggio di venirci a dire che bisogna rivotare per loro?

Votare, o rivotate, quei partiti che a livello nazionale si riconoscono in quei tre gruppi, significa voler continuare ad avere l’Europa che abbiamo avuto fino ad oggi: un Europa fatta di bulli e di vittime predestinate, di solidarietà nulla, di coltellate alle spalle, di conventicole sovranazionali prive di qualsiasi legittimazione democratica (le stesse che hanno imposto Monti alla Presidenza del Consiglio e che applaudirono l’elezione di Letta); se l’Europa così com’è vi va bene, benissimo: continuate a votare PPE, PSE, ALDE (ovvero in Italia: Forza Italia, NCD, PD e centristi assortiti), credete pure che la musica possa cambiare solo con facce diverse, ma con lo stesso background politico e culturale.

Se invece pensate che l’Europa debba cambiare, votate altro; mi spingo a dire che non è manco importante chi votiate: ognuno ha le sue idee; io voterò M5S (ne condivido in buona parte il programma, che contiene misure comprensibili e di buon senso: l’unico programma fondato peraltro su punti precisi, mentre quelli degli altri si fondano su dichiarazioni di intenti piuttosto generiche); da romano non potrei mai votare Lega; Fratelli d’Italia non mi convince perché è fatto di gente che per anni è stata pappa e ciccia con Berlusconi; la Lista Tsipras è troppo basata sulle ‘figurine’ – come scrivevo qualche giorno fa – per attirarmi; ma non c’è dubbio che oggi si debba mandare un segnale. Certo, alle brutte PPE, PSE e ALDE faranno una grossa coalizione, magari con Verhofstadt alla guida della Commissione, è molto probabile, ma è essenziale lanciare un segnale: tale almeno da fargliela fare sotto, a coloro che ci hanno portato dove siamo.

Ci vuole un forte segnale di cambiamento: altrimenti, a votare sempre gli stessi, si darà loro l’impressione di essere nel giusto e le cose continueranno ad andare come sono andate finora: un’Europa con istituzioni finte in cui alla fine continua a valere la legge del più forte e dove gli Stati – bulli si permettono di umiliare i più deboli e dove il benessere di pochi si fonda sulla povertà di tanti.  Cambiare è possibile: certo sarà un percorso lungo, ma da qualche parte bisogna pur cominciare; non votare chi ci ha portato dove siamo ora, sarebbe un buon inizio.

 

EUROPA: IL PROBLEMA E’ CULTURALE

Riflettevo sul  fatto che alla fine, ancora più che economico o politico, il problema europeo è culturale: l’Unione Europea è stata costruita con una mancanza di cultura abissale. Pensate alla democrazia e alla filosofia greche, al diritto romano, alla cultura delle comunità monastiche medievali, all’Umanesimo fiorentino, all’Illuminismo francese e al Romanticismo tedesco; pensare alla cultura come sapere scientifico, da Euclide alla Rivoluzione Industriale, passando per Leonardo, Galileo, etc… estendiamo il concetto perfino alla ‘cultura sportiva’: le Olimpiadi, antiche e moderne, sono ‘roba nostra’… e non parliamo poi dello sconfinato patrimonio artistico… Ora, chiediamoci: che ruolo ha avuto tutto questo nella costruzione delle istituzioni europee? Nessuno, per usare un eufemismo; un ca**o di niente, per ricorrere ad un’espressione più greve, ma calzante.

Nella creazione dell’Europa ‘unita’, la cultura è stata sistematicamente lasciata fuori dalla porta: non parlo solo degli ultimi vent’anni, da Maastricht alla creazione dell’euro; sia la CEE (Comunità Economica Europea), sia la sua precorritrice CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) nascono con una preponderante – se non esclusiva – vocazione ‘economica’; ad unire l’Europa, sono stati dunque, fin dall’inizio, solo i soldi: con tutto il patrimonio culturale che abbiamo, non si è trovato nulla di meglio se non costruire le ‘istituzioni europee’ sul denaro, sul frega – frega delle banche, su un sistema economico, specie dopo il crollo del comunismo, sempre più basato sul benessere di pochi contrapposto al disagio dei tanti:  e dunque, ora ci meravigliamo pure se in Europa sfondano i movimenti contro l’Europa… ma di grazia, ma si può pensare che una creazione come l’UE possa reggersi solo sull’economia?

