Posts Tagged ‘George Romero’

PORCO ROSSO, “LIVING DEAD” (NEW MODEL LABEL)

Il protagonista dell’omonimo film d’animazione non c’entra , o forse sì, ma a solo livello di omonimia; molto di più, prevedibilmente, George Romero e i suoi morti viventi.

Michele Ricoveri scrive, ‘canta’ – più corretto forse ‘declama’ – e tesse i fili elettronici; Giovanni Soldi si occupa della parte più ‘suonata’ della faccenda, tra organo, synth e quant’altro: insieme, sono, appunto i Porco Rosso, qui (suppongo) all’esordio.

Otto tracce, racchiuse tra un ‘intro’ e un ‘outro’ che presentano e chiudono la vicenda, come succede spesso nei film horror; in mezzo, sonorità d’incubo, spesso e volentieri orientate all’ossessione, ma che non rinunciano a qualche parentesi che si apre volentieri al pop, tenendo presente la lezione dei ‘maestri’ (Kraftewerk).

Dominano, come accennato, elettronica, synth, tastiere e quant’altro, ancora una volta con echi del cinema di genere; a fare da sfondo a testi che dipingono la decadenza (putrefazione, forse in questo caso è il termine più adatto) dell’uomo e del corpo sociale e la loro resurrezione sotto forma di cadaveri ambulanti… intuibile, ancora una volta, il parallelo con la ‘filosofia’ di Romero, l’avvento dei ‘morti viventi’ come metafora del consumismo imperante, valida ancora oggi, a quasi mezzo secolo dal primo episodio della saga.

La distruzione dell’ambiente e delle altre specie animali, fino al consumo di ogni risorsa; la ricerca di ‘un senso’ nella fiera dell’effimero, il cammino verso la ‘disumanizzazione’ lastricato di apparecchi elettronici e ingegneria genetica… fino alla profezia di una bella guerra atomica che rifaccia partire tutto da zero…

Porco Rosso dà vita a un viaggio nel ‘cuore nero’ della società, apprezzabile nel martellare incessante che sfida la resistenza dell’ascoltatore, in parte ‘disturbante’ come appunto i propri espliciti riferimenti il legame con i quali finisce forse per essere fin troppo stretto, a livello sonoro e di ‘contenuti’: pur intuendo discrete potenzialità, si avverte alla fine la mancanza di un ‘guizzo’ di personalità in più.

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WORLD WAR Z

Quando un misterioso virus va rapidamente diffondendosi attraverso il mondo, trasformando le persone in zombie assetati di sangue Gerry, ex agente dell’ONU specializzato in indagini nelle zone di guerra, viene incaricato d’investigare sulla faccenda, affiancando un giovane virologo e cercando di trovare l’origine del contagio e una possibile cura… Inutile stare a raccontareil seguito: in questi casi, meno si dice, meglio è…
A qualcuno (molti?) World War Z forse non dirà un granché: in fondo è un incrocio tra film a base di morti viventi ed action movie, un crossover non nuovissimo (basti pensare a tutta la saga di Resident Evil e, in parte, a film come 28 Giorni Dopo e il sequel 28 Settimane Dopo). Eppure, WWZ sembra comunque offrire ‘qualcosa’ di nuovo: dipenderà forse dal contrasto tra la produzione, abbastanza faraonica e l’argomento, che in effetti dal ‘padre’ del genere Romero in poi è sempre stato svolto all’insegna del ‘low’ budget… ma soprattutto, dipende dal fatto che, per la prima volta (e comunque con un’idea senz’altro non abusata), il tema ‘invasione zombesca’ viene svolto all’insegna dello sguardo ‘globale’, ‘dall’alto’ – a volte nel vero senso della parola, visto che il protagonista viaggia in lungo in largo per il globo il più delle volte in aereo – come non si era mai visto prima.
Si potrebbe quasi affermare che a quarant’anni e passa dall’originale, siamo arrivati agli antipodi: basta con il solito tema dei sopravvissuti asserragliati da qualche parte (case, centri commerciali, grattacieli, basi militari e via dicendo): la piaga diventa globale e – come dice a un certo punto il protagonista – ‘la vita è movimento’: il risultato è una corsa a perdifiato che ci porta da un capo all’altro del mondo, facendo diventare il tutto una sorta di ‘caccia al tesoro’ su scala planetaria alla ricerca della soluzione…
Non mancano sequenze ad effetto (almeno un paio credo siano destinate a restare nell’immaginario degli amanti del genere), non ci risparmia – pur senza eccessive concessioni – lo splatter, ci sono ovviamente i classici momenti di ‘tensione’ col ‘mostro dietro la porta’, ma in World War Zombie si cerca, riuscendoci in buona parte, di conservare ‘tutto ciò che non può mancare’ e cestinando il più possibile i luoghi comuni del genere, regalandoci un film che di certo non può essere accusato di essere ‘il solito film di zombie’. A monte, del resto, c’è il romanzo (pur molto liberamente reinterpretato) di Max Brooks (figlio d’arte di Mel e di Ann Bancroft, che ha evitato la trappola di seguire le orme genitoriali, per applicare altrove il proprio talento), uno che con la sua opera ha contribuito a svecchiare il ‘genere’ a partire da quel “Manuale per sopravvivere agli zombie” che ancora oggi risulta un assoluto colpo di genio.
A reggere la scena sulle sue spalle per tutto il film è un Brad Pitt che riesce più o meno agilmente nel compito (si tratta del resto di un film non ‘di personaggi’, quanto di situazioni), affiancato di volta in volta da vari comprimari tra cui, a solo titolo di ‘nazionalismo’, vale la pena di ricordare Pierfrancesco Favino (in un ruolo che intendiamoci, lui o un altro era più o meno la stessa cosa).
World War Zombie è insomma un film godibile, che finirà per soddisfare gli appassionati del genere, una ‘variazione sul tema’ che tutto sommato appare offrire qualche spunto d’interesse per contribuire a rinnovare un genere che comincia a sentire il peso dell’età.