Posts Tagged ‘Frank Zappa’

WORLDSERVICE PROJECT, “FIRE IN A PET SHOP” (MEGASOUND / GOODFELLAS)

Nato nel 2011, il progetto WorldService Project, si è fatto apprezzare da pubblico e critica attraverso un’intensa attività dal vivo, culminata con la pubblicazione dell’esordio sulla lunga distanza.

Ritroviamo ora il quintetto inglese  guidato da Dave Morecroft in questo nuovo lavoro, che si addentra ancora una volta negli sfumati territori a cavallo tra jazz ed avanguardia, all’insegna della sperimentazione; nove composizioni, durata media sui quattro / cinque minuti, ad eccezione della straripante traccia conclusiva che sfora il muro dei nove.

Lo snodarsi del disco (pubblicato dall’etichetta italiana Megasound) rivela un mix di ascendenze e suggestioni abbastanza ‘classico’ per progetti del genere: dalla felice stagione del jazz elettrico degli anni ’70 alle debordanti derive zorniane, passando per la lezione trasversale di Frank Zappa, riprendendone a tratti anche gli accenti ludici, fino ad addentrarsi totalmente in territori avanguardistici nella magmatica traccia finale.

Tra fiati ‘ululanti’ una sezione ritmica che disegna ritmi frastagliati, tastiere che spesso rivestono i brani di una sottile patina ‘vintage’, a volte con qualche impressione filmica, i WorldService Project edificano una costruzione sonora forse non adatta a tutti, ma che si offre volentieri all’ascolto dei più curiosi.

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EUA, “TANTO VALEVA VIVER COME BRUTI” (INGRANAGGI RECORDS /AUDIOGLOBE)

Quasi dieci anni di attività alle spalle, un’evoluzione che ha portato il trio originale ad ampliarsi fino all’attuale formazione a sei e due dischi da studio: il primo targato 2008, il secondo questo Tanto valeva viver come bruti, a giungere solo oggi, a sei anni di distanza.

La vicenda degli Eua è una delle tante, poco o per nulla conosciute, delle ‘retrovie’ del panorama musicale italiano, fin troppo spesso all’insegna di capacità e idee frenate dai pochi mezzi a disposizione.

Un disco caleidoscopico, frutto del lavoro di una band che non disdegna di trasformarsi in ‘banda’ ed episodicamente si traveste da orchestra, assemblando quattordici brani che attraversano in lungo e in largo lo spazio sonoro, con poco riguardo per confini, steccati etc… Il sestetto parmense passa con disinvoltura dal pop profumato di indie a schegge rock, da sonorità caraibiche a suggestioni western, da aperture orchestrali con tratti di magniloquenza a brani dall’impronta più marcatamente cantautorale, fino a parentesi dall’indole vagamente zappiana.

Un universo sonoro che accompagna brani che osservano la realtà circostante con un atteggiamento costantemente ironico, con un’indole talvolta sottilmente delirante, pronta a sfociare nel nonsense: il precariato lavorativo ed esistenziale, il ruolo pervasivo delle macchine, il rapporto con la natura; pronti però, a dipingere le conseguenzed della prima sbronza, o a dedicarsi con intensità agli sviluppi più o meno positivi di una vicenda sentimentale.

Un disco denso, di suoni e parole, che col trascorrere degli ascolti riesce a non stancare, rivelando qualcosa di nuovo ad ogni passaggio: l’augurio è che gli Eua possano acquisire una visibilità maggiore rispetto a quella conquistata fino ad ora.

POPE ON A ROPE (SOUND MIND RECORDS)

Pope On A Rope è l’ennesimo progetto del produttore e polistrumentista Simon Somatic, attivo dalla fine degli anni ’90.

Nove brani, all’insegna di un continuo mutamento, il cui filo conduttore, è con poche eccezioni, l’elettronica, talvolta virata verso territori industriali, in altre occasioni più ispirata gli anni ’80, va in qualche occasione a braccetto con un folk sghembo, passando per esplosioni sonore da videogame anni ’80; il tutto all’insegno di un gusto per il mosaico sonoro che non potrebbe essere definito altro che zappiano.

Un disco che procede senza requie, dall’andamento sincopato, i movimenti scoordinati, la personalità nevrotica, accompagnato da un cantato che quasi sembra messo lì per caso… in realtà l’impressione di suoni messi a là quasi a casaccio ‘per vedere l’effetto che fa’ è costante, ma il risultato alla fine coinvolge e diverte, regalando una cover più che mai trasandata della lennoniana Imagine, impastata con Femme Fatale dei Velvet Underground.