Pensiamo agli Stati Uniti: si sono costruiti un ‘patrimonio culturale condiviso’, basato su ‘miti’ come quello dei Padri Pellegrini o della ‘Frontiera’: pensiamo a come quest’ultimo abbia continuato a tornare nella politica americana, a come Kennedy lo usò per coinvolgere la nazione nella corsa allo spazio, a come  abbia intriso anche la cultura popolare americana, dal cinema western allo ‘spazio, ultima frontiera’, di Star Trek.

Cosa è stato fatto di analogo, in Europa? Nulla, e quel poco che c’era è stato spazzato via: prima dell’Euro, la CEE usava una sorta di ‘valuta virtuale’, l’Ecu, ovvero lo ‘scudo’, che nel nome conteneva in un certo senso il retaggio dei secoli passati… quando si è arrivati alla moneta unica ‘reale’, si è buttato l’Ecu alle ortiche preferendo l’Euro, un nome asettico che non vuole dire nulla; non si è nemmeno avuto il coraggio di usare monete con effigi comuni a tutti, preferendo cambiare di volta in volta a seconda della Nazione (con conseguenze a volte ridicole: vorrei capire quanti in Italia, mettendosi una mano in tasca  e prendendo una moneta da 20 centesimi, sanno il titolo dell’opera e dell’autore… per la precisione:  ‘Forme uniche nella continuità dello spazio’, Umberto Boccioni).

Gli Stati Uniti hanno costruito almeno in parte ex novo il proprio patrimonio culturale, prendendo ovviamente le mosse da quelli dei vari popoli che si sono fusi nel cosiddetto ‘melting pot’… In Europa, nulla del genere: si sarebbe potuto e si sarebbe DOVUTO, costruire fin dal secondo dopoguerra un’identità finalmente condivisa, facendo capire che in fondo Euclide, Leonardo da Vinci, Voltaire e  Goethe fanno parte di un patrimonio unico e condiviso… non lo si è fatto, e il risultato, per dirne una, è aver permesso che  una nazione arrogante  e tracotante come la Germania trattasse come una pezza da piedi la Grecia, culla della democrazia e della filosofia. Insomma, per costruire così male una ‘comunità europea’ bisogna proprio essere stati dei deficienti, altro che sbandierare  De Gasperi, Schuman Adenauer, via via fino a  Koll, Mitterand, Prodi e via discorrendo… saranno pure i ‘padri fondatori’ e i loro illustri successori, ma hanno dimostrato di non aver capito nulla, o peggio, sapevano benissimo quali danni stavano provocando, ma se ne sono fregati volutamente… e oggi ci ritroviamo a dipingere come un mezzo eroe Draghi, un banchiere che probabilmente fa parte di coloro che ignorano quale opera sia raffigurata sui 20 centesimi italiani…

La cosa peggiore, è che si continua a parlare di politica europea  e di economia europea, e si continua a lasciare fuori da ogni riflessione la cultura europea: di questo passo, tanti auguri: magari i banchieri e gli industriali continueranno a fare soldi e i politici ad accumulare potere, ma una vera ‘Unione Europea’ non l’avremo mai.

NAPOLITANO: TUTTO NORMALE… O NO?

Lo scoop del giornalista Alan Friedman, ripreso dal Corriere della Sera, in pratica ci ha detto che il Presidente della Repubblica aveva messo in cantiere una sorta di ‘piano B’ nel caso che le cose per l’Italia si fossero veramente messe male, ‘preallertando’ Mario Monti. Sotto un certo punto di vista si potrebbe parlare addirittura di un Napolitano ‘previdente’; in molti hanno parlato di ‘segreto di Pulcinella’, ma come tutti i ‘segreti di Pulcinella’, una cosa è dire: ‘lo sapevano tutti’, altro è averne le prove; è chiaro che il Presidente della Repubblica può ‘convocare’ chi vuole, pure Rocco Siffredi, per dire… se però l’incontro ‘informale’ viene ‘formalizzato’ dal fatto di essere reso noto pubblicamente, non ci si può lamentare delle conseguenze: il motto ‘a chi tocca, nun s’engrugna’, è valido per tutti, anche per il Presidente della Repubblica.

Che una volta resa pubblica, la questione avrebbe suscitato il solito ‘casino’, era ampiamente prevedibile: chapeau a Friedman, che così venderà vagonate di libri, complimenti al ‘Corriere’ per aver colto al volo l’occasione. I titoli dei giornali più faziosi, dal “giù le mani da Napolitano” alle roboanti richieste di dimissioni sembrano abbastanza ridicoli entrambi, tuttavia, avrei qualche remora anche a far passare tutto come se nulla fosse: credo che tutta la questione vada vista non nel fatto in se (Napolitano convoca Monti per avvertirlo che nel caso, a dover ‘salvare la baracca’ – con i fenomenali risultati che sappiamo, aggiungerei io – sarà chiamato lui), ma in prospettiva.

