A tre anni di distanza dall’esordio di “Labirinto”, torna il cantautore torinese Eugenio Rodondi.
Dovendo scegliere un titolo ‘evocativo’, andare sui colori diventa una scelta logica, quasi immediata: si legge “Ocra” e si pensa subito alla terra, magari a quella d’estate, screpolata dal sole… se poi in copertina, sullo sfondo di un giallo quasi accecante, si staglia la silhouette di una cicala, all’interno della quale è disegnato un cuore rosso frastagliato da crepe, le suggestioni aumentano…
“Ocra” è, in effetti, un disco estivo: sarà forse per l’andamento spesso quasi indolente, sarà per certi climi ‘blues’ accresciuti dal frequente intervento di un’armonica che evoca paesaggi assolati degli Stati Uniti del sud… in buona parte, perché l’estate viene se non altro evocata, nella rilettura della favola della cicala e la formica (‘La cicala del mondo’) in cui la prima passa il tempo a cantare perché sa che di tempo gliene rimane poco, o nelle ombre dei ‘nuovi schiavi’ del caporalato (‘La notte dei Camaleonti’): il cerchio alla fine si chiude: le piantagioni di cotone in cui si originò il blues, vengono sostituite oggi dalle coltivazioni di pomodori…
Nato dalla collaborazione tra Rodondi e Phonarchia Dischi, i suoni frutto del contributo degli Etruschi from Lakota, “Ocra” si snoda lungo dieci brani in cui Eugenio Rodondi, sospeso tra Fabrizio De André e Rino Gaetano con una spruzzata di Dalla e un pizzico di Edoardo Bennato, parla di relazioni sentimentali concluse (‘Trattamento di fini rapporti’) giunte ad una fase di stallo (nella title track) o che proseguono nonostante tutto (‘La canzone moschina’); un disco che parla di ricerca della propria identità (‘La maschera bianca’) che in ‘Horror vacui’ affronta il tema (ormai onnipresente nei cantautori dell’ultima generazione) del precariato lavorativo ed esistenziale, e quello dell’omosessualità nella cover di ‘Mariel e il Capitano’, brano degli anni’70 degli argentini Sui Generis; che parla di depressione in ‘Briciole di pane’ e che raggiunge il suo apice, commovendo, in ‘Dov’è Laura’, storia di una giovane ragazza che nel corso di una gita scolastica cede “alla smania di andare a vedere in anticipo sul nostro dovere”, lasciando chi resta a cercare il senso di una scelta tanto estrema e a fare i conti con una mancanza simboleggiata da un “telefono spento che non risponderà”: un brano che si erge una spanna al di sopra del resto del lavoro, valendone l’intero ascolto.