Un disco coinvolgente, il cui solo limite è la durata, inferiore alla mezz’ora. Breve ma intenso.

IN COLLABORAZIONE CON LOSING TODAY

LUCA FATTORI, “AMICCA IN LOW-FI” (AUTOPRODOTTO)

Secondo lavoro da studio per Luca Fattori, una biografia musicale iniziata con le cover di Frank Zappa ma repentinamente orientatasi alla sperimentazione vocale, con un primo lavoro uscito un paio d’anni fa, cui si va ora ad aggiungere questo nuovo disco.

‘Anicca’ è un termine che appartiene alla lingua indiana ‘pali’ e che significa ‘impermanenza’; ‘low-fi’ gli appassionati di musica più o meno sanno tutti cosa voglia dire: esegesi a parte, Luca Fattori fa tutto da solo, assemblando un disco per voce e loop in cui  gli ‘esercizi vocali’ dell’autore sono sostenuti dall’ampio utilizzo, appunto, di loop e campioni.

Dodici tracce, tra citazioni letterarie (Pasolini) e cinematografiche, gorgheggi che rimandano abbastanza prevedibilimente a Bobby McFerrin, tra ritmi vagamente caraibici e suggesioni tribali, rumori di conversazioni e ‘rigurgiti’ campionati.

Il risultato è – come spesso accade in questi casi – un filo ‘surreale’ (o almeno, così può apparire ai meno avvezzi al genere), non ci si risparmia dal giocare la carta dell’ironia, (un titolo su tutti: Rock is not dead because is never born), in un lavoro che non si limita alla sua essenza sperimentale, ma che – tra il serio e il faceto – trova il modo di affrontare i vari temi ‘pesanti’ dell’oggi: il concetto di ‘libertà’, il laovro, i rapporti interpersonali.

Un disco che dunque, nonostante l’indubbio grado di ‘difficoltà’ nel suo percorrere un sentiero sonoro sicuramente impegnativo e poco frequentato, non si risparmia dall’aprirsi all’ascoltatore, finendo per essere un’esperienza certo ‘diversa’, ma non priva di fascino.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

REDRICK SULTAN, “TROLLING FOR ANSWERS” (AUTOPRODOTTO)

L’espressione ‘collettivo canadese’ da qualche anno è ormai diventata usuale, quando si parla di ‘rock alternativo /indipendente / usate voi l’aggettivo che più vi aggrada’: nella categoria rientrano anche i Redrick Sultan, la cui formazione – base è un quartetto, che in occasione di questo secondo lavoro sulla lunga distanza viene accompagnato di volta in volta nei diciassette brani che compongono il disco da una ventina circa di ospiti.

Forse più che in altre occasioni un numero così elevato di partecipanti risponde pienamente alle esigenze della band, venendo utilizzato nella maniera più efficace: “Trolling for answers” è una pazzesca cavalcata che attraversa, con disarmante nonchalance, i generi più vari: il funk e il free jazz, il folk e Frank Zappa, il ‘Canterbury sound’ e i ritmi ‘in levare’; il minimalismo da colonna sonora in stile Philip Glass o Michael Nyman e la musica Klezmer, la musica da camera e l’hip hop (mescolato a coretti anni ’30 o a orchestrazioni jazz dai profumi lounge). A impressionare, oltre alla indiscutibile capacità dei Redrick Sultan di attraversare i generi, è l’impressione di compattezza data dal lavoro nella sua complessità: lungi dall’essere un semplice campionario di ‘esercizi di stile’, il disco della band di Vancouver riesce a mantenere una grande coerenza di insieme, riuscendo a mantenere nella gran parte degli episodi una sorta di ‘marchio di fabbrica stilistico’ che cementa il lavoro, impedendogli di perdersi trai rigagnoli delle tante suggestioni musicali che si susseguono al suo interno. Colori sgargianti (con qualche digressione crepuscolare), una buona dose d’ironia e, sullo sfondo, la costante impressione di essere di fronte a una band che si diverte e vuole divertire: per chi non li conosceva, una bellissima sorpresa, un ascolto ricchissimo e a tratti entusiasmante.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

SUPER DISTORTION, “UTOPIA INTERNATIONAL” (Pointy Bird Records)

Tanto per mettere subito in chiaro le cose: se vi piacciono le band che amano suonare retrò, omaggiando l’età dell’oro degli anni 70, con esiti tutto sommato piacevoli sotto il profilo della ‘forma’, ma con poco o nulla di originale in quanto a ‘sostanza’, allora il disco dei Super Distortion.