C’è uno snodo, nella storia degli ultimi due anni e mezzo, che è veramente il punto nevralgico, la svolta che se le cose fossero andate diversamente, porta veramente a dirsi che oggi tutto sarebbe diverso. Quando a fine 2011 Berlusconi cede, Napolitano non ci pensa due volte e chiama Monti: l’idea di andare ad elezioni, di lasciare la parola alla volontà popolare in un momento così critico, apparentemente non lo sfiora neppure. Eppure, quella soluzione, la più logica, la più democratica, la più naturale, la più ‘normale’ è stata quella adottata in qualsiasi altro Paese: cito solo la Spagna e addirittura la Grecia, che nel 2012 è andata a votare per ben due volte, con la Nazione al collasso, molto peggio dell’Italia…  Evidentemente, però, gli italiani sono cretini e non possono andare a votare. Sottolineo: a fine 2011 il PD è a bomba nei sondaggi, Berlusconi è ai minimi, il MoVimento Cinque Stelle è ben lungi dall’esplodere; se si vota, il PD va al Governo; ma votare non si può, perché gli italiani sono cretini e ci vuole Monti.Il PD di fronte ai desiderata di Napolitano cala le braghe e dà l’ok a Monti. Risultato: Monti massacra gli italiani, i redditi crollano, la disoccupazione peggiora, la recessione galoppa e quando finalmente si vota, il PD se la prende in saccoccia, Berlusconi si è ripreso e il MoVimento Cinque Stelle esplode… quello che poi è successo dopo, e che ci ha portato qui, non credo serva ricordarlo…

Considerando quegli avvenimenti, la ‘convocazione’ di Monti da parte di Napolitano in piena estate acquisisce una rilevanza ancora maggiore, perché ci dice che la soluzione – Monti, poi effettivamente adottata, non è stata un frutto della situazione di emergenza, ma era stata progettata da mesi. Qui non si tratta di complotti contro Berlusconi, non si tratta nemmeno di fare della dietrologia (anche se il tutto dà l’idea che Napolitano in qualche modo ‘sapesse’ che le cose stavano per peggiorare e  di molto). Il problema qui, ribadisco, è che fin dall’inizio, Napolitano non aveva alcuna intenzione di far sfociare una possibile crisi in un sano, regolare, democratico, processo elettorale; fin dall’inizio, Napolitano riteneva che la situazione dovesse essere risolta a monte, nei Palazzi, e non a valle nelle urne. Qui non si tratta di complotti contro qualcuno (paradossalmente, più che Berlusconi, ad essere realmente danneggiato da tutta la situazione è stato il PD), si tratta del modo in cui si concepisce la volontà popolare e il metodo democratico. Qui si tratta di sottolineare che ovunque si sia verificata una situazione del genere si è ricorso al voto popolare e democratico. Non in Italia, perché gli italiani sono cretini e incapaci di scegliere qualcosa di meglio di un grigio burocrate, professore universitario, frequentatore delle ‘segrete stanze’ della finanza internazionale, che nulla sa della vita quotidiana delle persone.

Il momento – chiave è stato quello: affidare il Governo a Monti ha voluto dire togliere al PD la possibilità di andare finalmente al Governo da solo, dare  a Berlusconi la possibilità dell’ennesima rinascita, fare si che il MoVimento Cinque Stelle diventasse il terzo incomodo; per evitare tutto questo, sarebbe bastato andare alle urne, ma gli italiani sono cretini e alle urne non ci possono andare, e adesso sappiamo anche che tutto il progetto era in campo da mesi.

Alla lune di tutto questo, la ‘convocazione’ di Monti da parte di Napolitano nella piena estate del 2011 non può più essere lasciata passare come ‘una cosa normale’ e a dire il vero suscita anche qualche dubbio, perché insomma, un conto è preparare il ‘piano B’, un altro il fatto che questo ‘piano B’, apparentemente escluda fin da subito la possibilità di andare al voto.

Il problema è tutto qui: se e sottolineo se,  un ‘complotto’ c’è stato, è a danno della volontà popolare; se qualcuno deve ritenersi offeso, questi sono i milioni di potenziali elettori italiani, trattati da cretini incapaci di prendere una decisione, i quali piuttosto ‘meritavano’ di ritrovarsi governati da Monti, con i risultati che ben conosciamo.