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IL TERZO ISTANTE, “LA FINE GIUSTIFICA I MEZZI ” (AUTOPRODOTTO ( LIBELLULA DISCHI))

Trio formatosi nel 2011 in quel di Torino, Il Terzo Istante pubblica tre EP, ribattezzati ‘trilogia fluo’, calcando nel frattempo i palchi in supporto, tra gli altri, a Gazzè, Zibba, Amari e Pan del Diavolo, giungendo ora all’importante meta del primo lavoro sulla lunga distanza.

“La fine giustifica i mezzi”: o meglio, la ‘fine’ che a volte (spesso?) arriva a dare un senso alle cose, alle vicende esistenziali; forse, in ultima analisi, alla vita: un concetto molto ‘letterario’ se vogliamo: le ‘storie’ sono belle e restano dentro proprio perché prima o poi devono concludersi.

Filosofia a parte, e non se la prendan i componenti de Il Terzo Istante, questi nove pezzi (che tra l’altro vedono la collaborazione della voce di Sabino Pace, figura di spicco del punk hardcore torinese degli anni ’90 e del sax di Paolo Parpaglione, già Blue Beaters e Africa Unite) colpiscono più per i suoni che per le parole: si potrebbe quasi affermare che il gruppo arrivi a ricordarci che il ‘tre’ anche in musica, può essere il numero perfetto.

Un disco compatto, arrembante, il cui maggior pregio è la capacità di sviluppare potenza sonora: chitarra, basso e batteria col contributo di piano e tastiere disegnano un disco che viaggia

da suggestioni alternative anni ’90 a più recenti influenze stoner, con alle spalle la lezione sempre valida dei power trio dell’hard rock anni ’70. Una vocalità per lo più aggressiva, ma pronta ad avvicinarsi anche a lidi più cantautorali.

Il Terzo Istante allude a tratti al punk hardcore, gioca col blues e, se necessario, mostra di essere in grado di smorzare i toni, fino a sfiorare rarefazioni quasi ambient (in ‘39,8°’, anche grazie al contributo del collettivo vocale Collavoce) e, in modo quasi insospettabile, di prendere una deriva ai limiti del progressive nel lungo brano finale ‘Lucido’ , in cui chitarra basso e batteria si mostrano in grado di dialogare efficacemente con piano e fiati.

“La fine giustifica i mezzi” è un coinvolge convincendo, lasciando l’impressione che Il Terzo Istante non abbia ancora sviluppato pienamente le proprie potenzialità.

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DUE VENTI CONTRO, “IN FONDO” (AUTOPRODOTTO / LIBELLULA MUSIC)

Due Venti Contro Torinese, classe 1988, Giacomo Reinero alias Due Venti Contro ha ottenuto un discreto riscontro col disco d’esordio, “Va bene così”, uscito un paio di anni fa, che gli ha permesso di calcare i palchi di supporto, tra gli altri, a Gazzé e Dente.

Qualcuno diversi anni fa cantava che “il secondo disco è sempre più importante nella carriera di un artista”: Reinero / Due Venti Contro non sfugge alla ‘regola’, non potendo più contare sul ‘beneficio d’inventario’ e il credito che si dà ad ogni esordio e dovendo dimostrare quali e quante carte si hanno a disposizione.

Si può dire che il cantautore superi la prova, offrendo nove brani discretamente equilibrati, influenzati da riferimenti variegati, tra pop, rock, qualche lontano rimando hip hop o reggae, in un lavoro che appare ancora dominato dall’urgenza comunicativa tipica di ogni (semi)esordiente: Due Venti Contro va decisamente dritto al punto, con una scrittura essenziale e diretta che a tratti cede forse a qualche ingenuità.

Testi all’insegna di una tipica ‘poetica’ del quotidiano, in cui ricorre la ‘frattura’ tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si è, tra le proprie aspirazioni e le necessità imposte dalla vita di tutti i giorni, tra i sogni e, come in uno dei titoli, i B-sogni. La difficoltà del realizzarsi compiutamente, facendo della musica la propria professione e nell’attesa il dover fare i conti con attività lavorative più ‘terra-terra’. Non mancano riflessioni sui sentimenti e parentesi di ‘critica sociale’, ad una società dove la comunicazione è sempre più pervasiva, divenendo un ronzio indistinto che finisce per impedire ogni comunicabilità.

Reinero / Due Venti Contro esprime tutto questo in modi sempre trattenuti, senza andare sopra le righe, cadere nelle trappole del melodramma o delle grida. L’esito è un lavoro composto, in cui tra le righe sembra emergere una vaga tendenza al non prendersi troppo sul serio, a smussare gli angoli magari con un pizzico di ironia (controluce sembra apparire l’ombra di Max Gazzé).

“In fondo” alla fine appare riuscito soprattutto nel suo efficace equilibrio d’insieme, più che nelle singole parti dove forse si intravede ancora la necessità di dare alla proprio stile un’impronta personale più marcata, soprattutto sotto il profilo sonoro. Resta insomma ancora della strada da fare, ma sembrano esserci tutte le potenzialità per poter proseguire il percorso.