L’inglese Pete Bradley è l’artefice del progetto, solo l’ultima in ordine cronologica tra le varie esperienze portate avanti nel corso della sua carriera, tanto duratura quanto lontana dai riflettori. Ampi, e un tantino esagerati, i riferimenti citati, all’insegna di un mix in cui troviamo i Caravan e i Tame Impala, Astrud Gilberto e i Brian Jonestown Massacre, Frank Zappa, Jesus And Mary Chain e Mike Oldfield, in un elenco fino troppo abbondante e tutto sommato anche fuorviante.

Messa in maniera più semplice, le dieci tracce presenti rappresentano un omaggio ai seventies, in alcune delle loro principali sfaccettature: dal folk à la Neil Young ai ronzii di Blue Cheer e Black Sabbath, dalle tirate ‘lisergiche’ degli Hawkwind alla psichedelia più orientata al pop.

Un lavoro che si lascia ascoltare e che scorre via rapido, ma che sulla lunga distanza non riesce ad evitare la sensazione di ‘già sentito’ e ai Super Distortion dell’originalità importa probabilmente poco.

Si sforano in qualche parentesi i cinque minuti di durata, episodicamente i sei e i sette (sui complessivi quaranta minuti circa), ma a tratti questo ricorso alle digressioni strumentali e alle dilatazioni appare un pò fine a sé stesso, a voler a tutti i costi rincorrere certe abitudini dell’epoca; indubbiamente più efficaci i brani dove la sintesi (anche con qualche suggestione pop) prende il sopravvento.

L’esito, potrebbe dirsi, è più che mai ambivalente: efficace se si guarda alla semplice riproposizoni di suoni e atmosfere, molto meno se, anche da un lavoro molto derivativo, si cerca comunque un minimo di originalità.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY

LA PLAYLIST DI LUGLIO

Con un filo di ritardo…

Holy Diver Ronnie James Dio
Under a soil and black stone Amorphis
Jihad Slayer
Funeral Rites Sepultura
Non posso dormire Surgery
Nido di formiche Human Tanga
La tempesta Kardia
Nail Hand Wrist Moustache Prawn
Old Toys Nicolas J. Roncea
Leonard S.M.S
Thousand Eyes Nothern Valentine
Habitat ’67 /Run
Green Grow the Rusches REM
Jesus thinks you’re a jerk Frank Zappa

 

AU, “BOTH LIGHTS” (THE LEAF LABEL)

Un profluvio di suoni; un’ondata di caotiche distorsioni che, per uno di quegli strani effetti ‘magici’ finiscono per costruire muri di melodia avvolgente… Il terzo, fantasmagorico lavoro degli Au, duo di Portland formato da Luke Wayland e Dana Valatka: il primo, a disegnare coi sintetizzatori panorami sonori alieni, algidi come l’artico, ma pronti ad esplodere nell’incandescenza di un vulcano islandese; la seconda, ad arricchire il tutto con le sue multicolori percussioni.

Il risultato sono questi undici brani, nei quali si mescolano composizioni strumentali (la maggior parte) e brani cantati (talvolta da entrambi), ardite rapide che sfociano in cascate sonore iridescenti e più tranquilli, placidi frangenti, colorati dalla grana crepuscolare del piano.

Una serie di brani in cui si mescolano momenti che rimandano a dei Sigur Ròs ‘iperproteici’, parentesi dal sapore prog, sprazzi ai limiti del jazz rock e frustate sperimentali dal sapore talvolta zappiano (con l’aggiunta di qualche fiato) e più spesso minimalista per un disco dal quale è veramente dura staccarsi, scoprendo ad ogni ascolto particolari precedentemente sfuggiti.

Uno dei migliori ascolti di questo 2012.

LOSINGOTODAY

LA PLAYLIST DI MARZO

La marcia dei colitici    Giorgio Gaber
The Uncle Meat variations   Frank Zappa
Mysterious Traveller      Weather Report
The Daffodil and the Eagle  Shakty with John McLaughlin
Spiralia         The Radiata 5tet
Adython          Claudio Milano / Erna Franssens
Bodysnatchers             Radiohead
Universe                  Tying Tiffany
Mirror of illusions      Hawkwind
Mago sul muro             Il Cane
Prova a cercarmi          Lucia Manca
Far finta di essere sani  Giorgio Gaber
Io non ho il clitoride    Mapuche
Tengo na minchia tanta      Frank Zappa